Con Irene Doda, giornalista freelance e autrice del libro “L’utopia dei miliardari”, parliamo di lungo termismo, la filosofia preferita dagli abitanti della Silicon Valley, e del rapporto tra classe, lavoro, genere e tecnologia.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti ad una nuova puntata di Mondo Complesso, il podcast in cui parliamo di complessità e di come i fenomeni si interconnettono sempre di più nell’epoca in cui viviamo. La puntata di oggi racconta benissimo questo aspetto perché oggi parleremo di lungo termismo, quindi un fenomeno che esploreremo in tutte le direzioni ma ha a che fare con le nostre società, con l’economia, la scienza, la tecnologia, si incrociano anche qui tantissimi fenomeni e lo faremo con un’esperta di questo tema, visto che da poco ha pubblicato un libro interessantissimo. Per prima cosa benvenuta Irene Doda.”
Irene Doda: “Grazie dell’invito Joe e grazie a tutte le persone che ci stanno ascoltando.”
Joe Casini: “Irene, come dicevo, ha scritto un libro molto interessante su questo argomento, mi sento di dire il miglior libro su questo argomento e che vi consiglio di leggere assolutamente che si chiama ‘l’utopia dei miliardari’ e già dal titolo si capisce a lungo termismo quali fenomeni si porta dietro, ma avremo tutta la puntata per esplorarlo. Da tradizione partiamo con quella che chiamiamo la domanda semplice: cos’è il lungo termismo?”
Irene Doda: “Che non è una domanda così semplice perchè appunto il fenomeno, come giustamente dicevi tu nell’introduzione, copre diversi aspetti della realtà e si può intersecare con diverse questioni. Detta in maniera semplice e schematica, il lungo termismo è una ideologia, filosofia che è molto in voga tra alcuni miliardari del mondo tecnologico, della silicon valley, in particolare statunitensi o comunque afferenti al mondo anglosassone che ha diciamo 3 principali pilastri. Il primo è che guarda non al breve termine ma al lunghissimo termine che in questo caso non significa nell’arco di 50 anni o nelle prossime generazioni o nell’arco di qualche centinaio di anni ma di migliaia se non addirittura milioni di anni, quindi una delle idee centrali del lungo termismo è che la priorità morale del nostro agire nel presente non debba essere fare del bene per noi stessi nel futuro o per gli ipotetici nostri figli o le persone che vivranno sulla Terra tra 50 anni ma fare il bene di un’umanità futura che vivrà sul pianeta Terra se esisterà ancora, ma l’orizzonte dei lungo termisti è addirittura quello delle altre galassie, o universo nell’arco di milioni di anni. L’altro pilastro ideologico del lungo termismo è legato al numero di persone che esisteranno, l’idea è che siamo in un momento in cui l’umanità può espandersi potenzialmente grazie alla tecnologia anche al di fuori del pianeta Terra, quindi per il bene dell’umanità fondamentalmente si esprime nel numero degli esseri umani che esisteranno nel futuro, più esseri umani saranno più stiamo raggiungendo una situazione di prosperità per l’umanità, quindi il nostro obiettivo dev’essere quello di aumentare il numero di esseri umani che viene automaticamente identificato con il bene, questo bene assoluto di cui poi parleremo più nel dettaglio. L’ultimo aspetto importante fondante dell’idea lungo termista è quello dell’umanità impotenza, cioè l’idea che il nostro valore come persone abbiamo gli stessi diritti e lo stesso valore di persone che vivranno potenzialmente tra tantissimo tempo. Quindi essere umani non ancora esistenti e la nostra esistenza ha altrettanto valore di quella degli esseri umani che vivranno in questo ipotetico lungo termine. Ovviamente questo modo di pensare ha diverse fallacie logiche e diverse fallacie etiche che io nel libro esploro.”
Joe Casini: “Proprio su questo volevo soffermarmi perché è un aspetto molto sottile, di base quello che i lungo termisti dicono è posto che la nostra vita ha lo stesso valore di quelli che ci hanno preceduti, allo stesso modo chi ci seguirà avrà la sua vita allo stesso modo della nostra e di conseguenza dovremmo mettere sullo stesso livello vite che ancora non esistono, ragionando in termini di potenza, quindi quello che potrebbe essere in futuro ha la stessa priorità di quello che c’è attualmente. Questa è una cosa un po’ sottile, perché questo significa ragionare in termini di sostenibilità e quindi da una parte ci suona familiare e dall’altra diventa intricchi, se io devo anteporre ipotetiche necessità e vite future a quello che in realtà sono le condizioni in cui viviamo oggi che sono condizioni spesso molto diseguali, è chiaro che facciamo fatica a mettere queste due cose sullo stesso piano.”
