Con il direttore del Center of Data Science and Complexity for Society Walter Quattrociocchi spieghiamo in che modo possiamo capire, prevedere e controllare fenomeni complessi come la disinformazione, la polarizzazione e le teorie del complotto.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti alla puntata numero 45 di Mondo Complesso, puntata che oggi è pienamente nel nostro tracciato, oggi ci sentiremo molto a casa nella chiacchierata di oggi perchè ho il piacere di essere qui con Walter Quattrociocchi, quindi per prima cosa benvenuto.”
Walter Quattrociocchi: “Grazie.”
Joe Casini: “Walter è professore di computer science alla Sapienza di Roma nonché direttore del Center of Data Science and Complexity for Society sempre a Roma, quindi come si può prevedere oggi parleremo di tantissime cose ma parliamo anche di complessità, tema che in quanto tale affrontiamo alla fine poco. Proprio perché vorrei avere il piacere di parlare apertamente di complessità la domanda con la quale voglio cominciare la nostra chiacchierata è: perché il mondo è complesso?”
Walter Quattrociocchi: “Il mondo è complesso perché si fonda su interazioni che hanno poi degli effetti emergenti che si propagano e hanno effetti sulle interazioni stesse che a loro volta si interfacciano e quindi riverbera in secondo/terzo/quart’ordine come si dice in fisica. La complessità di fatto è guardare non al singolo ma le interazioni tra i singoli, questo è un grande passaggio che almeno, per quanto mi riguarda, occupandomi di analisi dati il plus del nostro approccio scientifico è che noi ci concentriamo su quella che viene chiamata network science, cioè guardare non alle caratteristiche singole dell’individuo che è interconnesso all’interno dell’ambiente ma guardare le interazioni di questo individuo e che effetto fanno queste interazioni. Questa è la complessità: l’emergere della complessità dalle interazioni.”
Joe Casini: “Spesso si parla di come nasce la scienza della complessità, ne abbiamo parlato anche qui in qualche puntata con questo approccio multidisciplinare, ad un certo punto c’è una convergenza in qualche modo di varie prospettive su questa nuova disciplina. Una domanda che vorrei farti è: secondo te, da un punto di vista storico, come mai siamo arrivati a metà del secolo scorso ad iniziare a mettere a fuoco questo tema e come mai oggi è diventato ancora più pressante? Tu prima dicevi c’è un’emergenza dei fenomeni, il tema della complessità secondo te come mai è emerso soltanto di recente?”
Walter Quattrociocchi: “è emerso di recente perchè ci sono stati dati a disposizione, il dato ha innescato una rivoluzione che penetra su tutti i livelli sociali, l’evoluzione che stiamo vivendo in questi mesi dell’intelligenza artificiale non è altro che l’ennesimo step di una rivoluzione innescata dalla disponibilità dei dati, all’inizio del 2000 si parlava dell’epoca del diluvio dei dati, questi dati hanno portato di fatto a nuove possibilità paradigmatiche, vi spiego. Sempre parlando di complessità, fino agli anni 50/60 l’idea della complessità stessa e come erano interconnesse le persone erano fondamentalmente giustificate e ascritte ad alcune regole statistiche e non c’erano derivazioni teoriche, non c’era un riscontro empirico vero e proprio e poi nel 98/99 c’è disponibilità dei dati, ci sono i primi tracciati del world wide web, ci sono i primi reti di attori nei film, si comincia ad analizzare questo tipo di interazioni e si scopre che le assunzioni che erano state fatte vanno riviste e non di poco. Uno dei grandi risultati è che il dato nelle analisi delle reti complesse porta in evidenza che il valore medio delle interazioni non conta nulla. Noi diciamo sempre che in media su questo tipo di processi tu non prevedi nulla e questo tipo di articolazioni fa si che si capisce di volta in volta che la complessità espressa dal dato soprattutto guardando all’interazione che c’è in questo tipo di cose ha aperto nuove frontiere. Nel mio piccolo è stato molto utile per delineare le dinamiche di diffusione dell’informazione. Fino a prima ci si concentrava su modelli standard, poco analizzati rispetto ai dati, mettendo insieme i dati e altre caratteristiche della complessità che emergeva rispetto all’osservazione di questi dati abbiamo capito cose che poi si sono rivelate abbastanza professionali nei processi di dinamiche sociali online.”
