Con il giornalista Bruno Mastroianni parliamo di quali sono le storture della conversazione online all’interno di chat o di spazi pubblici come i social network. E in quale modo alcuni la cultura, l’educazione e la formazione possono aiutarci a rendere i nostri spazi digitali sempre meno tossici e più salutari.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti nella nuova puntata di mondo complesso, il podcast dove parliamo di complessità e di come la complessità del mondo da un po’ di anni a questa parte ci pone una serie di domande e sfide nuove e lo facciamo cercando di rispondere a queste domande o facendoci nuove domande ogni volta insieme ad un ospite diverso. Oggi abbiamo con noi Bruno Mastroianni. Per prima cosa benvenuto.”
Bruno Mastroianni: “Grazie e buongiorno a tutte e tutti.”
Joe Casini: “Bruno è giornalista, social media strategist, esperto di comunicazione e insegna comunicazione in varie università, quindi oggi parleremo di comunicazione. Io partirei subito e ti farei quella che noi chiamiamo la domanda semplice. La domanda che ti volevo fare, visto che tu hai un’esperienza importante soprattutto nella gestione dei social è: come mai a noi ci piace così tanto litigare?”
Bruno Mastroianni: “Bellissima domanda intanto. Allora a mio avviso litigare è una delle attività più naturali e più proprie dell’essere umano. Anche se poi è un’attività fallimentare perché almeno io attribuisco la parola litigio un fallimento di una discussione, un fallimento di un confronto, cioè per me nella mia ottica, nel mio modo di chiamare le cose, il litigio è il momento in cui si abbandona l’argomento su cui ci stavamo confrontando e si comincia ad attaccare sul personale, a giudicare l’un l’altro, si smette di parlare del contenuto e si parla della relazione che di solito si sta deteriorando tra i due o più interlocutori, ci si accusa di non essere in grado di discutere eccetera. Allora questa manovra in realtà è una manovra istintiva, di rifugio, io la chiamo proprio una manovra evasiva un modo per scappare dal confronto, perché a noi il confronto fa un po’ paura, ci mette a disagio, doversi davvero confrontare sui temi è un impegno importante per un essere umano. Ogni volta che incontriamo la differenza di opinioni siamo costretti a riformulare tutte le nostre credenze di base, tutte le nostre convinzioni, in modo tale che siano convincenti all’occhio dell’altro. Di solito quando facciamo questo sforzo, ci accorgiamo dei buchi che abbiamo perché spesso dentro di noi le cose ci suonano bene, quando le tiriamo fuori non sono più così bene perché c’è un altro che deve ascoltare, le deve recepire, quindi quella è una messa alla prova di noi stessi da cui a volte sfuggiamo. Poi c’è un secondo motivo a noi piace assistere ai litigi. Perché è così piacevole assistere a due persone che litigano? Succede molto spesso sui media. Quello spettacolo lì è uno spettacolo che dà un piacere che Aristotele avrebbe chiamato piacere deplorevole, cioè non è un piacere perché ti sta succedendo un bene a te, ti arriva un bene e provi piacere, ma siccome sta succedendo un male a qualcun altro e qualcun altro sta fallendo qualcosa tu per contrasto dici è toccato a lui e non a me, quindi è bello vedere due che litigano perché li vedi che perdono le staffe, dicono delle cose sconvenienti, fanno magari una figuraccia oppure uno dei due viene asfaltato. Questo piacere è deplorevole perché ti fa sentire un po’ superiore agli altri o almeno uno dei due litiganti, a volte a tutte e due e sentirsi superiore, lo sappiamo, non è un bel sentimento nei confronti delle altre persone. Tutti questi sono gli ingredienti che rendono il litigio così gradevole per l’essere umano, il problema qual è? Che a fronte di questo piacere deplorevole, a fronte di questa manovra evasiva, se diventa l’unico modo con cui ci approcciamo gli altri, con cui intendiamo le relazione con gli altri, quello che si impoverisce non è tanto la nostra bontà, la questione non è tanto morale e basta, anche se c’è una questione morale importante, c’è