Con Filippo Sensi, ex parlamentare e ideatore del bonus psicologo, parliamo di come la politica può aiutare concretamente la vita delle persone e come può tornare ad essere credibile agli occhi dell’elettorato.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti a una nuova puntata del nostro fantastico podcast sulla complessità. Oggi abbiamo un ospite pazzesco, lo presento subito è Filippo Sensi. Benvenuto Filippo.”
Filippo Sensi: “Grazie a te, grazie a voi.”
Joe Casini: “Filippo è giornalista, blogger, esperto di comunicazione politica è già stato deputato, dico pazzesco perché con Filippo toccheremo un paio di temi che mi stanno particolarmente a cuore, quindi è una puntata che si preannuncia piena di spunti. Allora Filippo partiamo con quella che noi nel podcast chiamiamo la domanda semplice. La domanda che ti volevo fare visto che tu hai un’esperienza importante dal punto di vista della comunicazione, la tua storia da blogger parla da sè, ti volevo chiedere: dal tuo punto di vista com’è cambiata la comunicazione politica su internet un po’ in questi anni? Cioè cosa è successo negli ultimi 10-15 anni?”
Filippo Sensi: “Si è radicalmente trasformata, è diventata quasi la piattaforma di riferimento dell’agire politico, non solo della comunicazione, ma anche dell’azione politica. Non è soltanto un affiancamento spesso è una supplenza, una surroga, poi si può essere sacrosantamente nostalgici della piazza e in alcuni momenti abbiamo riavuto una reinsorgenza della piazza, dei corpi e del contatto, però se dovessi dire così da osservatore oggi il conflitto politico, a bassa o alta intensità, si gioca largamente sulla rete, sulle piattaforme, sui social piuttosto che nei cosiddetti luoghi deputati, il Parlamento piuttosto che non appunto i comizi in piazza, la stessa campagna elettorale, è mutato completamente disegno ed è diventato l’environment, l’ambiente naturale, della comunicazione politica.”
Joe Casini: “Tra l’altro qui ci piace moltissimo giocare con le circolarità, il modo in cui comunichiamo influenza anche il modo in cui facciamo politica. Quindi quello che tu raccontavi è proprio l’idea che nel momento in cui cambia la piazza dove vai a discutere cambi il modo in cui ti relazioni, cambia anche il modo in cui discuti, cambi anche i contenuti. C’è ancora un modo diverso di fare politica proprio negli ultimi anni dal tuo punto di vista?”
Filippo Sensi: “Non c’è dubbio, innanzitutto perché nella crescente leaderizzazione della politica che fa sì che chiunque si percepisce, si proietta come leader e quindi non necessariamente soltanto i leader riconosciuti in quella organizzazione politica, ma insomma in generale i social e l’orizzontalità hanno portato al fatto che un singolo utente può atteggiarsi, muoversi, comportarsi da leader con il suo profilo, con il tuo account, la crescita dell’influencer e le cose che sappiamo.”
Joe Casini: “Questa è molto interessante, scusa se sottolineo. Sostanzialmente o sei leader o non sei niente. L’idea oggi è quella.”
Filippo Sensi: “Insomma è alla ricerca di follower raccontando la tua storia, spesso la tua vita, quello che fai ogni giorno, ti porta un pubblico, un’audience, poi c’è la questione ancora veramente alchemica di quanto questo pubblico si trasformi in consenso, questo per la politica, questo algoritmo ancora non si è capito, non si è trovato, cioè non basta avere milioni di follower per essere votato da milioni di persone o arrivare a milioni di persone per essere ascoltato e accolto e convincermi di ogni persona. Però al netto di questo la cosa interessante Joe è che poi se tu vedi, e parlo della politica delle leadership anche internazionali, ognuno sceglie la sua piattaforma congeniale. Tu dicevi di quanto le piattaforme influenzino e condizionino anche la ritmica, la dinamica, la qualità dell’offerta politica e questo è molto vero, per cui ci sono leader da Twitter leader da Instagram e sicuramente leader da Tik. Tok, e via aggiungendo. Questo perché poi le piattaforme in qualche modo sono dei grandi vasi ai quali cerchiamo di corrispondere, la brevità sulfurea di Twitter e lo spiegone di Facebook, la parte visuale rappresentativa di Instagram e l’estrema velocità ludica di Tik Tok. Insomma dimmi che piattaforma usi e ti dirò che leader sei.”