Joe Casini: “Hai toccato un tema sul quale torneremo sicuramente, che è la disinformazione, prima però c’era una domanda che ti volevo fare, mi piace pensare che i bambini che stanno crescendo oggi avranno come obiettivo di fare il date scientist, tu da bambino cosa volevi fare? Qual è stato il tuo percorso? Prima parlavamo di una conoscenza in comune che è stato anche ospite del podcast che è Alessandro Vespignani, e lui mi ha raccontato che voleva fare lo scienziato con il camice, poi ha fatto un altro percorso però era partito con quell’idea.”
Walter Quattrociocchi: “Io ho cambiato idea diverse volte, mi sono anche laureato tardi, nel senso che da bambino credo che volessi fare un po’ lo scienziato e un po’ il dentista, poi con il tempo, arrivato a fine liceo mi affascinava la filosofia però i miei hanno detto ‘se vuoi fare filosofia pagati l’università, noi non siamo disposti a pagare la laurea a un futuro disoccupato’, da lì mi sono guardato intorno e sono entrato nel mondo dell’informatica, anche lì ho cambiato idea diverse volte, all’inizio mi ero appassionata di cyber security e ho vinto la borsa di studio, poi c’è stato il momento musicista perchè ho fatto anche il conservatorio però poi ho visto che era meglio tornare sui vecchi passi perché riuscivo meglio nell’ambito ricerca, alla fine ho lavorato su scienze e sistemi cognitivi, scienze cognitive e psicologia sociale, cioè la formalizzazione matematica dei processi mentali, uno dei momenti più affascinanti dal punto di vista della ricerca, poi ho conosciuto Alessandro Vespignani e lì ho scoperto tutta una serie di cose che non sapevo come l’esistenza della fisica della complessità, avevo sempre sentito parlare delle complessità come un qualcosa che facesse più riferimento alla filosofia stretta e invece esiste proprio una fisica che studia questo tipo di processi, ho studiato e poi alla fine mi sono innamorato di questi temi applicati alle dinamiche sociali ed è uscita fuori una figura un po’ ibirda che ti garantisco che all’inizio era molto confusa, non avevo un’identità chiara perché ero mezzo informatico, mezzo interessato a questioni di scienze cognitive, mezzo interessato a questioni di network science vicino al fisica e difficilmente trovi casa se sei così diviso.”
Joe Casini: “Questo mi fa moltissima risonanza, anche io ho avuto un percorso simile, e nel mio caso una delle cose che mi ha fatto appassionare a questo tema è stato il senso di ‘casa’, posto che venivo anche io dall’incertezza l’idea di dovermi specializzare in qualcosa mi spaventava né vedevo che era il mio perché c’era sempre tantissima gente più brava di me in alcune cose specifiche e quando ho trovato il modo per poter fare queste incursioni con cognizione di causa per me ha avuto un valore fortemente emotivo, non so se è stato anche questo il tuo vissuto, cioè il riuscire ad avere una chiave di lettura che non lascia tutto incompiuto ma ti da una prospettiva su tante cose e ti lascia anche la libertà di potertele godere laddove crescendo questa difficoltà viene un po’ meno.”
Walter Quattrociocchi: “Sì, tutto il mio percorso, tassello per tassello, rientra un po’ nella costruzione di come affronto le cose, gran parte del mio bagaglio e il modo di affrontare le questioni non deriva dal mondo scientifico ma da quello musicale, avendo avuto la fortuna di conoscere persone molto brave sia nella tecnica che nel saper maneggiare la notorietà e ho capito più o meno quali erano le cose veramente importanti. Il più grande insegnamento che mi sono portato è di Alessandro Carbonari, dove lui mi disse ‘se vuoi fare qualcosa che lasci il segno fai qualcosa che sia inattaccabile’ e da lì diventa quasi un’ossessione, tanto che ogni ricerca che faccio entro in modalità quasi ossessivo-compulsiva, finchè non trovo la quadra dal titolo alla fine che suona proprio in un certo modo non sono contento e devo dire che alcune volto ha funzionato molto bene, siamo arrivati a fare cose che hanno abbastanza segnato i tempi, almeno negli ultimi dieci anni quindi funziona.”
