Con il fisico Alessandro Vespignani vi accompagniamo in un viaggio alla scoperta della scienza e della complessità. Per comprendere perché per progredire la società ha bisogno di unire saperi e culture differenti.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti a una nuova puntata di Mondo Complesso, il podcast in cui parliamo di complessità e lo facciamo sempre con ospiti diversi. Oggi abbiamo un super ospite perché è con noi Alessandro Vespignani, quindi Alessandro benvenuto.”
Alessandro Vespignani: “Buongiorno a tutti.”
Joe Casini: “Alessandro è fisico, molto noto in quanto studioso di reti ma anche perché è autore di due libri molto belli ‘l’algoritmo dell’oracolo’ e ‘i piani del nemico’, oltre a scrivere e pubblicare libri è anche direttore Northeastern Network Science Institute di Boston e ovviamente oggi parleremo di reti. Partirei subito con quella che noi chiamiamo domanda semplice ovvero: cosa significa studiare le reti?”
Alessandro Vespignani: “Studiare le reti vuol dire studiare le trame che tengono uniti noi come individui, la nostra società, ma spesso poi tutto quello che in realtà abbiamo intorno in qualche modo il linguaggio delle reti è il linguaggio che stiamo adottando sempre di più per descrivere sistemi che vanno da quelli tecnologici, cioè ovviamente le reti come le pensiamo nei social network appunto le reti sociali, poi ci sono le reti sociali nel mondo nel fisico, però poi c’è tutto quello che noi possiamo in qualche modo concettualizzare come le reti, quindi le strade, le infrastrutture di distribuzione dell’energia, le infrastrutture economiche, le infrastrutture sanitarie, realtà qualunque sistema che vive di interazioni e di rapporti può essere visto come una rete. Studiare le reti vuol dire studiare il linguaggio per capire la complessità di questi sistemi.”
Joe Casini: “A questo punto siamo entrati subito nella tematica. Ti chiederò se preferisci una domanda che abbia come argomento la scienza o una domanda in cui parleremo più della società. In che direzione vorresti proseguire la nostra chiacchierata?”
Alessandro Vespignani: “Questa è come quando uno fa i giochi ‘dove vuoi andare?’ Poi dopo la biforcazione sono le slide in doors a seconda di quello che scegliamo la conversazione prenderà una piega completamente diversa. In realtà, come dicevi te, per prendere tempo per decidere, scienza e società in realtà sono due cose che sono estremamente legate, soprattutto per una persona che lavora come me nella ricerca immaginare di parlare di società senza parlare di pensiero scientifico, di che cosa la scienza ci dice della società è molto difficile, però facciamo un tentativo. Cominciamo a parlare di società.”
Joe Casini: “E vorresti una domanda più con un taglio personale o più con un taglio professionale?”
Alessandro Vespignani: “Qui mi viene veramente voglia di lasciare a te l’iniziativa, nel senso che è sempre un po’ noioso cominciare con il professionale. Forse se partiamo con il personale la gente si incuriosisce di più.”
Joe Casini: “Andiamo sul personale, tralaltro quando faccio questa domanda gli audaci scelgono il personale. Ti volevo domandare allora noi veniamo da 2-3 anni in cui si è parlato tanto di scienza e non scienza un po’ su tutti i canali in particolare è emerso un po’ questo sentimento quasi anti-scientifico, c’è stato una sorte di rifiuto da parte della popolazione sui temi scientifici, faccio riferimento in particolare al periodo della pandemia. La domanda che ti volevo fare è: secondo te questo sentimento è un fenomeno significativo o al quale si è dato anche troppo peso? Ci saranno sicuramente delle persone che possono dire qualsiasi cosa ma la situazione forse non è preoccupante come potrebbe sembrare. Poi ti volevo chiedere posto che spesso leggiamo dei contenuti che in qualche modo mettono in discussione il valore della scienza o comunque il ruolo dello scienziato, a livello personale, quando vedi questo tipo di posizione provi qualcosa di particolare? quando vedi che il dibattito prende determinate pieghe hai un sapore particolare in bocca o è un fenomeno di cui se ne parla tanto ma forse anche sopradimensionandolo?”