Joe Casini: “Assolutamente vero. Mi verrebbe da fare una battuta visto le ultime elezioni politiche, sui leader di TikTok ci dobbiamo ancora lavorare perché gli esperimenti sono stati un po’ particolari. Allora Filippo andando avanti ora la possibilità che ti do è quella di scegliere un pochino la prossima domanda, quindi la prima cosa che ti domando è: vorresti una domanda in cui parliamo di politica o una domanda in cui parliamo di giornalismo?”
Filippo Sensi: “Non lo so veramente, forse giornalismo, ma sono aperto a qualsiasi evenienza.”
Joe Casini: “Andiamo sul giornalismo e vorresti avesse un taglio più personale o un taglio più professionale?”
Filippo Sensi: “Non lo so, forse professionale.”
Joe Casini: “Andiamo sulla domanda sul giornalismo professionale. La domanda che ti volevo fare è: perché secondo te esistono ancora i giornali cartacei al di là del fatto che qualcuno ancora li compra, però in generale dato che si parla sempre di comunicazione on-line, però al tempo stesso, basta anche vedere dove si vogliono posizionare le firme più autorevoli, come mai ancora oggi abbiamo il giornale cartaceo, che da un certo punto di vista è una cosa un po’ anacronistica?”
Filippo Sensi: “A parte che ci sono utensili, passami il termine, che hanno un lunga storia e nei secoli non si sono granché trasformati come il chiodo ora non dico che il giornale di carta sia come il chiodo come la leva, però insomma hanno una lunga storia, una lunga tradizione. Io non credo che stiano in piedi soltanto perché le generazioni più anziane coltivano ancora quel rito, il ritmo e l’architettura e la selezione dei temi che un giornale di carta ti offre, ti propone. Io credo che quell’architettura è un’architettura che ancora condiziona fortemente anche l’architettura digitale, la scelta e la selezione dei temi, anche la gerarchia delle notizie che tu ritrovi sul digitale, che tu ritrovi sulle pagine on-line dei quotidiani di tutto il mondo, non riguarda soltanto l’Italia, di fatto è ancora, nonostante le trasformazioni e nonostante soprattutto l’importanza dei social, dentro lo schema voluto dai giornali di carta. Oggi sono delle astuzie della ragione, cioè, adesso la dico male, ma gran parte dei palinsesti quotidiani di un telegiornale, quindi della TV che è ancora una forza e una presenza incombente, rilevante nella vita di ognuno di noi sono fatti sui giornali di carta, cioè la riunione di redazione del telegiornale si fa ancora, oltre che sulle breaking news, si fa ancora molto sulla lettura dei giornali e tantissimi diciamo siti di informazione ancora hanno un rapporto molto forte con i giornali di carta. La rassegna stampa del Post è uno dei momenti più spettacolari e di spettacolarizzazione teatrale dell’offerta del Post ai suoi abbonati, pensa per tutti allo straordinario successo della rassegna quotidiana di Francesco Costa, pensa al ritorno della radio che recupera i giornali attraverso la rassegna stampa e questo macinare quel racconto. Io non penso che il giornale di carta sia destinato a scomparire, certo abbiamo visto che ha dovuto mutare pelle, certo c’è una crisi della stampa drammatica, certo c’è una crisi dell’informazione del lavoro giornalistico però credo che una delle forze della rete sia una forza di trazione/attrazione, pensavamo che la rete soppiantasse la TV poi vedi Sanremo e capisci che la rete è il cosiddetto secondo schermo.”