Joe Casini: “Assolutamente, infatti tra gli ambiti in cui fai ricerca uno dei principali è quella della disinformazione e misinformazione, quindi la domanda che ti volevo fare è: che differenza c’è e come mai tra i tanti ambiti di cui ti occupi questo è diventato così assorbente?”
Walter Quattrociocchi: “Ti racconto un po’ la storia di com’è andata. Ero a Boston, mi sentivo un po’ nostalgico e quindi seguivo i blog che si formavano in quell’epoca, era il 2012-2013, leggevo e cercavo di capire cosa c’era dietro perchè c’era qualcosa di nuovo che si andava formando, però ho notato che c’era un’articolazione del pensiero che tendeva sempre allo stesso punto, nel senso qualunque informazione arrivava andava sempre in un’unica direzione e li mi viene un’idea nel senso che dico ‘ma se io qua ci metto un’informazione fasulla che succede?’ quindi cominciammo insieme ad un gruppo di persone su Facebook a creare scherzi innocenti però abbiamo visto delle cose abbastanza strane e queste cose finivano sempre nello stesso punto, quindi come si diffonde un’informazione in base al contenuto sembrava predicibile, tanto che andai da Alessandro Vespignani. Io all’epoca ero lì per studiare l’impatto dell’informazione sulla pandemia durante una pandemia, sembrava futuristico all’epoca poi 3 anni fa lo abbiamo vissuto con il covid, studiando questi processi notavo che la tendenza principale dell’essere umano era quello di acquisire l’informazione aderente a una determinata narrativa in un gruppo condiviso. Abbiamo costruito, quindi, un setting sperimentale ed è uscito fuori che la complessità ben spiegava questi processi, io diffondo un’informazione in un contesto di network, quindi un sistema complesso su cui passa l’informazione, e in questo tipo di processo riuscimmo a modellare in maniera molto semplice processi che erano stati teorizzati anni, se non decenni, prima. La differenza sostanziale tra quello che dicevo prima e il passaggio ai dati non è che non si sapesse che questo processo era vero, era stato ipotizzato mancava il riscontro empirico, cioè la formulazione dell’esperimento che misurasse la faccenda. All’epoca non mi cagò nessuno, feci una chiacchierata con David Lazar che corse pure lui ai ripari un paio di anni dopo, gli presentai questa cosa e mi disse ‘sì è interessante però non vedo grandi spazi’, non fece breccia immediatamente. Poi uscì il primo lavoro che facemmo su questa cosa sempre con quest’ossessione artistica e 24 ore dopo ero sulla CNN, sulla BBC, sul Post perchè avevamo bucato una frontiera, ci scrisse Cass Sunstein, un professore di Harvard, consigliere di Obama, ci scrisse che avevamo fatto un lavoro pathbreaking, visto dall’esterno sembrava fatto chissà da che equipe, invece eravamo io, che ero precario nella ricerca, insieme ad altri dottorandi che mediamente erano rifiuti di altri professori. Di fatto io mi occupo di dinamiche sociali e psicologia sociale perché è quello che ho ereditato nel percorso di formazione, mi resta più facile, poi ho una certa passione per la psicologia ma sono un dilettante. Però c’è stato molto riscontro e da un punto di vista di processo siamo riusciti a spiegare cose che al di là dell’ipotesi l’abbiamo portato su un nuovo piano sistemico cioè non stiamo più parlando dell’ipotesi teorica ma stiamo costruendo un setting sperimentale per verificare che cosa succede tramite l’approccio della complessità.”
Joe Casini: “Da questo punto di vista ci muoviamo un po’ su questa linea di confine, da una parte c’è tutto ciò che può rimandare ai bias di conferma al fatto di trovare informazioni, prima raccontavi di come si fossero questi attrattori che tendevano a far convergere dove finiva poi l’informazione. Quindi da una parte siamo animati da questo spirito dall’altra abbiamo allo stesso modo la ricerca della novità. Internet può essere anche letta da questo punto di vista, è stata all’inizio un motore di scoperte, all’inizio si parlava di conoscenza accessibile a tutti, potevamo accedere a qualsiasi cosa, poi c’è stata una fase di convergenza in cui si trovano sempre le stesse cose, c’era la battuta ‘se vuoi seppellire un cadavere mettilo nella terza pagina di google’, ed è diventato uno spazio molto più piccolo rispetto a quello che pensavamo, da questo punto di vista qual è la tua impressione? Quanto cerchiamo pensieri, idee e notizie divergenti il che può portare a volte in situazioni pseudo scientifiche/antiscientifiche? Quanto siamo divergenti e quanto invece siamo convergenti?”