Irene Doda: “Si esatto, diciamo che tutta la questione dell’etica è intergenerazionale è una domanda molto importante nel nostro presente perché una delle prime cose che viene in mente quando si parla di sostenibilità è l’esempio del cambiamento climatico che forse è quello più immediato. Noi abbiamo visto che le politiche miopi, che sono state implementate nei decenni precedenti durante il periodo dell’industrializzazione, non hanno preso in considerazione l’aspetto ambientale. Proprio poco fa stavamo parlando dell’alluvione in Romagna e dell’enorme rischio idrogeologico come ad esempio il consumo del suolo e la costruzione selvaggia, tutte queste politiche sono state pensate nel breve o brevissimo termine, addirittura forse in termini di qualche formata elettorale quindi sicuramente non con l’idea di fare del bene per le prossime generazioni. La mia lettura è che ci sia una differenza fondamentale tra una visione di lungo termine che può avere un impatto positivo sulle future generazioni, ad esempio quello che può essere una riforma delle politiche climatiche a livello mondiale o un effettivo taglio delle emissioni della CO2 o del consumo del suolo. Quindi delle politiche che hanno degli effetti positivi nel lungo termine nelle future generazioni e quell’idea che dobbiamo pensare come priorità morale agli esseri umani che vivranno tra 1 milione di anni e la differenza fondamentale è che quando si parla di future generazioni, quindi di benessere, delle persone che sono bambine oggi o dei nostri ipotetici figli, quest’idea di benessere e di cose fare per migliorare la loro vita interroga profondamente il nostro presente, dobbiamo pensare ai nostri modelli di sviluppo, i nostri modelli di consumo, le nostre politiche pubbliche, i nostri modelli economici e sociali, la disuguaglianza etc., quando invece si parla di umanità e impotenza tra 1 milione di anni noi non sappiamo nemmeno se esisterà ancora la Terra o in che condizioni sarà il sistema solare, quindi è una visione a lungo termine che di fatto non mette in discussione nulla del presente e delle scelte che facciamo del presente. Infatti per tornare al titolo del libro che tu citavi, ‘l’utopia dei miliardari’ è una visione di lungo termine che fa molto comodo ed è infatti anche molto in voga tra le persone che il potere lo detengono nel presente che sicuramente non sono colpite direttamente né dalla disuguaglianza sociale né dal cambiamento climatico ne da tutti i rischi a cui l’umanità è sottoposta in questo momento storico e che traggono profitto da questa situazione, perchè un esempio classico che si fa, anche se in realtà non è soltanto lui ad essere un esponente del lungo termismo, è Elon Musk, se si pensa a lui non è sicuramente lui il primo a vivere gli effetti del cambiamento climatico, non è sicuramente lui gli effetti dannosi della disuguaglianza sociale però fa comodo dire ‘dobbiamo fare del bene nel lunghissimo termine fidatevi di noi sappiamo cosa succederà e quali saranno gli effetti’, questa cosa ha degli effetti nell’implementare politiche sul presente? Molto poco perché io cosa ne so di cosa faccio adesso che effetti avrà tra un milione di anni. La mia lettura è che sia una sorte di specchietto per le allodole per il mantenimento del potere.”
Joe Casini: “Infatti questo mi ricorda moltissimo anche l’intelligenza artificiale che è un altro tema molto in hype. Anche lì avviene qualcosa di simile, vediamo i magnati dell’industria tecnologia che creano, anche con toni allarmistici, un’attenzione enorme sull’intelligenza artificiale perchè tra qualche anno potrebbe sterminare la nostra società tralasciando completamente quello che nel presente magari sono tutti i lavori sottopagati che girano intorno a questa tecnologia come per esempio i data label ma in generale quelle che possono essere le disequità nel presente. Quindi, tu nel titolo hai messo ‘l’utopia dei miliardari’ secondo te come si cala nella società questo tema?”