Joe Casini: “Quando il Papa è andato da Fazio immagino non avrebbe fatto un’intervista su un sito web.”
Filippo Sensi: “Probabilmente, e lo stesso avviene nei confronti del giornale di carta, cioè a parte riprendere il gusto delle letture lunghe, i mensili, i settimanali, il giornalismo fatto bene, più disteso, le review che ci sono, penso per dirti quella del foglio che è fatta benissimo, cioè c’è un gusto anche tattile anche corporeo in questo mondo più disincarnato, più digitale, covidato, che il giornale di carta, la rivista di carta continua ad avere anche per le giovani generazioni. Quindi, io penso che sia un vizio assurdo, per dirla con Pavese, che però ha ancora futuro.”
Joe Casini: “Mi ha colpito molto quello che dicevi su come lo strumento poi organizza il campo, il fatto di lavorare sul cartaceo orienta il modo di come si lavora anche sui siti web e televisioni. Noi qui parliamo spesso di organizzazione e non a caso ora passiamo alla domanda al pubblico. Noi abbiamo la possibilità in questa stagione di far fare domande al pubblico e molte domande sono arrivate nel tuo caso avevano a che fare con il Partito Democratico, secondo me un tema interessante proprio in termini di organizzazione è un po’ questo. Il Partito Democratico al di là di tutto rappresenta, forse, in Italia l’unico esempio di un tipo di organizzazione con una fortissima democrazia interna con la leadership contendibile, è probabilmente il partito che meglio rappresenta, lo dice anche il nome stesso, l’organizzazione Democratica. Da qualche anno assistiamo, tu parlavi appunto della tendenza a guardare sempre più alle leadership forti, il contesto un po’ di insicurezza generale su vari fronti negli ultimi anni e alcuni anche molto drammatici, ma insomma il contesto generale di insicurezza ci porta magari a guardare delle leadership forti. La domanda che ti volevo fare prendendo spunto dalla domanda del pubblico è: questa differenza tra processi partecipati e processi più calati dall’altro, tra dibattito interno e leadership contendibile, rappresenta il modo in cui le organizzazioni sociali, in questo caso un partito, affrontano l’ambiente esterno? E questo processo così partcipato oggi, secondo te, in che misura è ancora efficace?”
Filippo Sensi: “Guarda te la prendo così, quanto sia importante la democrazia, la libera-ldemocrazia lo vediamo benissimo in questi giorn, lo abbiamo visto in questo anno sul tema dell’aggressione a l’Ucraina, non è per tirare la palla in tribuna, però quello che pensavamo fosse scontato, il nostro sistema d’occidente, le democrazie, l’Unione Europea eccetera, con tutte le critiche che si potevano fare, l’Europa matrigna distante e tutte queste belle cose da un anno a questa parte in forza dell’invasione russa all’Ucraina ha ritrovato una ragion d’essere e anche una comunanza che si è rivelata in attesa, cioè tutti pensavano che alla fine si sarebbe sbriciolata in un dedalo di voci la compattezza contro l’aggressione all’Ucraina e invece non è stato così, anzi in qualche modo, prima la crisi del covid attribuendo all’Unione Europea funzioni e responsabilità che non aveva, una titolarità che non aveva e poi l’attacco di Putin all’Ucraina, hanno trovato un fronte occidentale, diciamo un fronte Democratico, Liberal-Democratico unito e compatto. Questo cosa ci dice? Che i partiti teniamoceli cari, i giornali teniamoceli cari, l’informazione teniamocela cara, sono l’ossigeno della vita Democratica del paese. Siamo di fronte a una decisione da prendere e quindi quello che davamo per scontato non lo è più e va rivivificato e va difeso. Ora tornando a noi, io sono orgoglioso che il Partito Democratico sia credo l’unica azione che si chiama partito all’interno del parlamento italiano, ma non per una nostalgia d’antan per la Costituzione, il passato e perché il Partito Democratico sa sempre un po’ di polveroso, ma