una questione di libertà. Perchè? Noi per prendere decisioni abbiamo bisogno di mettere a confronto prospettive diverse, cioè nel momento in cui tu ti metti alla prova, cerchi di esternare il tuo pensiero di fronte a un altro che non lo accetta, non lo capisce, non lo vuole capire è il momento in cui tu davvero tiri fuori da te il tuo pensiero e quando lo tiri fuori è il momento in cui guardandolo puoi prendere davvero delle decisioni, invece se non fai questo e se continuiamo a fare manovre evasive in cui perdiamo l’argomento, litighiamo con l’altro, il problema è che perdiamo un po’ di capacità di essere lì, cioè, siamo un po’ meno liberi e partecipiamo di meno. Non a caso io direi che una delle piste che seguirei nella crisi della democrazia occidentale, sapete che il concetto di democrazia sembra sempre più scricchiolare a volte abbiamo questa impressione, una delle piste che seguirei è il fatto che cittadini sono costantemente sottoposti a litigi e polarizzazioni che fanno perdere la fiducia nel confronto e perde la fiducia del confronto significa perdere un po’ la voglia partecipare. Se la vogliamo mettere semplice la frase che di solito diciamo è: su certi argomenti è inutile discutere soprattutto con certe persone. Se ci pensi è triplice sfiducia nell’argomento, nella discussione e nelle persone, invece la democrazia dovrebbe essere la fiducia nel fatto che dobbiamo confrontarci su tutti gli argomenti, la strada è proprio la discussione e il terzo punto devo fare affidamento sulle altre persone perché convivere con gli altri in democrazia è discutere.
Joe Casini: “Noi di solito abbiamo questa partenza un pochino diesel accomodante, tu sei entrano a gamba tesa, invece la seconda domanda è ancora un pochino nel format accomodante la chiamiamo domanda nella domanda. Vuoi una domanda che verta più su argomenti legati al mondo della comunicazione on-line o preferisci la domanda dove parliamo di comunicazione off-line.”
Bruno Mastroianni: “Guarda incredibilmente ti dirò comunicazione off-line.”
Joe Casini: “Vorresti una domanda più con un taglio personale oppure vorresti una domanda con un taglio più professionale?”
Bruno Mastroianni: “Più personale.”
Joe Casini: “Nel tuo CV la tua esperienza ti sei occupato spesso di comunicazione di massa sui social, gestisci anche dei profili che hanno un numero molto elevato di follower e quindi la domanda che ti volevo fare è: sei mai andato in crisi su questo aspetto. Cioè doverti in qualche modo interfacciare con esigenze così diverse. Il dover pensare e metterti nei panni di interlocutori potenzialmente diversi ti ha messo in crisi?”
Bruno Mastroianni: “Allora guarda ti risponderò proprio sul personale, fin da quando sono piccolo io quando ho a che fare con uno o più esseri umani di fronte a me succedono due cose: mi tremano le mani, e tra l’altro mi tremano anche adesso, e divento rosso. Fin da piccolo ero destinato ad essere quel timido che non riesce ad avere a che fare con l’altro essere umano. Forse è proprio per questo che mi sono messa a studiare molto i litigi, la comunicazione di conflitto, la comunicazione di crisi proprio per compensare, cioè il punto debole è diventato il mio punto di studio però questo tremolio e questo diventa rosso del tempo ho scoperto che era, non per forza una debolezza, ma un punto di sensibilità, mi sono cominciato a chiedere perché divento tutto rosso, perché mi tremano le mani? proprio quello che tu hai appena detto perché di fronte complessità dell’altro che è irriducibile a me, io sentivo il rischio di dire io non ho più il controllo della situazione allora il corpo, che è sempre un alleato estremamente sincero, il corpo dice sempre la verità andava in tilt, diceva ‘guarda ti mando in tilt perché c’è pericolo devi scappare’ e invece se la mente si allea con il corpo riconosce quel pericolo e quella paura di vedere l’altro la sua complessità ma la paura si può attraversare. Allora la fine della paura citando Dune, il mitico romanzo, attraversi la paura e alla fine della paura troverai