Irene Doda: “Tu hai fatto un ottimo esempio che è quello dell’intelligenza artificiale che in realtà è l’altra tematica su cui il lungo termismo può essere considerato più influente perchè tantissime delle persone che sposano questa filosofia o filosofie simili fanno parte dell’industria tecnologica e dell’élite tecnologica e sono quindi anche le persone che l’intelligenza artificiale la sviluppa. L’idea del rischio esistenziale per l’umanità, che è un’idea molto cara per il lungo termismo, tutte le volte che leggete dei paper/articoli/discorsi di lungo termisti trovate questa parola chiave che è il rischio esistenziale, quando si parla di intelligenza artificiale si parla di rischio esistenziale come l’intelligenza artificiale causerà la distruzione o l’estinzione dell’umanità. Come giustamente tu hai detto questo rischio è quasi considerabile metafisico, sicuramente al momento esistono dei rischi nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale e lo facciamo bene e l’unione europa li ha classificati nel recente IA Act che è diventato da poco legge e lo vediamo in tutte le fasi della creazione e dello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Tu hai citato giustamente i lavori sottopagati, i data labeling, il mechanical turk e tutto quello che allena l’intelligenza artificiale, ma vediamo anche gli effetti che la governance algoritmica ha sulle disuguaglianze, ad esempio tutti i bias razzisti e sessisti che sono all’interno degli algoritmi di riconoscimento facciale. Vediamo l’impiego dell’intelligenza artificiale per esempio alle frontiere, nel sistema giudiziario e penale che penalizzano sempre di più le persone che già vivono una situazione di discriminazione e oppressione alla base. Quindi tutte queste cose però fanno parte dell’intelligenza artificiale e compongono il quadro dell’intelligenza artificiale nella società perché sono problemi sociali che esistono all’interno del contesto umano e si possono affrontare tramite delle istituzioni politiche democratiche, un dibattito pubblico che può prendersi carico di queste questioni. Se io vedo l’intelligenza artificiale non come un fenomeno umano, politico, che si può affrontare all’interno di dibattiti democratici aperti, trasparenti, istituzionali, popolari, possiamo metterci dentro quello che vogliamo, ma come una sorta di rischio metafisico che può essere scongiurato soltanto tramite le decisioni di pochi che affrontano questa specie di golem parareligioso, capisci bene che si toglie tutta la possibilità di agency ai cittadini che poi gli effetti dell’intelligenza artificiale la vivono direttamente.”
Joe Casini: “Mi colpiva molto perchè ci sono queste due tendenze: da una parte c’è il tentativo di sacralizzare certi temi e quindi creare questa casta di sacerdoti che sono gli unici che in qualche modo intercedono con la divinità e dall’altra parte un processo di secolarizzazione nel dire che sono delle tecnologie che hanno degli impatti importanti, ciò non toglie che le nostre strutture politiche siano in grado di regolamentarli, e si torna a quello che dicevi tu all’inizio, il sottinteso di queste teorie di lungo termismo è un po’ la conservazione o la messa in discussione dei rapporti di potere nell’andare in una logica di iper capitalismo no?”
Irene Doda: “Esatto, la discussione dei rapporti di potere è un altro concetto che discuto molto nel libro, cioè l’idea di base del lungo termismo è un po’ gattopardiana, tutto cambia perché nulla cambi, quindi c’è questa visione molto futuristica, che può sembrare trasformativa dell’umanità, che dobbiamo espanderci, dobbiamo cambiare, ma di fatto non c’è nessuna discussione né del sistema economico, se vogliamo parlare di capitalismo o iper capitalismo, né dei rapporti sociali, né del rapporto di chi fa la scienza e chi fa la tecnologia e come la fa, sono sempre gli stessi che hanno detenuto il potere fino a questo momento che continueranno a progettare la tecnologia perchè se un Elon Musk, o chi per lui, fino a questo momento ha portato l’umanità su una determinata traiettoria sicuramente una filosofia che lui sposa non è di tipo rivoluzionario in senso di non sovverte nulla degli esistenti rapporti di potere. Quindi, questo podcast parla di complessità, quello che io dico nel libro, e poi ognuno che lo leggerà si farà una sua idea, è che nel lungo termismo manchi proprio un’analisi della complessità, un’analisi materiale dei rapporti di potere e che ci sia una deliberata ignoranza rispetto alle diversità di approcci e le diversità di visioni politiche. L’idea che ci sia una sorta di formula matematica che porterà alla prosperità dell’umanità e al bene, con la b maiuscola, che tra l’altro è identificato con quante persone esisteranno nell’universo, nel senso che si può anche discutere se questa cosa sia o non sia bene, non è necessariamente detto, un estremo antropocentrismo, quindi una totale ignoranza di vita ma anche di tutto il mondo naturale, che non è soltanto quello terrestre, ma anche quello extraterrestre e soprattutto una totale ignoranza, anche deliberata, dei sistemi che ci hanno portato fino a questo punto perché come viene progettato l’intelligenza artificiale non è una cosa che viene dal cielo, una cosa che viene dal destino, una cosa calata da un essere soprannaturale ma è un fenomeno umano.”