perché penso che questa sia la forma che c’è consegnata dalla costituzione e quindi penso che sia un valore aggiunto, non un meno il fatto di essere un partito di avere delle procedure, magari troppo lunghe, magari barocche, magari poco comprensibili e noiose,, ma procedure che poi paradossalmente, entro io sul tema delle primarie, consentono a persone, cittadini, solamente per il fatto di essere cittadini, di poter partecipare al momento più importante della vita di un partito e cioè la decisione della sua leadership. ‘Eh ma come, ma voi militanti, iscritti consentite il fatto che uno di un altro partito possa scegliere il tuo leader?’ Certo che questo è un problema, è un rischio, è mare aperto, certo che questo si può prestare a storture, deviazioni, però questo rischio è anche la Democrazia. Io sono molto orgoglioso di questo processo, ma non per come dicono i detrattori la gazebata, però vedere alle 19:30 di sera poco prima della chiusura dei seggi 4 ragazzi che stanno in un gazebo nell’estrema periferia di Roma nord sotto la pioggia ad aspettare qualcuno che arriva per votare io non lo so se è una romanticheria, ma penso che sia banalmente l’esercizio della Democrazia. Allora il messaggio è teniamoci stretti i partiti che fanno decidere, che fanno scegliere, che hanno questi momenti, che hanno le loro procedure perché sennò abbiamo i partiti personali. Io non so quanti altri partiti facciano congressi in Italia, cioè io non ricordo l’ultimo congresso, ma lo dico senza sine ira et studio, di Fratelli d’Italia o il congresso della Lega o il congresso di troviamo un altro partito, molto spesso le leadership sono l’unico collante di partiti personali che vivono attorno al carisma della leadership dal quale deriva l’organizzazione interna, chi viene promosso, chi viene allontanato. Questo nel Partito Democratico, non che non ci siano le correnti e le componenti, i sotterfugi, però ci sono delle procedure che consentono la scalabilità del partito, che consentono la sua contendibilità della leadership che consentono anche uno relativo, però rinnovamento della classe dirigente. Io penso che questo sia un valore aggiunto qualunque sia il rischio che si prende accettando che possa votare uno della Lega al tuo gazebo, è ben accetto.”
Joe Casini: “La prossima domanda è la domanda del filo del rasoio. Qual è il criterio con il quale, nel momento in cui si ha un’informazione da giornalista, si decide se quell’informazione è di interesse pubblico e quindi ha più valore far circolare un’informazione o al contrario quell’informazione può diventare destabilizzante?”
Filippo Sensi: “Permettimi di rispondere con un paio di aneddoti, non per fare una cosa cringe, ma perché penso che sono due occasioni che possono dare un tentativo di risposta a quello che mi chiedevi. La prima, te lo faccio dalla parte diciamo della comunicazione piuttosto che non dell’informazione; primi giorni della mia esperienza a Palazzo Chigi con Matteo Renzi Presidente del Consiglio, andiamo a Taranto, dovevamo arrivare alla prefettura di Taranto arrivando c’era la sfilata delle auto blu, la polizia eccetera eccetera, veniamo contestati. Dei manifestanti contestano, tempo che noi saliamo in questo palazzo, palazzo marmoreo sul mare, tempo che faccio questi gradoni, arrivo al piano di sopra e chiaramente il video che era stato girato dai manifestanti era già online sulle prime pagine dei giornali italiani ed era ‘Renzi contestato a Taranto’. Le immagini erano ovviamente orizzontali, girate dai manifestanti, quindi l’arrivo delle auto blu, le sfarate, le sirene, le palette. Il frame era il potere contestato dal popolo, dalle persone in un contesto molto verticale. Mi affaccio dalla finestra della Prefettura e vedo che i manifestanti erano 9, cioè tra l’altro erano portatori di legittimi interessi e cause diverse tra loro, la contestazione così tumultuosa