te stesso. Mi sono accorto che poi Infondo la comunicazione soprattutto off-line perché dal vivo quando abbiamo il corpo dell’altro davanti è ancora più impegnativo e poi nella comunicazione dal vivo siamo syncrony cioè non c’è come nel digitale la possibilità di scrivere e rileggere poi devi premere invio, lì è tutto diretta, poi il corpo e il non verbale. In quelle situazioni ho imparato a fare questo, cioè almeno mi sono accorto di questo che non è tanto come io entro nello spazio dell’altro con i miei gesti, le mie parole, ma il contrario, cioè la vera comunicazione è quanto spazio do all’altro in me stesso, per fare spazio all’altro significa accettare la sua forma che di solito è complessa, non sono abituato ai suoi modi di fare, ai suoi modi di reagire e questo secondo me è molto interessante perché fare spazio all’altro ci rende un po’ l’altro e quindi ci fa fare un po’ l’esperienza dell’altro. Tra l’altro a me non piace tanto lo scritto, anche in uno dei miei libri, non mi piace tanto l’idea delle espressioni idiomatiche a mettersi nei panni dell’altro perché mi viene da pensare a un signorotto del 700 che scende dal suo palazzo dai poveri e dice mi devo mettere nei loro panni umili, sembra quasi che io do questa concezione magnanima, a me piace di più pensare se riesco a pormi le domande, come se le pone l’altro pure se riesco entrare nei perché dell’altro che è una cosa difficilissima. Io non sto dicendo che è semplice però lì entri proprio a pari livello, cioè non c’è uno che entra nei panni dell’altro perché è più bravo ma siamo tutti e due, due esseri umani che vivono mondi diversi per quanto simili e bisogna scoprire ognuno i perchè dell’altro, questa sfida fa smettere di tremare le mani, fa smettere il rossore e si entra nella fase della scoperta e poi l’incontro con ogni persona è una scoperta. Voglio dire un’ultima cosa velocissima, io nello studiare le discussioni, ormai da vent’anni, io studio come discutiamo la cosa più interessante è che alla fine sono arrivato, almeno, a questo mio punto di vista che non esiste la possibilità di catalogare la discussione perfetta, cioè quando un confronto funziona è sempre unico, cioè le discussioni che funziona sono una diversa dall’altra perché è un momento di grande creatività non si possono categorizzare. Al contrario i litigi, cioè quando le discussioni non funzionano, si assomigliano tutti, succedono sempre le stesse cose che portano al litigio, quindi noi siamo esseri molto creativi nel confronto e invece estremamente banali e automatici nel litigare. Nei miei studi e nei libri io proprio esamino ciò che ci fa litigare perché è l’unica cosa che possiamo osservare bene, guardarla bene in faccia per provarla un pochino a correggerla, invece mi sembra illusoria l’idea di dire ‘queste sono le cinque regole per discutere bene’ non lo puoi mai sapere perché bisogna vedere chi hai davanti e davanti è un universo che devi conoscere mentre ci discuti, non è possibile avere delle regole a priori, le devi fare assieme a lui o lei o loro perché ci fa con più persone e questo secondo me è affascinante e interessantissimo oltre che faticoso.”
Joe Casini: “Infatti mi verrebbe da dire da questo punto di vista per scoprire l’universo e l’altro c’è una possibilità molto sempre quella, per esempio, di fare domande. Fare domande è una cosa che non facciamo molto facilmente ma sui social forse ancor meno, sui social tutte asserzioni, se non attacchi quantomeno tutte frasi con il punto fermo alla fine mentre invece lo spazio per fare domande è fondamentale. Hai toccato un tema che era una cosa mi ero appuntato e ripromesso di chiederti perché mi aveva incuriosito molto ovvero il ruolo del nostro corpo nella comunicazione on-line e off-line. è una cosa molto interessante, il modo in cui effettivamente interagiamo coinvolgendo anche tutta la comunicazione non verbale, nel momento in cui andiamo on-line e perdiamo quell’aspetto anche quello porta poi a delle conseguenze della comunicazione e instrada la comunicazione in un certo modo.”