Alessandro Vespignani: “Purtroppo questi tre anni di pandemia per chiunque ha fatto e ha lavorato nella scienza sono stati anni molto molto molto duri, perché in qualche modo la scienza è stata chiamata a cercare di portarci fuori da un brutto posto. Paradossalmente ci siamo riusciti e in qualche modo il vedere che tutto questo è vissuto invece in maniera conflittuale e spesso in maniera respingente da alcune fette della popolazione è una grande sofferenza. Vorrei poter dare una nota di ottimismo, come si fa spesso, chi lavora nella scienza dovrebbe sempre cercare di avere una nota di ottimismo su questo però io invece un pochino di pessimismo ce l’ho perché non ho mai visto, ormai in 30 anni di lavoro, un periodo in cui la scienza fosse così messa in discussione, così manipolata, così oggetto di politicizzazione, diventa un’arma, c’è un’assenza di che cosa vuol dire la scienza, cioè viene discussa e spesso, dico una brutta parola, stuprata nelle discussioni, nei dibattiti pubblici e questo ci porta in un buio della ragione che mi preoccupa. Uno può dire ‘no, ma in realtà sono piccole fette della popolazione’, ma in realtà c’è qualche cosa che sta crescendo, cioè, c’è una specie di pensiero antiscientifico che marcia e che ha tante radici, tante origini e tante cause di cui però non si riesce a parlare abbastanza, per cui in realtà sottovalutare il problema, come dicevi te all’inizio, non è l’approccio migliore, io preferisco in qualche modo avere un pochino di questo pessimismo ma proprio perché se non ci difendiamo, se non ne parliamo, la situazione può peggiorare.”
Joe Casini: “Parlando proprio in termini di contagio negli ultimi anni sono stati diversi studi per sempre riguardo le fake news, sulla capacità che avevano di diffondersi più o meno rapidamente e allo stesso modo anche questo sentimento anti-scientifico, ancorché riguarda una piccola parte della popolazione, il rischio è che possa poi contagiare ed estendersi.”
Alessandro Vespignani: “Ma sai i social media sono dei grandi amplificatori, bisogna stare attenti perché spesso si cerca di addossare ai social media, le reti sociali, la colpa di quello che sta succedendo. Ovviamente le reti sociali sono il medium di interazione, ci sono sicuramente dei problemi strutturali, dei problemi legati alle implementazioni, algoritmi del nostro essere sociale sul mondo digitale che non aiutano, però su questi strumenti si innesta qualcosa che esiste ovvero una cattiva alfabetizzazione scientifica, noi non siamo riusciti a creare la necessaria alfabetizzazione scientifica. Spesso nelle popolazioni, nei cittadini, abbiamo spesso privilegiato un certo tipo di sapere e messo in un angolo il pensiero scientifico come qualcosa che fosse ingegneristico, fosse poco importante, in realtà è il pensiero di cui abbiamo più bisogno per capire la realtà che ci circonda, per razionarizzarla, per controllarla, per non farci manipolare e purtroppo in queste grandi fette della popolazione non c’è e crea il fatto che le fake news possano diffondersi a velocità enormi, vengono amplificate dalle nostre camere d’eco, nelle reti sociali che sono però all’origine di una cattiva alfabetizzazione delle persone rispetto a che cos’è interagire con la tecnologia, che cosa sono gli algoritmi, che cosa sono i dati, il non perdersi nelle camere d’eco viene anche da quello, da un’incosapevolezza delle persone e io lo dico sempre: la consapevolezza è il primo passo per cercare di portarci in un nuovo mondo dove veramente cerchiamo di prendere il meglio di quello che la scienza ci offre. In questo momento ci sta offrendo tantissimo, ci sta dando delle chiavi di soluzione a montagne di problemi che purtroppo non vengono accettate, non vengono neanche considerate.”
Joe Casini: “A proposito di tecnologia noi quando lanciamo gli ospiti del podcast diamo la possibilità agli ascoltatori e a chi ci segue sui social di lasciare delle domande. Tra le domande che ci sono arrivate c’è una in particolare che ti volevo girare a proposito di tecnologia da parte di Massimo Conte. La domanda, secondo me, è molto interessante e coglie un paio di aspetti significativi. Posto che probabilmente siamo in una fase storica in cui alcune limitazioni che avevamo dal punto di vista tecnologico nei decenni precedenti, non veniamo da delle società che erano società di small data, invece ora siamo entrati in delle società dei big data e che hanno la possibilità di utilizzare una potenza computazionale nuova e appunto sappiamo che tutto ciò che ha a che fare con i computer quantistici, siamo in una transizione molto importante da questo punto di vista. La domanda è: queste nuove risorse in che modo incidono sulla nostra capacità di fare previsioni? Lui sottolineava in particolar modo se paradossalmente avere così tante risorse come trade-off può comportare che i nostri modelli previsionali entrano in crisi. Abbiamo tantissime risorse da utilizzare e forse non siamo abituati ad averne così tanti quindi, dal tuo punto di vista, come sta cambiando la cosa?”