nell’immagine in prima persona era una contestazione di 9 persone a quel punto io decido di fare una foto dall’alto dei manifestanti e di proporre quella foto a le testate on-line che aprivano cubitali sulla contestazione a Renzi. Ora qui ci sono dei margini di deontologia, di opportunità, anche di velocità, ovviamente su cui possiamo questionare perché è chiaro che se ti segnala una cosa Palazzo Chigi ha un peso e una forza diversa rispetto alla manifestazione e che la manifestazione, come ci ha insegnato Tienanmen, può essere fatta anche da una persona e diventare epocale e portare una ragione contro un potere o contro, in quel caso, una dittatura. Quindi questo va tutto rispettato ed è tutto nobile, però io mi sono trovato in quegli istanti a dire ‘prova a contestualizzare il tuo racconto informativo con un altro punto di vista’ che non è una narrazione alternativa trumpiana, ma è semplicemente una prospettiva diversa diversa, per dire io te la offro, sapendo che ovviamente è un’offerta che viene da Palazzo Chigi, dal portavoce del Presidente del Consiglio, però poi è il giornale che deve decidere se ‘vabbè ma alla fine ma che cavolo erano solo 9 persone’ oppure ‘dire chi se ne frega sono 9 persone, ma hanno ragione a protestare perché portano i loro interessi e quindi teniamo quella notizia’. Questo per darti un pezzo della risposta. La seconda parte della mia risposta più che un aneddoto è un pezzo di una serie TV, famosa quando io ero più giovane, che si chiamava The newsroom con un pezzo straordinario storico che racconta molto di che cosa è, dovrebbe e può essere l’informazione e il giornalismo. Cioè nella lunga diretta di una televisione con l’anchorman in diretta arriva la notizia di un attentato nel quale avevano sparato a una deputata americana. In quel momento febbrile la relazione, quindi nel backstage, deve capire se la deputata è ancora in vita o è morta, le altre catene televisive nel racconto di Aaron Sorkin che è lo sceneggiatore di questa straordinaria serie, le altre catene danno la morte della deputata. Pausa pubblicitaria entra il producer, entrano tutti i dirigenti, della catena televisiva a dire all’anchorman ‘tutti stanno dicendo che è morta, quindi i nostri telespettatori stanno andando verso altre emittenti, se tu non dici che è morta noi stiamo perdendo telespettatori’ e ad un certo punto lui chiede conforto a uno dei producer e dice ‘tu cosa dici? e lui dice ‘se una persona è morta non lo decide la TV, ma lo decide un medico’. Si rientra dal vivo e lui dice ‘siamo ancora aspettando conferma’ eccetera nel dispetto dei suoi producer come per dire continuiamo a perdere telespettatori. In quell’istante del backstage nella sua relazione arriva la notizia che la deputata è viva e in quel momento quindi lo dicono all’anchorman che dice ‘siamo in grado di dirvi che la deputata sta per subire un’operazione chirurgica, ma è viva’. Quindi unica emittente, nella finzione della serie tv, a dare la notizia vera e chiaramente che cosa ci racconta? Ci racconta che nell’informazione freno-frizione, a proposito della responsabilità e della deontologia, dare la notizia quando è verificata è quello che dovrebbe fare un buon giornalista. Questa è una fiction però ci racconta molto delle scelte alle quali sono sottoposti tutti i giornalisti che quotidianamente fanno il loro lavoro. Sul campo di battaglia in Ucraina come inviati come Stefania Battistini del Tg1 o semplicemente facendo anche un copia-incolla di agenzie, tu scegli qual è l’architettura, tu scegli qual è l’informazione da dare, tu sai quali sono le pressioni di Palazzo Chigi, del tuo capo redattore, del tuo pubblico, dei like, del tuo post e però è in capo a te, questa responsabilità è una responsabilità che si costruisce con la propria personalità, la propria esperienza e i titoli eccetera del lavoro che i giornalisti sono chiamati a fare.”