Bruno Mastroianni: “Sì, perché intanto aumentano i fraintendimenti perché il non verbale si schiaccia tutto sul verbale e sul simbolico, quindi non abbiamo più quell’alleato e perché io dico sempre noi ci portiamo sempre le slide efficaci che sono le nostre espressioni del volto, i nostri gesti che aiutano a dare tutte le intenzioni di quello che stiamo dicendo tutta la parte più emotiva più del far capire con che scopo stiamo dicendo le cose, invece nello scritto e basta, nel digitale che poi tra l’altro è quasi sincrono, si ha la sensazione di come stessimo parlando allo stesso momento ma non è così è sempre un invio o una ricezione, ma lì aumentano i livelli di fraintendimento perché è molto più difficile capire le intenzioni dell’altro, lo stato d’animo dell’altro e secondo livello devo avere una padronanza della lingua molto più forte, devo essere molto più consapevole sul peso delle parole, ma soprattutto delle parole che non uso, cioè tutti gli impliciti, tutte le implicature, le presupposizioni che escono fuori dalle parole che non diciamo o dal modo con cui diciamo le cose, abbiamo scelto una parola piuttosto che l’altra. Effettivamente nel digitale c’è una sfida maggiore perché alla fine, almeno questa è la mia prospettiva, noi non ci capiamo per codifica e decodifica, io ti scrivo delle parole tu codifichi bene e hai capito, questo forse lo fanno le macchine, noi ci capiamo quando oltre al codice, quindi oltre le parole capiamo le intenzioni dell’altro li accettiamo oppure le rifiutiamo e quindi ci discutiamo sopra, però è una questione di intenzione, io quando capisco cosa intende l’altro e l’altro capisce cosa intendo io ci può essere una vera comunicazione. Quell’intendimento sta molto al di là delle parole, allora se si è in una situazione in cui abbiamo solo le parole per interagire è molto più impegnativo, quindi questo io dico sempre che oggi la padronanza della lingua è ancora più importante di ieri, cioè più ci digitalizziamo più abbiamo bisogno di imparare molto bene ad usare l’italiano ma non l’italiano semplicemente elegante della grammatica ma l’italiano pragmatico, cioè l’effetto che le parole hanno nelle nostre relazioni che è un’educazione che se ci pensi abbiamo pochissimo a scuola, forse è un po’ di più nel lavoro, uno la impara di più quando scrive quelle mail e si accorge che l’effetto che fanno quelle parole sui colleghi sono disastrosi allora lo impara male sul campo. Sarebbe bello a scuola imparare quanto le parole scritte hanno effetti positivi o negativi sulle nostre relazioni.”
Joe Casini: “Andando avanti c’è la domanda del pubblico. Nei giorni scorsi abbiamo lanciato il box per fare domande sui profili social e sono arrivate molte domande ma ne abbiamo selezionata una. Questa domanda che ora ti giro è: cosa te ne pare di Elon Musk e Twitter?”
Bruno Mastroianni: “Intanto dico subito che non ho un giudizio completo, mettiamola così, sarò provvisorio andrò in bozza, ma quello che sto osservando è che il modo di fare di Elon Musk secondo me rischia di tradire quello che è un social network come Twitter e come sono tutte le piattaforme, cioè le piattaforme hanno senz’altro una proprietà privata, un’origine privata, non sono entità pubbliche, ma hanno degli effetti pubblici è innegabile, se vogliamo fare un esempio un po’ tirato sono proprio un balcone di casa, il balcone è tuo di tua proprietà, di casa tua però è esposto al pubblico, tanto è vero che non si può mettere in balcone nudo se non con delle conseguenze. Ho la sensazione che lui stia tradendo questo consapevolmente, cioè non si stia rendendo conto dell’importanza degli effetti pubblici che ha un social network, che deve avere e che deve rispettare. E in che senso? In democrazia, e questo è fondamentale in Occidente, contano i risultati tanto quanto il processo che ti porta a quei risultati, questo è un fondamento importantissimo della democrazia. In democrazia non si può dire ‘l’importante è il risultato, che le cose funzionino’ ma che le cose funzionino ma anche come ci siamo arrivati ma anche come ci siamo arrivati e se ci siamo arrivati con la partecipazione di tutti e l’accordo di tutti.”