Alessandro Vespignani: “Cambia tutto costantemente, ovviamente più informazioni abbiamo più siamo in grado di captare segnali e più in qualche modo i modelli che possiamo usare per cercare di guardare al futuro, cercare comunque anche di guardare al presente per comprendere quello che c’è intorno, diventano più complessi. Questo però non vuol dire che diminuisce la nostra capacità, vuol dire che dobbiamo essere più bravi che dobbiamo avanzare al passo che viene dai dati e dalle capacità algoritmiche computazionali che abbiamo acquisito. Se 10 anni fa tu chiedevi qual è la possibilità di fare previsioni qualunque persona ti avrebbe sempre detto che si possono fare previsioni nel campo che coinvolge anche la sfera sociale, quindi la società, ma sempre a livello di società, cioè di aggregato, di statistica, nessuno mai seguirà Joe, seguirà Alessandro e in realtà nell’arco di meno 10 anni, siamo arrivati a dei livelli in cui vengono fatte delle previsioni molto puntuali su noi stessi, sull’individuo, sempre in una maniera che curiosamente usa non solo i dati dell’individuo ma proprio i dati della collettività e qui c’è di nuovo la complessità. Per capire l’individuo come singolo, in realtà, dobbiamo capire le sue interazioni, cioè qualunque algoritmo che adesso consiglia e in qualche modo predice se a te piacerà un pezzo musicale o una serie tv o un libro, in realtà non è che lavora solo su quello che piace a te ma lavora sulla collettività e su come tu, attraverso una rete, sei collegato agli individui di questa collettività e poi, attraverso queste interazioni, è possibile fare delle previsioni sul singolo. Questo solo alcuni anni fa neanche ci si pensava, adesso ci siamo già dentro. Queste capacità vengono amplificate costantemente, quindi in realtà torniamo al problema di prima. Quando io parlo di alfabetizzazione, non voglio essere frainteso, io parlo di un’alfabetizzazione che vuol dire un costante apprendimento, un costante interesse per quello che sta succedendo, come quando impariamo a leggere i libri ma non è che ci fermiamo e leggiamo i libri solamente per cinque anni e poi non leggiamo più, noi continuiamo costantemente a leggere. Questa è quell’alfabetizzazione scientifica di cui parlo, questa capacità di leggere, continuare a capire, continuare a informarsi, continuare ad avere una comprensione di quello che sta succedendo perchè succede ad una scala temporale talmente veloce che questo livello di predizione sta riassestando tutti i poteri politici ed economici del mondo.”
Joe Casini: “Proprio dal punto di vista delle organizzazioni sociali ora passiamo a quella che chiamiamo del filo del rasoio. Abbiamo visto da una parte la necessità di far circolare le informazioni che è un valore per la comunità scientifica, dall’altra parte andare a perimetrare queste informazioni oggi, anche dal punto di vista sociale, se ne parla spesso anche rispetto ai regimi totalitari, più passano gli anni e più anche lì circolano in tutti i modi, fanno fatica comunque a perimetrale queste informazioni. Secondo te che rapporto dobbiamo avere con il modo in cui facciamo circolare le informazioni? C’è una soglia che in qualche momento dobbiamo mettere secondo te o no?”