Walter Quattrociocchi: “Siamo sempre divergenti e convergenti ma tendiamo a rimanere noi stessi. A livello di identità siamo ancorati a noi stessi. In questo costrutto diciamo che l’informazione lontana viene presa per essere rielaborata in criterio di vicinanza: fondamentalmente io posso essere un tifoso della juve, cercare in giro informazioni di altre squadre ma per riportare sempre alla credenza principale che è quella che la juve per me è superiore. è un esempio stupido però è così.”
Joe Casini: “Non coglierò la provocazione però ho capito il senso dell’esempio. In questo processo secondo te, che segui in particolare la disinformazione, in che fase della traiettoria siamo? Come dicevi tu il Covid è stato uno spartiacque in questo senso, e si è visto anche in maniera sorprendente che c’è stato un punto critico dal momento in cui tutti cercavamo informazioni e guardavamo ad esempio alla scienza per avere risposte e come per alcuni c’è stato uno switch nel momento in cui quelle risposte sono arrivate e si sono innescate altre domande. Secondo te in che fase siamo ora?”
Walter Quattrociocchi: “La disinformazione in quanto tale non coglie il quadro preciso che c’è. Il processo che stiamo vivendo è articolato nella maniera simile in cui si è articolato lo sviluppo della stampa a caratteri mobili. Succede che molti possono produrre contenuti senza necessariamente mediare più, esisteva prima un business model orientato all’informazione che vedeva il giornalista o l’esperto che era colui che selezionava l’informazione da passare al pubblico sui grandi canali e questa informazione nella maggior parte dei casi veniva presa come importante dal pubblico. La cosa cambia con l’avvento di internet, prima di tutto esplode la quantità di informazioni, prima era dieci adesso è miliardi la quantità di contenuto che viene veicolato di cui si inonda ogni utente. In questo tipo di processo si crea un marchingegno per cui si fa fatica nella ricerca delle fonti e dell’informazione stessa, tanto che conta più il contenuto che la fonte e noi l’abbiamo dimostrato in maniere abbastanza pesante. In questa dinamica quello che cerchi è quello che più ti assomiglia perchè sei sopraffatto dalla quantità di informazioni per cui per orientarti cerchi il simile, in questa articolazione del processo la disinformazione è soltanto uno dei piccoli effetti collaterali che esiste, il vero problema può essere definito così: la sovrabbondanza di informazioni dovuti ad internet in un ambiente in cui il business model è orientato all’intrattenimento. Quindi io già cerco di mio l’informazione che più è simile alla mia visione del mondo, le piattaforme implementano algoritmi che cercano di tenermi il più possibile sulla piattaforma per vendermi pubblicità ed ecco lì che vedo contenuti aderenti al mio modo di pensare. Non si parla più di disinformazione in quanto tale ma di meccanismi di segregazione e polarizzazione sulle piattaforme social, cioè creiamo queste bolle le cosiddette eco chamber in cui viviamo e formiamo narrative con i nostri vicini.”
Joe Casini: “Hai toccato un tema su cui ti vorrei fare una domanda. Qualche settimana fa nella prima puntata di questa stagione parlando con Adrian Fartade, content producer che si occupa di divulgazione in ambito astronomico, e tra le varie cose abbiamo toccato il tema dei social e lui diceva che si parla molto di camere dell’eco e la mia impressione è che in realtà piuttosto che farci vedere persone e algoritmi che la pensano come noi spesso in realtà cercano lo scontro, la polarizzazione, quindi quello che succede è che per innescare la reazione che poi attiva l’attenzione emotiva siamo sovraesposti a persone che prima la pensavano anche molto diversamente da noi ma semplicemente ci entravamo meno in contatto. Da questo punto di vista tu come vedi l’effetto delle bolle? Effettivamente sono esasperate o al contrario è esasperata la polarizzazione o interagiscono le due cose?”