Joe Casini: “è meglio il risultato subottimale però con il metodo corretto piuttosto che l’aspetto pratico”
Bruno Mastroianni: “è meglio prendere una decisione sbagliata ma condivisa perché la puoi correggere nel ricondividerla che una la decisione giusta ma ha deciso soltanto uno. Ecco, secondo me, Elon Musk sta rischiando di andare in quella direzione in cui quel che conta è il risultato e si perde l’importanza di fare un processo condiviso. Queste, diciamo, sono le due linee della mia bozza.”
Joe Casini: “Passiamo ora alla domanda che chiamiamo il filo del rasoio: in realtà l’engagement è il presupposto della comunicazione, se tu effettivamente non ingaggi il tuo interlocutore non riesci ad avere una comunicazione efficace, dall’altra parte appunto il creare engagement vuol dire andare ad attivare il tuo interlocutore. Quindi, come dicevi tu, correndo il rischio di perdere di vista il messaggio e andare un po’ più sulle modalità, le argomentazioni, il non detto dei messaggi. Allo stesso modo da una parte c’è bisogno, magari, di coltivarti la tua nicchia, quindi trovare il tuo interlocutore e che vuole ricevere il tuo messaggio, quindi riuscire anche a segmentarti il tuo pubblico da una parte, dall’altra parte però il tuo messaggio acquista valore quanto più è generalista. Ecco tu da esperto della comunicazione rispetto a queste ambivalenze come le vedi?”
Bruno Mastroianni: “Guarda la vorrei aggravare e lo farò citando Pasolini che diceva ‘il successo è l’altra faccia della persecuzione’ questa frase serve a tutti i comunicatori ed è esattamente quello che hai detto te. Mentre più sviluppi l’engagement più in realtà rischi o di essere trascinato dal tuo pubblico che si ingaggia solo su certe cose quindi non riesci più ad andare oltre e alla fine tendi a schiacchiarti su quello che fa reagire il tuo pubblico e quindi ti sta impoverendo, non sei più padrone dei tuoi temi oppure ti chiudi in una nicchia e non riesci più ad allargarti. Quindi questo è successo perché ti porta engagement, porta i tuoi follower a seguirti più coinvolgimento, però è anche una persecuzione, una condanna perché rischia di impoverirti. Io penso che, come tutti i buoni dilemmi, i dilemmi vanno tenuti per come sono, sono esattamente il punto della complessità, cioè non si risolverà mai, è come l’uovo e la gallina, è come il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno. Engagement o creatività, successo o mia identità e vado avanti in un percorso in cui sono veramente io e non mi faccio trascinare dal pubblico. Ecco è bene rimanere davanti a questo dilemma costantemente. Secondo me però quello che ci possiamo dire di concreto è che l’errore da non fare è questo: non confondere l’engagement con una specie di condanna, cioè questa idea negli anni ha preso la forma, quando eravamo in un mondo televisivo e mass mediatico, del ‘bisogna dare al pubblico quello che vuole il pubblico’, ora nei social per avere engagement devi fare certe cose, sei costretta a fare certe cose, queste sentenze a cui segue una condanna, secondo me, non sono né sentenze né condanne perchè si può fare engagement rimanendo liberi e creando valore nelle relazioni e anche apertura così come si poteva fare benissimo share e audience senza per forza diciamo deteriorare i contenuti dei programmi. Io, d’altronde, ho lavorato con programmi come ‘la grande storia’ di Rai 3 o ‘superquark’ di Piero Angela che sono programmi che sono andati avanti, Superquark per 40 anni, senza mai perdere lustro e successo, la grande storia portava la storia in prima serata su Rai 3 e faceva ascolti con la qualità e il lavoro, quindi si può anche andare dal pubblico e creargli piacere nel conoscere e capire. è vero che il successo è l’altra faccia della persecuzione, come dice Pasolini, però è anche vero che il successo si può avere creando valore, è più faticoso, richiede più lavoro e inventiva, però si può fare.”
