Questo numero di Reputation Review è dedicato all’internazionalizzazione – in particolare a quella targata U.S.A. – come momento di crescita per la reputazione del proprio brand. Quando si parla di internazionalizzazione si riduce spesso il fenomeno alla possibilità di aprire nuovi mercati in cui vendere i propri prodotti, oppure approvvigionarsi di materie prime, come se prendere un brand o un prodotto e spostarlo in un ambiente nuovo fosse un’operazione tutto sommato neutra. Per contro, molti contributi enfatizzano invece gli aspetti culturali che l’internazionalizzazione inevitabilmente comporta, e penso soprattutto ai contributi di David Aaker e Kevin L. Keller.
Proviamo a immaginare al nostro brand o al nostro prodotto come qualcosa di “vivo”, come un organismo che si adatta all’ambiente in cui cresce al pari di un qualsiasi essere vivente. Nel migliore dei casi, ovvero quando questo adattamento riesce, il rischio che corriamo (al pari appunto di qualsiasi essere vivente e in generale di qualsiasi sistema) è quello di sviluppare alla fine un adattamento troppo rigido, ovvero esserci adattati talmente bene al nostro ambiente da entrare in uno stato di crisi nel momento in cui quest’ultimo dovesse cambiare.
Poiché viviamo in un mondo complesso – spesso descritto dall’acronimo VUCA (volatile, incerto, complesso e ambiguo) – questo rischio è un rischio che non possiamo assolutamente ignorare, e anzi “allenarci al cambiamento” dovrebbe essere importante almeno quanto qualsiasi altra attività svolta dai nostri dipartimenti R&D o HR. Tra i tanti strumenti con i quali possiamo svolgere questo particolare allenamento, sicuramente confrontarsi con mercati e culture diverse è uno dei migliori!
Per prima cosa, entrare in contatto con un mercato nuovo vuol dire “connettere” l’universo simbolico associato al nostro brand, il quale in gran parte è il risultato dell’ambiente socio-culturale nel quale si è sviluppato (ad esempio quello italiano), con uno nuovo che verosimilmente sarà altrettanto fortemente caratterizzato – pensiamo ad esempio proprio a quello statunitense! Questa connessione diventa un ponte sul quale viaggiano informazioni, e viaggiano come sempre in maniera bidirezionale: da una parte la nostra offerta arriva a persone nuove, che possono trovarla particolarmente originale e quindi interessante proprio in virtù della diversa matrice culturale; dall’altra il nuovo ambiente nel quale entriamo ci offre nuovi stimoli e opportunità, ma anche nuove sfide dal punto di vista evolutivo perché se non ci adatteremo (e quindi “cambieremo”) rapidamente ad esso non avremo possibilità di sopravvivere al suo interno.
Secondo poi, internazionalizzare può avere un impatto significativo sulla crescita e la competitività dell’impresa: ad esempio gli Stati Uniti offrono l’accesso al più grande mercato di consumatori del mondo, consentendo alle imprese di espandere rapidamente la base dei clienti. Allo stesso tempo, le aziende statunitensi offrono un livello elevato di innovazione e tecnologia, per cui entrare in contatto con loro consente di trarre vantaggio dai loro progressi nel campo dell’ingegneria, delle scienze informatiche e della ricerca.
Un altro aspetto interessante è poi la possibilità di ridurre i rischi legati al nostro business: quando infatti i nostri ricavi provengono da un unico paese, allora l’andamento del nostro fatturato sarà legato a doppio filo alle fasi di espansione e contrazione di quella singola economia, lo stesso rischio che correremmo se il nostro portafoglio azionario avesse titoli di un’unica azienda! Al contrario diversificare i mercati di riferimento rende inevitabilmente più resiliente la nostra impresa, un aspetto questo che può fare tutta la differenza del mondo nel caso di crisi economiche locali!
Oltre a tutto ciò, l’incontro con le altre culture porta però anche a domandarci qualcosa di più profondo, ovvero se esistono aspetti del nostro brand che in qualche modo siano “universali”, in grado di portare valore a tutta la varietà delle culture e del pensiero. Se infatti riusciamo ad esportare il nostro brand, prodotto o servizio, anche in un ambiente così diverso da quello in cui si sono sviluppati, allora non potremmo forse da ciò dedurre che in qualche modo abbiamo saputo intercettare bisogni e valori universali?
In effetti, è proprio questa la grande opportunità che ci offre l’internazionalizzazione: metterci alla prova e verificare se possiamo davvero parlare a più persone in tutto il mondo con un’unica voce. Riuscire a farlo significherebbe infatti poter realmente trasmettere valore al di fuori delle nostre “strutture ideologiche”, portando con noi nel mondo un punto di vista originale ed esclusivo.