Alessandro Vespignani: “Io credo che le informazioni vadano fatte circolare. Il dato deve essere aperto, sempre tenendo conto della della grande delicatezza che i dati hanno, quindi stiamo attenti perché dobbiamo proteggere sia la privacy sia tutti quegli aspetti etici anche di che cosa e come possiamo lavorare sul dato, però più informazioni circolano e più abbiamo capacità di lettura del mondo e più è possibile leggere il mondo. Io non avrei paura di questo, quello che va spiegato e va offerto al pubblico, in una maniera comprensibile, è il processo scientifico che è stato usato per arrivare da quei dati ad una conoscenza e poi a delle decisioni. Questo è un processo che è spesso complicato e va spiegato e va fatto diventare fruibile, faccio un esempio: è straordinario avere tutti i dati meteorologici e ne vogliamo sempre di più, però non è che uno va dalle singole persone a chiedere ma tu che ci fai con quei dati? Fai le previsioni metereologiche a casa? No perché ovviamente poi tu devi assimilare quei dati nella maniera corretta, devi avere i modelli giusti e poi devi avere un servizio nazionale che adotti il linguaggio giusto per trasmettere le informazioni che le trasferisce agli organi competenti nel caso di emergenza e così via. Questi processi vanno creati all’interno di strutture e approcci che sono ben codificati cioè il dato buttato lì, messo aperto, ma che non significa niente, crudo, diventa inutilizzabile. Quello che noi dobbiamo creare sono delle strutture che invece da questi dati estraggono della conoscenza e poi questa conoscenza la dobbiamo spiegare nella maniera più facile è più trasmissibile. Durante la pandemia molti dicevano ‘vogliamo vedere tutti i dati, di tutti i modelli, di tutte le analisi che sono state fatte vedere nelle varie task force, situation room etc’, si può anche fare però da quello non si capisce nulla, perché, in realtà quei dati vengono poi discussi in una maniera che è molto approfondita, dove si specificano tutte le assunzioni dietro a certi scenari quali sono le limitazioni dei metodi usati. Tutte informazioni, metadati, che sono al di sopra dei dati stessi che se non vengono comunicati e contestualizzati a quella situazione anche il valore del dato stesso si perde, non si capisce, non ha senso chiedere che quelle riunioni venissero messe on-line, quello che invece andava fatto è che dopo doveva esserci un processo di discussione, di trasferimento delle decisioni del processo che era stato eseguito ai cittadini in modo che i cittadini potessero vedere qual era stata la logica delle cose e potessero vedere qual era anche la presa di responsabilità di ciascun pezzo di questa filiera dell’emergenza. Quello vuol dire capire, cercare di trasmettere come della conoscenza e poi delle decisioni vengono estratte dai dati, se manca questa comunicazione allora, come dici te, diventa un po’ cacofonia, che è un po’ quello che in altri punti della pandemia è successo, cioè i giornali, i media, molto spesso anche figure più istituzionali in qualche modo tiravano per la giacca qualcuno che passava dicendogli ‘tu che pensi che succede domani?’ non funziona così.”
Joe Casini: “O magari prendevano il dato che poteva farli più comodo.”
Alessandro Vespignani: “Certo, oppure prendi una persona che sa manipolare il dato ma se tu non hai tutto l’expertise che ti serve per manipolare quel dato puoi arrivare a delle conclusioni completamente sbagliare, ma questo è un esempio, ce ne sono molti altri sul perché appunto questo processo di estrazione di conoscenza del dato e poi del policy making, cioè di quali decisioni prendiamo dall’informazione che abbiamo ottenuto va spiegato e va razionalizzato, però attenzione perchè il dato aperto è sicuramente una cosa importante che serve a non creare delle zone scure che sono molto pericolose. Infatti poi il dato viene sempre tenuto segreto da chi non vuole che alcune cose escano fuori.”
Joe Casini: “Continuando a parlare un po’ di reti sociali, ora siamo arrivati un po’ alla domanda che definiamo della birra di troppo. Ti volevo fare una domanda su una rete sociale molto particolare ovvero il tuo gruppo di lavoro, molti nostri ascoltatori probabilmente lo conoscono, in quanto è un gruppo che si occupa di reti che fa anche molta attività di divulgazione, molto attivo, e soprattutto è un gruppo multiculturale. La prima cosa che ti volevo domandare è se secondo te quest’esperienza che stai vivendo e stai portando avanti a Boston si poteva fare anche in Italia. La seconda cosa è: cosa vuol dire lavorare in un gruppo multiculturale, quali sono i vantaggi che porta. Ti faccio questa domanda anche perchè molte persone che ci ascoltano magari sono manager, lavorano in azienda.”