Joe Casini: “la domanda che ti volevo fare ora è la domanda noi chiamiamo la domanda della birra di troppo: tra i profili che hai seguito c’è il profilo di Superquark, quindi gestendo i social per conto di Superquark avevi il compito, per me impossibile, di fare divulgazione partendo dalla trasmissione per eccellenza che nel nostro paese ha fatto divulgazione negli ultimi 40 anni. Ti volevo chiedere, visto che Piero Angela è una di quelle persone che era diventata di casa per tutti, che cosa vuoi condividere rispetto ad una persona che a proposito di divulgazione sicuramente è stata cintura nera, ha proprio messo l’asticella rispetto al quale poi tutti volendo o nolendo fanno i conti.”
Bruno Mastroianni: “Io sono l’ultimo arrivato della squadra di Piero Angelo e anche proprio l’ultima ruota del carro, lì dietro c’è un grande lavoro di persone che lavorano da decenni assieme e si vede e questo fa la differenza. Perché è chiaro che noi vediamo Piero Angela, ed era lui Il condottiero, il vero ispiratore, ma poi io veramente ho avuto la fortuna, sta avendo la fortuna di avere a che fare con dei suoi collaboratori che sono eccezionali perché vanno sulla sua stessa linea, quindi questo è il primo punto. Gli ingredienti sono due di Piero Angela: uno è che lui era in grado di fare davvero semplificazione, nel senso più nobile del termine, cioè la complessità lui la semplificava facendoti capire una parte della realtà di cui sta parlando rimandando alla complessità cui era riferita. Vedere una puntata di Superquark ti faccio venire voglia di saperne di più. Lui non faceva, invece, il tipico errore con la complessità e la riduzione, cioè ti dico un pezzo della realtà perché non puoi digerirla tutta però il problema è che se dico un pezzo di illusione tu di averla capita completamente. Il bello di Piero Angela è che mai ti lasciava senza fame, anzi il suo ruolo era quello di farti venire più voglia di conoscere che anche qua, cito Aristotele, la meraviglia serve a stimolare la conoscenza, Piero Angela era in grado di meravigliare. Il secondo elemento era il fatto che tutto questo non lo faceva in maniera intellettualistica o tecnica, ma lo faceva in modo umano cioè lui diceva sempre bisogna far sentire le persone intelligenti, bisogna dargli piacere nel conoscere, ‘io entro a casa delle persone e gli devo portare qualcosa di gradevole, che li fa stare bene’. Questa è la base di chi vuole stabilire una relazione umana con il suo pubblico e non una relazione puramente intellettuale di divulgazione e quindi, questa è la risposta alla prima domanda, io sui social ha avuto vita facile, non è che mi voglio sminuire più di tanto ma è vero, cioè io quando mi è stato detto di partecipare alla squadra che avrebbe curato i social, perché non sono da solo a curare i social, noi ci siamo accorti subito che portando Piero Angela su piattaforme subito intercettava quelle relazioni di valore significative che aveva già con il pubblico, ma io stesso mi ricordo le prime puntate di Superquark le ho viste in braccio a mio padre, io ho la stessa età di Superquark, tutti noi abbiamo una relazione significativa con Piero Angela. Sui social lui ha superato tanti influencer perché aveva già costruito delle relazioni significative, accesi i social sono arrivati i like, l’engagement, la partecipazione delle persone, la risposta entusiasta ai contenuti è arrivata per merito di quell’aver sempre costruito con il pubblico una relazione in cui lui dava qualcosa, quello che ho imparato da lui è che lui era sempre preoccupato di che cosa stiamo dando alle persone, gli stiamo dando qualcosa o no? E questo dare, secondo me, è uno dei verbi più importanti in comunicazione e questo l’ho visto succedere e ho visto avere effetto sui social, ma forse oggi spesso pensiamo a cosa arriva in termini di like, di ritorno, ma forse la domanda prima è: ma io cosa sto dando? Che sembra una banalità ma spesso è proprio nelle banalità che si nasconde il segreto diciamo della realtà.”