Joe Casini: “Visto che abbiamo fatto riferimenti anche alle religioni, una cosa che mi verrebbe da dire per contro sicuramente il lungo termismo è una narrazione anche molto affascinante, forse uno dei motivi per cui puoi fa presa è anche il fatto che questo racconto della nostra specie sfocia proprio nella fantascienza, riprende tutto questo immaginario enorme che abbiamo e quindi anche per questo fa molta presa. La domanda che ti volevo fare è: quanto le narrazioni da questo punto di vista incidono nella narrazione di questi fenomeni?””
Irene Doda: “Una conversazione molto interessante che ho avuto abbastanza di recente rispetto al libro è stata con un prete su un podcast di Rai play sound in cui si è parlato degli aspetti religiosi del lungo termismo, io non sono una teologa, però la questione della religione è molto importante, ci sono alcune persone che hanno definito lungo termismo tecno religione, cioè religione che si lega alla tecnologia. La questione se il lungo termismo sia o no un culto, una religione, e che tipo di visione venda è molto interessante perchè secondo me la presenza e il fascino di questa filosofia, la presa che sta avendo all’interno di determinate elite un po’ rimanda al senso di necessità di guardare a lungo termine e al senso di necessità di non agire sempre in emergenza o non pensare sempre nel breve termine come se ci fosse qualcosa che ci corre dietro, che è un po’ una cifra degli ultimi periodi che l’orologio sta ticchettando e noi stiamo andando sempre più vicino alla catastrofe, che in parte può anche essere vero ma dal punto di vista culturale, spirituale e umano è una cosa molto pesante con cui fare i conti. Quindi secondo me l’idea affascinante para religiosa che ci sia una modalità, delle persone che sono in grado di traghettare l’umanità verso una prosperità futura è ovviamente molto affascinante, un po’ perché è sempre stato così, tantissime ideologie e religioni hanno questa idea della luce infondo al tunnel, della prosperità futura, in questo caso il fatto che sia propugnata da persone che hanno anche un grosso potere tecnologico che hanno dimostrato di saper proporre delle soluzioni nuova ai problemi da anche una certa sicurezza di dire ‘loro sanno effettivamente cosa fare per risolvere i problemi correnti dell’umanità e se ci dicono che dobbiamo pensare nel lungo termine e che a,b,c ci salveranno magari hanno anche ragione’, qui c’è un miscuglio di visione religiosa e pragmatica, io capisco ed empatizzo anche molto umanamente con quest’idea e questa necessità di una costruzione di un mondo ed è una cosa che forse dall’altra parte manca molto, l’idea di sopravvivere in un mondo al collasso, dobbiamo costruire tante cose ma cosa dobbiamo costruire poi nel futuro? Quindi per rispondere alla tua domanda la visione secondo me è la cosa che rende il lungo termismo più affascinante, proprio la parte utopica, abbiamo scelto questo titolo proprio perchè c’è anche un po’ l’idea utopia che però sembra una distopia. Quando la analizziamo è più un’utopia o una distopia? E soprattutto utopia per chi? Perché utopia vuol dire sogno nel lungo termine, ma a chi effettivamente conviene un determinato sogno o una determinata visione? Quindi c’è sicuramente una parte di immaginazione, la definirei non religiosa ma para religiosa.”
Joe Casini: “Anche colmare in qualche modo un vuoto che c’è in questo momento che è quello della visione a lungo termine, cioè il fatto che abbiamo comunque bisogno di tendere a qualcosa, in questa fase storica non capiamo bene a cosa stiamo tendendo, non abbiamo più le ideologie, le grandi conquiste da fare, effettivamente in questa ideologia è affascinante che mischia quella che poteva essere la corsa alla luna negli anni 50/60 con l’idea di questa prosperità con cui risolvere i problemi come l’emergenza climatica, cose di cui abbiamo molto bisogno ora, ed effettivamente manca il passaggio intermedio cioè se ci concentrassimo più su cosa fare non tra un milione di anni ma magari tra 5 anni sarebbe più efficace questo passaggio. Tu come ti sei appassionata a questo tema? A proposito di come fanno presa queste narrazioni, su di te come ha fatto presa?”