Walter Quattrociocchi: “Sono uno l’effetto dell’altro. Nel senso che nel micro c’è il pregiudizio di conferma, cerco quello che mi piace e ignoro a contrasto, frequentando ambienti con cose affini finisco per trovare gente che è finita la per lo stesso motivo, quindi interagisco con questi si crea una comunità che diventa poi la cassa di risonanza. L’echo chamber che esistono è un dato di fatto, scientificamente non c’è nessun dubbio, ci sono una ventina di articoli, addirittura è uscita una survey nel 2021 dove si diceva systematic review of the literature about echo chamber, ci sono tre studi che dicono che non si trovano evidenze di echo chamber e sono basati su dati self reported, cioè su questionari, che su questi temi sono un po’ lacunosi. Siamo tutti pacifici sul fatto che l’echo chamber ha consenso scientifico sul fatto che esista. L’impatto è che creando queste echo chamber, vivendo in una bolla, in cui io fondamentalmente mi espongo per ricevere like dai miei, quindi c’è questo business model, voglio essere visto dai miei simili e andare ad estremizzare alcune posizioni ed estremizzandole necessariamente innesco un marchingegno di polarizzazione quindi si crea lo scontro su qualunque tipo di cosa. Più l’echo chamber è salda, più è facile la polarizzazione, infatti stiamo vedendo su facebook in particolare, che è un ambiente un po’ abbandonato alle sue dinamiche, la polarizzazione su ogni argomento c’è tutti i giorni perchè le echo chamber sono ben assestate, non c’è stato un terremoto che ha fatto dei rebound o degli shortcut per ricreare la situazione, in questo contesto con la situazione ferma, la polarizzazione domina. Il bello è che si nota proprio nella costruzione di ogni argomento c’è sempre un’aggiunta da parte della narrazione dell’echo chamber per giustificare l’antagonismo rispetto a qualcun’altro. Poi magari non ci arrabbiamo per motivi veri, lasciamo passare sotto banco cose che sono veramente gravi e facciamo casino per l’attrice che ha detto una cosa che neanche è vero che ha detto su un qualcosa. Poi ci si rimane intrappolati, diventi personaggio e rimani nel personaggio. Se cerchi di divincolarti ed emanciparti dal personaggio che hai costruito poi subisci le ire delle piattaforme.”
Joe Casini: “A proposito di polarizzatori di antagonismo, quando ti confronti in ambiente accademico ma non solo, qual è la tua nemesi? Dov’è quella situazione dove ti rendi conto che fai particolarmente fatica, dove dici ‘questo è esattamente il pain’, il momento in cui facci assolutamente fatica a superare questo scoglio?”
Walter Quattrociocchi: “Io tendo ad essere un tipo molto fumino, è facile per me passare dalla dialettica allo scontro molto passionale. Diciamo che la cosa che mi mette tremendamente in difficoltà è il gioco di ruoli nelle cerimonie, nel senso che c’è nell’ambito non strettamente accademico perché in accademia ci si è emancipati perché in qualche modo devi aver fatto qualcosa per parlare, mentre nei salotti c’è una facilità al parlare e allo spiegare che mi meraviglio certe volte della facilità con cui vengono sparate sentenze su argomenti terrificanti, il punto è che poi mi cortocircuita perchè magari dici una palese baggianata e nessuno sta a li a dirti che hai toppato, spesso mi inalbero per queste cose. Mi è capitato spesso, soprattutto su questi temi qua dei dati e dell’intelligenza artificiale, vedere personaggi assorti a ‘beniamini di’ e poi vai a vedere il curriculum o banalmente quello che dicono e ti rendi conto che non hanno neanche perso tempo a leggere un libro. Questa è una cosa che mi mette veramente in difficoltà, divento anti interattivo diciamo.”
Joe Casini: “Mentre parlavi mi venivano in mente dei politici anche perché prima hai toccato un tema con la polarizzazione con riferimento ai famosi blog che sono diventati movimenti. La domanda che ti volevo fare è: da questo punto di vista il combinato disposto di disinformazione, modalità in cui consumiamo i contenuti o riusciamo a prestare attenzione a determinati contenuti e gli impatti che da un punto di vista politico in questi anni sono diventati sempre più evidenti, secondo te come si combinano in un anno in cui abbiamo un cambiamento enorme dal punto di vista politico, secondo te che cosa succederà? Ci sarà un’escalation sulla traiettoria in cui stiamo andando oppure siamo vicini a un punto di svolta?”