Joe Casini: “Filippo stiamo andando, purtroppo, in conclusione con la puntata, ma abbiamo ancora spazio per la domanda che io chiamo della birra di troppo. Non ho dubbi sulla domanda da farti, lo dico per chi ci sta ascoltando, con Filippo ci siamo conosciuti in un contesto in cui si parlava di salute mentale. Filippo in quel contesto ha fatto un racconto che mi è piaciuto moltissimo sulla genesi del bonus psicologo, la domanda che ti faccio è: mi racconti, nel mio caso di nuovo, com’è nato il bonus psicologo?”
Filippo Sensi: “Guarda intanto il bonus psicologo nasce tutto sommato nei giorni e nella riflessione post covid. Ho provato ad avere, quando ho avuto la responsabilità in Parlamento, un’attenzione sui temi della salute mentale, del benessere psicologico eccetera e qualche cosa era stata fatta prima, ma insomma, mi sembrano sempre gocce e non che non lo siano anche i soldi, decrescenti purtroppo del bonus psicologo, però il covid sicuramente ha cambiato molto, è stato un po’ come un colpo di vanga che rivelato dal terreno qualche cosa di oscuro che o volevamo tenere lontano dalla vista o anche vivendolo nella propria vita personale, nella propria famiglia, nella propria sfera di amicizie, stentavamo a riconoscere a ricodificare, quindi il covid ha avuto un impatto fortissimo sulla spinta che, penso a Caterina Biti senatrice del Partito Democratico che ha fatto un lavoro straordinario su questo, ci ha spinto a lavorare in quella direzione. Certo c’era il clima giusto, il clima giusto era che c’erano ristori da dare perché è stato un periodo molto duro per i cittadini, abbiamo pensato che forse il tema della salute mentale, in particolare ma non solo, dei nostri ragazzi fosse un tema da mettere al centro di un intervento legislativo. Questo per una serie di motivi il famoso stigma, il fatto che un’assistenza psicica/piscologica è considerata ancora troppo spesso come un privilegio nelle mani di poche persone, un po’ per il grido che sentivo intorno a me di una condizione sempre meno sopportabile da parte di tante persone. Io ho sentito storie di tutti i tipi, alcune drammatiche, fenomeni crescenti, ci sono le statistiche, cutting, fenomeni di hikikomori, depressioni, disturbi alimentari, di tutti i tipi consumi di farmaci, soprattutto anche tra le generazioni più giovani, insomma, io ho pensato che il Parlamento aveva un senso se provava a dare una risposta anche a questo e non soltanto a ritinteggiare la casa o a dare agevolazioni per poter schermare le finestre con le zanzariere. Bisognava mettere a punto uno strumento che non fosse una mancetta, come si dice, ma che in qualche modo, non amo la politica dei segnali, desse il segno di un’attenzione. Questo tema ci riguarda, com’è possibile che noi nella nostra vita questa cosa la viviamo personalmente, ognuno di noi, e poi entriamo in Parlamento e poi ci occupiamo soltanto di esoteriche questioni, iniziative di legge, milleproroghe, te l’ho fatta lunga però la sostanza è stata questa. Questo segnale è quello che ci ha spinto ad andare avanti, all’inizio ci abbiamo provato al Senato, ci abbiamo riprovato alla Camera, un po’ di nascosto, l’abbiamo messo in un altro provvedimento e su quello abbiamo costruito un consenso e sai come l’abbiamo trovato? Questo si può dire, mi è capitato di dirlo, può essere anche visto male, ma il momento decisivo, il passaggio decisivo è stato che uno dei decision-maker, cioè una delle persone decisive per decidere se lì in quella scatola ci sono dei soldi o no stava sperimentando sulla sua pelle quella situazione, quindi lo so, magari non è giusto, è brutto oppure è semplicemente personale, ma ho trovato qualcuno che ha detto ‘io in questa cosa ci credo perché la sto vivendo e penso che sia giusto così’. Sono molto orgoglioso, non del lavoro fatto da me, ma del fatto che il Parlamento abbia trovato la forza di dire che la salute mentale delle persone è una priorità che va ascoltata e che va accompagnata con provvedimenti che vadano in porto perché poi siamo tutti capaci di dire ‘abbiamo approvato’ ma poi tra l’aula, i decreti legislativi, l’approvazione, la pubblicazione in Gazzetta, il lavoro che devono fare i Ministeri, corrono mesi di spinta, di lavoro politico sennò uno annuncia e poi non c’è niente. Certo quel poco che è arrivato è troppo poco, adesso la misura è stata confermata ed è ancora meno finanziata di prima e ci abbiamo riprovato adesso, ci hanno riprovato i miei ex colleghi che sono in Parlamento a farlo al Senato e non ci sono riusciti, ma io penso che ci si riproverà. Risolve il tema della salute mentale? No, ci vogliono lo psicologo di base, ci vogliono psicologi nei luoghi di lavoro, nella scuola, ci vuole una cultura della psicologia e dell’ascolto, del confronto, non lo devo dire a te che fai questo lavoro e lo fai con questa capacità.”
Joe Casini: “è importante dirlo, infatti ci tenevo a raccontare sia per l’importanza che il bonus ha avuto e ha ancora, purtroppo in misura ridotta, che per un altro aspetto secondo me altrettanto importante: viviamo in quest’epoca di polarizzazione quindi a volte il messaggio che passa sul modo di fare politica è quello di scontrarsi, invece mi colpisce molto che si siano trovate delle convergenze anche tra persone di schieramenti diversi semplicemente perchè immagino che il senso del Parlamento e del fare politico sia proprio quello di trovare delle convergenze altrimenti ognuno starebbe da solo a casa propria, ma il fatto che si sia trovata una convergenza partendo da un bisogno primario, non ci vedo nulla di male che uno abbia una maggior sensibilità anche perchè ha un problema più vicino, credo sia doppiamente importante e quindi ci tenevo a raccontarlo e ti ringrazio per averlo fatto. Chiudiamo con la domanda che chiamiamo Secret Santa. Allora gli ospiti che ti propongo sono Guido Scorza, che immagino conosci bene, è membro del garante della privacy, Vera Gheno che è socio-linguista, e Alberto Puliafito che è direttore di Slow News e giornalista. Di questi tre ospiti quale ti intriga di più?”
Filippo Sensi: “Vera Gheno”
Joe Casini: “La domanda che ha lasciato Vera è: quand’è stata l’ultima volta in cui hai pensato di fare una cosa utile per le altre persone? La domanda di Vera sottolienava l’intenzionalità. Nel tuo caso viene dopo la risposta sul bonus, magari mettiamo da parte il bonus psicologo.”
Filippo Sensi: “Adesso non so sull’utilità, però una cosa che mi capita spesso di fare anche in questi giorni, in queste ore è parlare con i ragazzi che stanno preparando magari una tesi di laurea o stanno facendo un lavoro di ricerca eccetera e che hanno curiosità di confrontarsi sui temi della comunicazione politica, sui temi della politica e quello mi sembra sempre il tempo meglio speso della mia giornata perché vedo una curiosità, una passione, una competenza che mi arricchisce molto e quindi non è tanto la mia intenzione di essere utile, quanto il riflesso di godere di quella generosità, di quella passione che ragazze e ragazzi mettono nel loro percorso di formazione e ricerca.”
Joe Casini: “Il valore del tempo assolutamente. Purtroppo la puntata è terminata, ti ringrazio per essere stato con noi. Saluto a tutti gli ascoltatori, ovviamente l’appuntamento è tra due settimane con la prossima puntata del podcast.”
Filippo Sensi: “Grazie a te. Grazie a voi per la vostra ospitalità.”