Irene Doda: “Bella domanda, io ho letto per la prima volta del lungo termismo leggendo un po’ in giro articoli su il mondo tecnologico perché è quello di cui mi occupo per lavoro e ho letto per la prima volta un’analisi di Hamilton Ress, filosofo che consiglio di leggere, ci sono suoi articoli per varie testate come The Atlantic o New Statement, quindi anche giornali anglofoni importanti e che lui criticava molto questa filosofia con argomenti abbastanza simili ai miei, molti dei quali riprendo nel libro. Ho scritto un articolo per l’indiscreto, ormai quasi 2 anni fa, e poi non me ne sono più occupata per un po’ di tempo finchè non ho ricevuto la proposta da parte di Francesco D’Isa, direttore dell’indiscreto, di approfondire il tema in questo libretto. All’inizio, devo dire, mi ha lasciato un po’ spiazzata la proposta perché la prima domanda che mi sono fatta è ‘davvero serve un libro per smontare le argomentazioni del lungo termismo?’ perché effettivamente in un articolo di 11000/12000 battute pensavo di esserci riuscita abbastanza bene, ma non perchè sia particolarmente brillante io ma perchè alcune cose proprio a livello logico sono molto facilmente smontabili quindi non ci vuole chissà che trattato complicato per capire che alcune cose del lungo termismo non hanno proprio senso a livello logico, però poi in realtà scrivendo il libro una cosa che ho trovato interessante del processo di scrittura è che ogni volta che aprivo una parentesi per parlare di diseguaglianza sociale, di cambiamento climatico, di rischio esistenziale legato all’intelligenza artificiale sbrodolavo tantissimo con il rischio di non starci nelle battute che mi aveva dato la casa editrice perché la collana Urano è fatta da tutti libri brevi, quindi il compito a casa era scrivere un saggio breve o comunque molto sintetico, quindi mi sono trovata il problema opposto, da che ero partita dicendo ‘come faccio a riempire 100 pagine parlando di lungo termismo quando bastano 10.000 battute’ a ‘capista per coprire tutti gli aspetti di questo libro ci vorrebbe un libro molto più lungo’, quindi io spero di essere riuscita a trovare il bilanciamento tra approfondimento e sintesi, cioè di essere rimasta focalizzata su una critica specifica e contemporaneamente aver dato l’idea anche dell’ampiezza di quanto l’analisi di questo tema può toccare varie problematiche sociali, del perché abbiamo bisogno di una filosofia che guardi a lungo termine, da dove viene questa filosofia e che tipo di problematiche ha, tra cui anche quella della mancanza di analisi sistemica di potere.”
Joe Casini: “Ci sei riuscita benissimo. La cosa interessante è che non solo racconti il tema ma tocchi anche tutti gli argomenti correlati. Ce n’è uno particolare, ne abbiamo già parlato di sfuggita ogni tanto nel podcast e invece ora ne possiamo parlare un po’ di più che è il tema del trans umanesimo che in qualche modo il lungo termismo si accompagna a quest’altra ideologia, vanno proprio a braccetto spesso e volentieri. In cosa consiste il transumanesimo?”
Irene Doda: “Il trans umanesimo è quella filosofia, ideologia, prassi di migliorare artificialmente alcune caratteristiche dell’essere umano per migliorarne le prestazioni, quindi ad esempio impiantarsi i chip nel cervello oppure modificarsi la vista oppure modificare la potenza dei muscoli etc., per essere esseri umani migliori. Anche questa è molto in voga in un certo tipo di mondo anche un po’ anarco-libertario, anglosassone, americano, tecnologico, tutto il mondo ha l’idea dell’hacking non soltanto ins senso psicologico ma anche in senso fisico, e l’idea che non ci sia un limite che il corpo umano non debba essere un limite per lo sviluppo di determinate capacità. Io devo dire non sono un’esperta di trans umanesimo quello che sono riuscita a trovare come punto di contatto con il lungo termismo è proprio quest’idea del superamento del limite, se il lungo termismo ha un visione più collettiva di idea di superamento del limite dell’umanità fuori dai confini dell’universo, nel lungo termine, fuori anche dal corpo umano perché se si leggono alcuni paper di pensatori lungo termisti si parla anche di esteri digitali che sono questa specie di coscienze astratte dal corpo e in questo c’è un punto di contatto con il trans umanesimo cioè l’idea che il limite del corpo umano sia superabile e che la semplice volontà dell’individuo e anche la volontà di competizione, di supremazia del singolo individuo possano effettivamente individuare le prestazioni e di conseguenza il miglioramento delle prestazioni individuali significhi un maggiore benessere e anche questo se ci pensi è qualcosa di profondamente calato nel nostro sistema capitalista, competitivo e individualista perché in molte culture non occidentali e al di fuori di una visione necessariamente competitiva e individualista l’idea che il miglioramento di prestazioni fisiche e individuali sia strettamente legato a un miglioramento del benessere dell’umanità, non è una cosa così scontata.”