Walter Quattrociocchi: “Non lo so, nel senso che sicuramente la situazione è già abbastanza degenerata dal punto di vista della polarizzazione, probabilmente ancora non abbiamo raggiunto l’ultimo stadio prima di far nascere un antipodo, ci sono ancora dei gradi di libertà che consentono a questo tipo di sistema di seguire questo tipo di dinamica, probabilmente avremo un ulteriore passo verso la polarizzazione, vivremo degli anni abbastanza strani secondo me, soprattutto nell’ambito degli stati uniti da un punto di vista tecnico vedo che la narrazione soprattutto quella progressista fa fatica ad accendere gli animi e questo a discapito di una politica che guardi a problemi un po’ più avanti di quelli dell’altro ieri, creando spazio, praterie, a racconti, narrazioni che sono più facili ad accendere gli animi. Quindi vedo una degenerazione verso quella direzione.”
Joe Casini: “Questo è sicuramente un tema fondamentale, la politica della semplicità si è organizzata in questi anni molto bene, quel tipo di narrazione si è organizzata bene ed è molto efficace, non si è riuscito a fare lo stesso su un tipo di narrazione che ti da la possibilità di guardare ad orizzonti temporali più lunghi, a fenomeni più complessi, avendo però la stessa presa in termini elettorali.”
Walter Quattrociocchi: “Proprio perché fanno fatica, ma spesso è proprio l’interlocutore che viene scelto, cioè il tipo di interfacciamento che viene fatto è sempre riguardo a un tema di antagonismo rispetto a qualcosa. L’intelligenza artificiale ha antagonismo con la tecnologia, quindi di fatto diventano conservatori loro invece che sono gli osservatori rispetto alla questione creando delle narrazioni che poi si riscontrano come fuochi di paglia. Quando parliamo del problema delle fake news, che è il problema più grande, è il cambio del sistema di diffusione dell’informazione che si muove su principi dell’intrattenimento, in quel tipo di processo c’è il raccontare ancora la storia delle fake news e proporre come soluzione il paladino della giustizia che dice ‘questa è vera’ o ‘questa è falsa’ o addirittura l’ultima proposta è stata mettere il watermark sui contenuti prodotti da un’intelligenza artificiale, quando sai benissimo che l’utente se ne frega altamente della fonte dei contenuti ma cerca il contenuto che supporta la sua visione del mondo, probabilmente stiamo cercando di raccontare un mondo che di fatto non esiste più.”
Joe Casini: “A proposito di polarizzazione e fake news, è chiaro che parliamo di piattaforme quindi l’impatto che ha il design, sul design uno può andare ad intervenire a livello regolamentatorio, io personalmente credo che l’Unione Europea sui temi legati alla regolamentazione della tecnologia in questi anni ha ripreso un po’ corpo, ha ritrovato una dimensione ed è forse l’unica cosa su cui in questi anni si è riuscito a fare qualcosa, con tutte le difficoltà del caso, quindi la domande che ti volevo fare proprio dal punto di vista regolamentatorio è: secondo te come ci stiamo muovendo? in che misura ci possiamo muovere vedendo in che misura si sviluppa il fenomeno? che margine di intervento abbiamo secondo te?”
Walter Quattrociocchi: “Tutti gli sforzi che sono stati fatti si traducono nel fatto che è uscito il global risk reports del world economic forum 2024, io nel 2014 scrissi un pezzo sulla disinformazione come uno dei rischi globali, nel 2024 è ancora il primo nei problemi che va affrontato, quindi non è stata fatta granchè risoluzione. Dal punto di vista della regolamentazione, come ti dicevo prima, la comunità europea come tutti gli altri contesti, ancora non hanno assorbito il cambiamento che è stato portato dai dati. Quindi, da un punto di vista del paradigma sul quadro normativo c’è ancora quell’approccio che va a guardare il prodotto, l’uscita dell’intelligenza artificiale è un prodotto, quando invece abbiamo a che fare con qualcosa che sì è un prodotto ma evolve a velocità sconcertante, tanto che se vai a vedere negli ultimi mesi ci sono state 3 innovazione fondamentali nell’ambito del business model dei large language models e in questo contesto guardare solo il prodotto non è la mossa più saggia che si possa fare perchè nel momento in cui hai finito la normativa ti trovi in una situazione in cui la normativa già non è più applicabile perché è cambiato il quadro di riferimento.”
