Una delle crisi “silenziose” che stiamo vivendo sull’onda lunga della pandemia è senz’altro quella psicologica. I dati sono allarmanti. Secondo una metanalisi pubblicata su JAMA Pediatrics e che ha preso in considerazione 29 studi condotti su oltre 80.000 giovani, un adolescente su quattro in seguito alla pandemia ha mostrato sintomi clinici di depressione, mentre secondo l’indagine “Chiedimi come sto” gli adolescenti che hanno mostrato segni di disagio psicologico sono ben nove su dieci.
Neanche gli adulti sono immuni agli effetti di un così prolungato isolamento sociale, stress emotivo e senso di precarietà, soprattutto quando questi si sommano a situazioni di fragilità economica e sociale. Tuttavia gli studi dedicati loro sembrano essere di meno e questo sottolinea ulteriormente quanto stiamo sottostimando questa crisi nella crisi.
L’unico momento in cui si è provato ad affrontare l’argomento è stato quando si è discusso del bonus psicologo. Anche la vicenda di questa misura la dice lunga sul livello evolutivo della nostra società: inizialmente addirittura eliminato dalla manovra, è stato riabilitato nel “tripudio” generale con un importo stanziato di 10 milioni di euro (per fare un paragone, il rifinanziamento del bonus TV è stato di 68 milioni di euro) e un contributo di massimo 50 euro per un numero di incontri che vanno dai quattro ai dodici a seconda del reddito del richiedente.
Dopo soltanto tre giorni dall’apertura delle richieste online si sono registrate più di 120.000 domande, a fronte di una copertura massima in base all’importo stanziato pari a 16.000 persone. Il tutto senza tener conto dei nuclei familiari, del fatto che il costo di una visita specialistica può facilmente superare i 50 euro, e che comunque un percorso può durare ben più di dodici sedute senza che siano previste al momento altre misure per poter proseguire.
In un mondo così complesso il sostegno psicologico è imprescindibile. Dunque ben venga che lo Stato decida di promuoverlo, seppur tramite un bonus una tantum. Ciò che mi preoccupa è il fatto che una misura di questo genere venga presentata come una grande conquista, a maggior ragione come risposta alla più grande crisi sociale degli ultimi ottant’anni.
Se c’è una cosa che amo ripetere ogni volta che per lavoro mi trovo a parlare davanti a degli psicologi, è che sono convinto che questa professione sia in assoluto quella con i più ampi spazi di crescita visto che nessun’altra professione è in grado di essere efficace in uno spettro altrettanto ampio di situazioni e contesti. Purtroppo la prassi vuole che ci rivolgiamo allo psicologo quasi sempre “in emergenza”, proprio quando l’intervento è necessariamente più complesso, lungo e faticoso. Senza considerare che lo facciamo quasi sempre in contesti privati e dovendo affrontare lo stigma sociale che in parte ancora oggi sopravvive. Insomma, ci troviamo a discutere di un piccolo bonus una tantum a fronte di una situazione che richiederebbe una profonda evoluzione strutturale.
Laddove però lo Stato sembra non cogliere i bisogni dei propri cittadini, credo ci sia spazio per le imprese per cogliere le opportunità di un welfare aziendale più evoluto. Si tratta di investimenti eccellenti perché aiutano i lavoratori, ne alleviano lo stress, pareggiano eventuali conflitti all’interno del gruppo di lavoro e aumentano la produttività aziendale. Lo ha confermato anche Danila De Stefano, Ceo di Unobravo, la startup nata nel 2019, esplosa durante il lockdown e che solo pochi giorni fa ha ottenuto un round di investimenti da 17 milioni di euro. Secondo De Stefano «il bonus è una buona manovra che però è solo utile a tamponare. Per dare il giusto rilievo alla salute mentale servono gli investimenti».
Sono certo che se ragionassimo in termini interdisciplinari e complessi capiremmo immediatamente che non è utile parlare di Pnrr, di crescita economica e di Pil se alla base non c’è una società sana fisicamente e mentalmente. È una questione nazionale, che però si declina anche nel nostro piccolo: negli uffici, nelle famiglie, nelle piccole e medie aziende, dove anche noi come piccoli individui possiamo avere un impatto. Insomma, se si vuole costruire un’economia sana bisogna prima pareggiare i conti con noi stessi.