Joe Casini: “assolutamente, poi quando facevi gli esempi del miglioramento e quindi impiantare chip è neura link di Elon Musk, e quindi per tornare al tema degli aspetti politici ma anche gli aspetti legati al reddito perché è evidente che uno degli aspetti del transumanesimo è chi si potrà permettere e quindi che distanza si va a mettere tra il tipo di cure, tecnologia, alle quali hai accesso perchè hai dei privilegi o redditi stratosferici rispetto al resto della popolazione. Quindi per tornare al tema sulla politica, io ho l’impressione, non so se ce l’hai anche te, che tutta la destra e l’ultra destra che si rifà a questo super capitalismo stia in questi anni evolvendosi e trovando queste nuove narrazioni che danno quel respiro a lungo termine e che fa presa sulle persone, dall’altra parte si sta facendo fatica o non si sta facendo nessun passo avanti nei campi più progressisti. In questo momento, paradossalmente, avevo letto anche diversi articoli, i progressisti dovrebbero utilizzare la tecnologia per emancipare il lavoro. Tutto questo tema di dire ‘non lasciamo il campo soltanto a una parte politica’ effettivamente sta creando un po’ un divario che prima ancora che nei risultati elettorali che vediamo tutti, questo sarà un anno ricco di elezioni in tutto il mondo, proprio dal punto di vista della visione che questi due approcci offrono alla cittadinanza.”
Irene Doda: “Sono molto d’accordo con questa lettura. Oltre al fatto che la destra e l’ultra destra nonostante siano molto particolaristiche, identitarie e nazionaliste sono state in grado di creare delle reti non da poco negli ultimi anni a livello transnazionale cosa che il campo progessista sicuramente ha fatto ma magari con un’efficacia e un’incidenza minore. Io credo che in questo caso la creazione di immaginari a lungo termine sia centrale proprio nella presa politica che determinate idee possono avere sulle persone, perchè come giustamente citavamo prima, il fatto che viviamo in quest’epoca che è un po prima di grande ideologie, grandi sogni, del grande progresso tecnologico o l’idea dell’ideologia alternativa debba essere quella comunista nel 900 o quella socialista, siamo un po’ intrappolati nel realismo capitalista, quindi nell’idea che il nostro mondo si restringe sempre di più e abbiamo sempre meno opzioni di spaziare fuori da determinati binari. La mia lettura da persona che viene da persona che viene da movimenti, io faccio parte del movimento femminista, credo che una delle cose che sappiamo fare molto bene è proprio quella di leggere i sistemi di potere e saperli decostruire, quello su cui ancora secondo me bisogna fare dei passi avanti è proprio quello di saper costruire, saper mette insieme dei pezzi e costruire un immaginario comune e in questo caso gioca lo stereotipo non sempre vero, ma neanche sempre falso, della sinistra che è piu brava a litigare all’interno di se stessa rispetto alla destra, la solita cosa che i fasci si menano in privato pero poi vanno in piazza tutti assieme, invece la sinistra si mena metaforicamente in piazza per le minime cose su cui non siam d’accordo. Questo è uno scherzo, però secondo me al campo progressista manca questa visione a lungo termine, questa costruzione di un immaginario alternativo. Non dico che non ci si sta provando però è anche difficile mettere insieme le cose, mi rendo conto che se passo molto tempo a sviscerare il sistema di potere e a costruire poi la parte di costruzione diventa sempre più faticosa, piano piano ci si può arrivare. Sicuramente una cosa che io guardo con molto ottimismo è tutto il movimento ambientalista e tutto il discorso molto radicale che si sta facendo intorno alle questioni ambientali che secondo me proprio per vedere al di là di questo muro catastrofico che c’è rispetto al cambiamento climatico, bisogna iniziare a dire ‘adesso è il momento di agire perchè prima dobbiamo superare l’emergenza e dobbiamo pensare ad un’idea di giustizia climatica e di sopravvivenza dell’umanità che non è soltanto per pochi’ e invece l’idea dei lungo termisti, ma anche di tanti miliardari ad esempio di quelli che vanno a costruirsi i bunker, e anche l’idea che sta dietro a tanta fantascienza distopica è che ci sarà un cambiamento climatico le case dei ricchi non si allagheranno e si creerà ancora più una frattura tra chi può sopravvivere e chi non può sopravvivere.”