Joe Casini: “A proposito della capacità di andare a regolamentare, spesso una delle narrazioni che viene fatta sulla tecnologia è che mette in crisi il lavoro, io credo che uno dei lavori che più è stato messo e che verrà messo in crisi dalla tecnologia forse è proprio quello del politico e legislatore, sto pensando a tutte queste nuove tecnologie che ci danno la possibilità effettivamente, sposando un nuovo paradigma, di ragionare in termini predittivi potendo oggi verificare la bontà di alcune proposte, forsa da questo punto di vista saranno proprio i politici ad entrare più in crisi o troveranno magari un modo di aggirare l’ostacolo? Tu questo nuovo paradigma come te lo immagini?
Walter Quattrociocchi: “Finora la classe politica, non soltanto italiana, non si è mai fatta particolari attenzione all’expertise reale di che sceglie come interlocutore, abbiamo alcuni casi abbastanza imbarazzanti che vanno in giro per l’italia e per l’Europa che lasciano il tempo che trovano. Il punto è che il dato sicuramente ha un impatto che il politico non se ne rende conto. Negli Stati Uniti se ne sono resi conto già da qualche anno, loro hanno fatto nel 2018 una legge chiamata l’evidence days policy act che predispone alcune attenzioni rispetto all’introduzione del dato nella decisione politica, quindi la data science che è la materia che insegno nel mio dipartimento di informatica sembra avere un grande ruolo, infatti sono stato a marzo dell’anno scorso negli Stati Uniti per capire com’erano messo le faccende ma siamo ancora all’inizio, però di fatto il cambiamento è imprescindibile che la capacità predittiva che mette a disposizione il dato, ovviamente va sempre ponderato perché non è che se abbiamo i dati prevediamo il futuro, ci può aiutare come supporto alle decisioni, può aiutare a discriminare nette baggianate da cose più sostanziali, poi il vaglio umano è sempre centrato almeno per ora, ma da quel punto di vista non se ne potrà più fare a meno, perché mentre la dialettica politica si basa su questa metodologia un pochino umanistica da quando c’è il dato parecchie cose diventano misurabili e quando una cosa è misurabile crea sempre casini. Anche nel mondo accademico, la legge Gelmini introdusse l’indice della produzione scientifica che ha portato a moltissime strutture nell’ambito dell’ambiente ma di fatto ha creato delle misure per la performance scientifica, queste misure hanno introdotto dei cambiamenti radicali, io non so se fuori dalla legge Gelmini io sarei stato ordinario a 43 anni perché la produzione scientifica va nella produzione di massimizzare gli impatti, per alcuni va nella questione di conservare più a lungo possibile una scuola/un approccio. Questa cosa succede sia in ambito accademico che in tutto il resto, lo stiamo vedendo anche nell’ambito del giornalismo che probabilmente è uno degli ambienti più influenzati dalla rivoluzione digitale, dati e business model che cambia sui dati all’introduzione dell’intelligenza artificiale, piano piano arriva ovunque è inevitabile, pure nella filosofia è arrivato tanto che parecchi filosofi son preoccupati del fatto che il loro metodo di produzione di conoscenza epistemico si dovrà confrontare con un mondo che per loro risulta sconosciuto, pochi si sono cimentati con lo studio della statistica, dei dati vari.”
Joe Casini: “Da questo punto di vista muovendoci tra i desire data e gli spoiler, ti volevo domandare quale sarà il prossimo lavoro al quale ti dedicherai, non quello su cui stai lavorando ora ma su cosa vorresti fare il prossimo?”
Walter Quattrociocchi: “Ne abbiamo uno in pentola che se esce farà un botto atomico, abbiamo fatto un lavorone che è piaciuto ad una grande rivista quindi siamo in attesa di.. In generale la mia proiezione è arrivare a fare dei modelli predittivi sulla diffusione dell’informazione che di fatto è quello che stiamo facendo, trovare dei piccoli tasselli per capire effettivamente come funziona per fare dei modelli fisici non teorici proprio un’equazione che spiega il modello diffusivo, su alcune cose ci siamo riuscite, manca tanto, vorrei completare quel quadro perché fondamentalmente stiamo parlando di processi diffusivi simili a quelli della diffusione della pandemia, pure se l’informazione siamo sicuri che non si diffonde come una pandemia, segue pattern completamente diversi. Sto lavorando in quella direzione, dove si tenga conto di polarizzazione, segregazione, uscita degli utenti, la fisica delle dinamiche sociali sulle piattaforme social, il mio oggetto di ricerca.”