Joe Casini: “Un po’ si ricollega a quello che dicevi all’inizio che appunto la comunicazione è fare spazio all’altro, nel momento in cui fai divulgazione può facilmente prevalere anche gli aspetti narcisistici di far vedere che sai le cose, che le hai studiate, che le padroneggi e invece quando dicevi che la capacità di far sentire l’altro intelligente e appassionarlo alla scoperta vuol dire appunto lasciargli spazio nella relazione e quello fa sì che poi si crei quell’engagement sano che porta al piacere della scoperta. Resta soltanto un’ultima cosa da fare che però è una cosa molto importante nella liturgia del nostro podcast perché è il momento delle domande finali tra gli ospiti. I tre ospiti che ti propongo sono Alberto Puliafito che è un giornalista che in particolare si occupa di slow journalism, la seconda possibilità sono Danila De Stefano e Luana Valletta che sono due psicologhe con le quali abbiamo fatto una puntata parlando di psicologia, il terzo ospite è Lino Apone che è stato per tantissimi anni direttore marketing per Feltrinelli quindi abbiamo fatto una puntata parlando di editoria e delle sue peculiarità. Queste sono i tre ospiti tra i quali puoi scegliere, quali tra i tre ti incuriosisce di più?”
Bruno Mastroianni: “Sceglierò la psicologia per mettermi nei guai da solo.”
Joe Casini: “La domanda che loro hanno lasciato è come secondo te si può comunicare la psicologia on-line partendo dal presupposto che la psicologia è uno degli argomenti sul quale facilmente ci si arriva con dei vissuti faticosi e dolorosi ma che solleva molti tabù, molte resistenze, lo stigma sociale. è uno degli argomenti dove però riuscire a fare una comunicazione efficace, sdoganarlo e scoperchiarlo ha degli impatti pazzeschi in termini di benessere. Quindi la domanda è come si può approcciare la comunicazione su un argomento così delicato?”
Bruno Mastroianni: “è una domanda, ovviamente difficilissima, come tutte le domande. Credo che userei quello che si deve sempre fare in comunicazione, cioè il più possibile avvicinare gli argomenti alle persone, ma non intendo soltanto al vissuto delle persone, io intendo proprio alle resistenze che hanno le persone sulla psicologia e credo che loro intendono anche la psicoterapia, spesso su quello c’è una grande resistenza, è paradossale perché ad oggi la psicoterapia sarebbe fondamentale per tutti, non è solo per persone che hanno problemi anche perché i problemi ce li abbiamo tutti, è qualcosa di sano da fare però affronterei di petto proprio lo stigma non avrei paura di andare a parlare della psicologia proprio a partire dal ‘di solito se si parla di psicoterapia hai queste resistenze’, andrei a fondo, che poi gli psicologi sono bravissimi in questo, sul perché ci sono queste resistenze e parlerei molto esplicitamente di queste da vicino. Non avrei paura di avvicinarmi a quello perché secondo me per andare a dissipare le resistenze, bisogna saperle prendere su di sé e affrontarle.”
Joe Casini: “Prendere il toro per le corna di solito funziona sempre.”
Bruno Mastroianni: “Io sono per gestire bene il conflitto, questo è un conflitto e va celebrato, va preso ed esposto, mettiamoci qui e cerchiamo di capire la resistenza assieme, quindi affrontarlo direttamente.”
Joe Casini: “Con questo arriviamo all’ultimo momento della nostra chiacchierata quindi se vuoi a tua volta puoi lasciare una domanda per gli ospiti delle prossime puntate.”
Bruno Mastroianni: “In questo scenario di iper comunicazione in cui il cittadino medio comunica molto di più attraverso i social, il digitale molto di più di quanto non facesse in passato, la domanda è: è più facile o più difficile ascoltare e conoscere se stessi quando si comunica così tanto?”
Joe Casini: “Ti sei vendicato. Vedremo chi avrà la fortuna di pescare questa domanda nelle prossime puntate. Il nostro tempo è volato, ti ringrazio per essere stato dei nostri.
Bruno Mastroianni: “Grazie a voi per questa bellissima chiacchierata.”
Joe Casini: “Saluto tutti gli ascoltatori del podcast e vi do appuntamento, come al solito, tra due settimana per un’altra puntata di mondo complesso. Buona domenica.”