Joe Casini: “E quindi mi hai portato all’ultima domanda che ti volevo fare prima di andare nella parte conclusiva del podcast che è una domanda che voglio fare da 3 anni, da quando è partito questo podcast, ma non ho mai trovato l’ospite giusto a cui farla e ora l’ho trovato. C’è un tema che è stato al centro del dibattito pubblico per decenni che è scomparso dai radar ormai da un po’ di tempo che è il tema della lotta di classe. La domanda che ti volevo fare è: rispetto a lungo termismo e in generale tutte queste strutture che in qualche modo stanno avanzando, secondo te può essere il momento di rispolverare un po’ il tema di lotta di classe o è un tema ormai archiviato?”
Irene Doda: “è sempre il momento di rispolverare la lotta di classe. Io ho una formazione anche molto materialista in certe cose, nel senso che i rapporti di classe e i rapporti economici sono fondativi di tantissime questioni anche di quelle che sembrano più lontane dalle questioni materiali ma possiamo leggere in termini di classe, in termini di rapporti economici, possiamo leggere dai rapporti di genere fino al cambiamento climatico, fino alle questioni tecnologiche. Quindi si, io credo che proprio con lo sviluppo tecnologico emergerà sempre di più la questione di classe e la questione della diseguaglianza anche perchè distaccandoci un po dal lungo termismo, anche tutti i discorsi che si fanno come ‘l’intelligenza artificiale ci ruberà il lavoro o creerà più lavoro?’, quelli che dicono l’intelligenza artificiale renderà obsoleti tutti i lavori anche questo è tutto da vero, non sappiamo quanto sarà reale questo scenario, sicuramente ci saranno dei lavori che diventeranno obsoleti , dall’altra parte ci sono quelli che dicono che l’intelligenza artificiale creerà altri lavori o bisognerà semplicemente reskillare le persone ed entrambe queste visioni sono totalmente ignoranti della differenza di classi e delle differenze di reddito, perché inevitabilmente se non si ripensa a qualcosa nel nostro sistema economico. Ci sarà una classe di persone che farà i lavori più bassi dell’intelligenza artificiale, che già ci sono tralatro, e sono per la maggior parte non basati in occidente ma basati in paesi a reddito molto minore e ci sarà una fascia di persone che invece si occuperà della progettazione, dell’ideazione, della commercializzazione etc. che sono basati nel nord globale, quindi ci sarà sicuramente una stratificazione di classe. Dall’altra parte, se si pensa anche alle questioni di genere, quando si dice l’intelligenza artificiale ruberà tutti i lavori stiamo parlando ad esempio anche dei lavori di cura? anche del lavoro domestico? oppure quello continuerà ad essere sulle spalle delle donne o delle persone femminilizzate o delle donne razzializzate emigranti? Quindi, di che lavori stiamo parlando? Quali saranno i lavori che potranno essere aboliti, anche quelli più usuranti che potranno essere aboliti dall’intelligenza artificiale? Anche se la guardiamo in senso progressista, anche se la guardiamo in senso di ‘usiamo l’intelligenza artificiale per togliere i lavori più pesanti’, stiamo parlando anche dei lavori femminilizzati o stiamo parlando soltanto dei lavori generalmente svolti dall’uomo? E stiamo parlando di una privatizzazione del lavoro, ad esempio, domestico oppure stiamo parlando di una socializzazione in cui i mezzi tecnologici avranno un ruolo. Queste domande qui non sono domande che hanno a che fare con la tecnica ma sono domande che hanno a che fare con la politica e anche con le questioni di classe, quindi io mi auguro che ci sarà una rinsorgenza o comunque una nuova discussione sulle questioni di classe che secondo me saranno solo amplificate dallo sviluppo tecnologico o comunque riprodotte.”