Joe Casini: “Guardando al passato, la domanda che ti volevo fare è: qual è l’idea/libro/concetto che tornassi indietro vorresti rubare a un collega?”
Walter Quattrociocchi: “nell’ambito scientifico è un continuo, in quanto è pieno di scienziati molto molto bravi soprattutto in ambito internazionale, abbiamo delle idee che di fatto sono brillantissime, ad esempio c’è Will Johnson, un fisico dell’università di Washington, ha fatto una modellazione dei processi diffusivi che per me è stata illuminante l’ho riapplicata immediatamente dopo. Mi ha detto lui la stessa cosa del lavoro che avevamo fatto l’anno prima, fondamentalmente questo ricircolo di informazione e di riadattamento delle idee c’è continuamente. La frase che mi ha più colpito è di Brâncuși, lo scultore, ‘la semplicità è la complessità risolta’, che è paradigmatico nella costruzione del risolvere la complessità, quindi per me risolvere significa passare sotto il rullo compressore dei modelli di analisi e verifica.”
Joe Casini: “Con questa citazione bellissima stiamo arrivando alla parte conclusiva della nostra chiacchierata. Il tempo è volato e come dicevo non abbiamo spesso opportunità di parlare proprio di complessità, quindi ti ringrazio di averci accompagnato in questa chiacchierata. Arriviamo al momento emblematico del podcast cioè la domanda tra gli ospiti, Prima però volevo approfittarne per farti una domanda un po’ più egoista: mi consigli un libro?”
Walter Quattrociocchi: “Winter Journal di Paul Auster.”
Joe Casini: “Come mai mi hai consigliato questo libro?”
Walter Quattrociocchi: “Perchè ha una visione disincantata e destrutturata dell’uomo maturo che è un po’ quella che ti permette di trovare le cose che restano perché poi la ricerca è trovare quelle cose che restano, che cosa è vero, scoprire quello che rimane vero nonostante le narrazioni, lì almeno c’è la prospettiva giusta.”
Joe Casini: “Ti ringrazio del consiglio. A questo punto siamo arrivati al momento emblematico di tutte queste puntate che è la domanda tra gli ospiti. Il primo ospite è Silvia Badriotto, si occupa di marketing in particolare legato al turismo e alla valorizzazione del territorio. La seconda è Roberta Covelli, giornalista, giurista, si occupa di tematiche legate al lavoro, e abbiamo parlato di come sta cambiando il mondo del lavoro in questi anni. Ti propongo Vera Gheno, psicolinguista, si occupa di linguaggio, lavora all’università di Firenze, e lo fa con saggi ma anche con libri molto noti. Quale di queste tre ospiti ti incuriosisce di più?”
Walter Quattrociocchi: “Mi sembrano tutte molte interessanti. Vera Gheno la conosco, quindi sceglierei qualcos’altro. Mi interessa Roberta Covelli.”
Joe Casini: “La domanda che ha lasciato Roberta è molto bella, se potessi inventare una parola per un concetto per il quale non abbiamo ancora un nome, quale concetto sceglieresti?”
Walter Quattrociocchi: “è pieno di cose un po’ indefinite di cui si cerca un’identità. Quello che ti dicevo prima, mi piacerebbe trovare una parola per descrivere quello che rimane dopo tutto, l’approccio epistemico che va veramente all’essenza delle cose, mi piacerebbe avere un nome per questo. La chiamo distrutturazione ma so che non è il termine corretto.”
Joe Casini: “A questo punto è il tuo turno per lasciare una domanda agli ospiti delle prossime puntate.”
Walter Quattrociocchi: “Quand’è che pensi che hai veramente capito qualcosa?”
Joe Casini: “Proprio di petto, bellissima, sono curioso chi la pesca come se la caverà, è una domanda bella tosta. Ti ringrazio per averla aggiunta e la useremo sicuramente. Siamo arrivati in chiusura, io ti ringrazio tantissimo per essere stato con noi questa domenica.”
Walter Quattrociocchi: “Grazie a voi!”
Joe Casini: “Come al solito vi do appuntamento tra due settimane con la prossima puntata di Mondo Complesso, vi auguro una buona domenica!”