Joe Casini: “Magari il prossimo libro sarà incentrato su questo tema perché mi sembri molto in palla. A proposito di libro, una delle novità di questa stagione è il momento in cui c’è il consiglio di lettura/visione/ascolto, quindi è un momento che nasce per un puro mio moto egoista per farmi consigliare libri o film che però ne beneficiano tutti gli ascoltatori. La domanda che ti faccio è: mi consigli un libro o un film che secondo te è imprescindibile oggi?”
Irene Doda: “Posso consigliare un libro e un podcast. Il podcast che consiglio e che credo sia un must tra chi si occupa di tecnologia è tech won’t save us, che significa il tech non ci salverà, di Paris Marx che è un giornalista canadese che si trova su tutte le piattaforme e che ogni settimana o ogni due settimane, non ne sono sicura, fa uscire una puntata in cui fa una chiacchierata con un ospite su questioni che riguardano la tecnologia da un punto di vista radicale, trasformativo, progressista. è un podcast denso nel senso che non è quello che ti ascolti mentre fai le pulizie magari ti ci vuole un po più di testa però è assolutamente molto bello. Il libro che vorrei consigliare che parla di tutta questa questione sulla sostituzione dei lavori rispetto all’intelligenza artificiale è il sempiterno, uno dei miei libri preferiti della vita, ‘Bullshit Jobs’ di David Graeber, lui è un antropologo scomparso purtroppo nel 2020 per il Covid che ha canalizzato le questioni sul lavoro, è un libro uscito nel 2018, da un punto di vista antropologico parlando anche di meccanizzazione e reddito universale, forse non c’entra con il lungo termismo ma c’entra con una visione a lungo termine della società che magari è un po più speranzosa.”
Joe Casini: “A questo punto passiamo al momento che conclude questo podcast che è la domanda tra ospiti. Il primo ospite che ti propongo è Massimo Cerulo, insegna sociologia all’università Federico II di Napoli e con lui abbiamo parlato di capitalismo emotivo. La seconda è Roberta Covelli, giornalista e si occupa soprattutto di tematiche legate al mondo del lavoro. Il terzo è Alessandro Vespignani, direttore Northeastern Network Science Institute a Boston e con lui abbiamo parlato di reti e di come le reti siano ovunque nelle nostre società. Quali di questi tre ospiti ti incuriosisce di più?”
Irene Doda: “Direi il capitalismo emotivo.”
Joe Casini: “Massimo ha lasciato una domanda molto bella che è: cosa significa restare in silenzio nella società digitale?”
Irene Doda: “Io non credo che sia possibile perchè ormai l’umore digitale ha invaso moltissimo le nostre vite quindi anche le cose più quotidiane le facciamo all’interno di una bolla digitale, di una bolla di performance e di una bolla di bombardamento informativo e, mi viene da dire furto, acquisizione dei nostri dati, quindi credo che quel silenzio che io intendo anche come isolamento nel senso distacco da determinati meccanismi non credo sia del tutto possibile, penso che si possano trovare delle strategie di sopravvivenza o comunque di sottrazione rispetto a questa società che non sempre lavora a favore dell’essere umano, ogni tanto lavora contro la nostra umanità. Io credo che la connessione tra essere umani in senso autentico, non soltanto fuori dagli schermi o dall’oggetto smartphone o dall’oggetto computer ma fuori dalle logiche di performance e scambio, molto del capitalismo digitale possa essere un modo di sottrarsi e di costruire qualcosa di alternativo, non so quanto questo sia scalabile su larga scala perchè comunque il capitalismo tecnico e la società digitale hanno una scala di pervasività e un livello di penetrazione all’interno della nostra vita e delle nostre emozioni molto alto.”
Joe Casini: “A questo punto è il tuo turno, puoi lasciare una domanda agli ospiti delle prossime puntate.”
Irene Doda: “Qual è il primo passo per costruire un’utopia?”
Joe Casini: “Tra l’altro questa è la parte che a me diverte di più perchè senti delle domande e pensi ‘vorrei rispondere io per primo’ e invece lascerò questo piacere agli ospiti delle prossime puntate. Intanto ti ringrazio per essere stata qui questa domenica. Vi ricordo il libro ‘l’utopia dei miliardari’ da leggere se vi interessa approfondire quello di cui abbiamo parlato oggi. Vi do appuntamento tra due settimane con la prossima puntata del podcast. Buona domenica a tutti.”