Alessandro Vespignani: “Allora intanto fammi dire due parole per far capire a chi ci sta ascoltando cos’è il gruppo di lavoro di cui parli, cioè quello che abbiamo formato all’interno di questo Network science institute della Northeastern University che è un gruppo interdisciplinare che si occupa di scienza delle reti con le sue applicazioni verticali che vanno dalla matematica fondazionale fino all’epidemiologia, scienze politiche, microbiologia. Le reti sono quello che ci unisce metodologicamente e poi comunque gli approcci vengono e sono interdisciplinari. Questo vuol dire che si lavora con persone che sono matematici, sono computer scientist, che sono scienziati politici, sociologi, fisici, biologhi e così via e questo crea un’enorme diversità, una realtà interdisciplinare che poi vive attraversa dei gruppi di ricerca che ognuno di noi ha che sono più tematici, poi però si lavora insieme, facciamo cose insieme dove i punti di vista, le metodologie, le tecnologie si mischiano, si ibridizzano, fanno nascere delle cose nuove, perché non è solamente interdisciplinarità, nel senso io metto A più B perché ho questo problema che posso risolvere con A più B per creare qualcosa di completamente nuovo, un piccolo cambio di paradigma a come noi abbracciamo un problema che possa permettere di fare un salto salto di qualità. Questo è molto difficile farlo, devo essere onesto negli Stati Uniti ho avuto la fortuna di trovare un’istituzione che ha deciso di investire molto su questo disegno, ma in una maniera genuina perché, come dicevi tu nell’industria, un po’ tutti dicono ‘ah l’interdisciplinarietà è un valore’ poi però appena parli ti dicono ‘Eh, ma deve stare in quel dipartimento ma in quel dipartimento non hanno votato per quell’altro e poi c’è il settore disciplinare’ etc e lì si fermano le cose. Io ho trovato un’istituzione che ha detto ‘Qualunque problema cercheremo di risolverlo’ e ovviamente i problemi ci sono perchè l’università è pensata per silos però in realtà fare un istituto trasversale forse è una cosa difficile ma loro lo hanno fatto davvero. La gioia è vera perché è la gioia delle idee alla macchinetta del caffè che possono nascere solo dal fatto che, lavorando e cercando di trovare delle chiavi di risposta a questa pandemia, persone che magari si occupano in scienze sociali potevano dare un contributo a cui io non avrei mai pensato proprio perché culturalmente non era il mio. Io nasco come fisico, però poi ho cambiato tre volte in qualche modo l’area di lavoro, però ogni volta è un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di scrivere, un nuovo modo di approcciare i problemi e ce ne sono tantissimi, quindi poi quando arriva la persona che si occupa di intelligenza artificiale e parla con la persona che si occupa di sistemi sociali dal punto di vista proprio delle scienze sociali nascono delle scintille, delle cose nuove che sono molto belle. La scienza va ad affrontare dei problemi, molti dei quali presto saranno quasi esistenziali per noi, dalla crisi climatica alla crisi delle risorse, l’emigrazioni, montagne di situazione che realmente non possono essere affrontate da un ambito disciplinare. Quindi la scienza sta diventando sempre di più quello che io definisco uno sport di squadra e qui è dove la diversità è importante. Parlando in Italia, forse tutti lo possono capire immediatamente, in una squadra di calcio non ci possono essere solamente attaccanti perché perderai tutte le partite, quindi ti serve l’attaccante ma ti serve anche il difensore, ti serve il portiere che fa un altro mestiere, in qualche modo quello di cui abbiamo bisogno sono delle squadre dove ognuno sappia fare il suo mestiere e poi sia costantemente allenato a lavorare con gli altri e in qualche modo giocare anche a memoria con gli altri usando le proprie specificità in una maniera di creare qualcosa che di nuovo è un sistema complesso. Il sistema è di più della somma individuale delle parti, c’è qualcosa di più che esce fuori.”
Joe Casini: “Purtroppo ci stiamo avvicinando alla fine della nostra chiacchierata. Ti volevo intanto ringraziare per aver condiviso questo racconto perché poi nelle tue parole mi piace immaginare di cogliere anche il senso del podcast. è un po’ questo quello che cerchiamo di fare, con vari ospiti che si occupano di cose diverse, proviamo non soltanto ad avere un approccio interdisciplinare ma anche trans disciplinare semmai ci riusciamo. Proprio in questo spirito, quindi arriviamo all’ultima domanda della nostra chiacchierata che è la domanda cosiddetta Secret Santa. Gli ospiti che ti propongo proprio in questo approccio così interdisciplinare sono Bruno Mastroianni, un giornalista, filosofo, che ha scritto un libro sul telefono, sugli strumenti di comunicazione e sul modo in cui discutiamo sui social. La seconda possibilità sono due persone Marinella De Simone e Dario Simoncini, sono fondatori del Complexity institute e quindi abbiamo parlato di complessità in maniera proprio più propria. Il terzo ospite che ti propongo è Lino Apone che è stato per tantissimi anni direttore commerciale e marketing di Feltrinelli editore, abbiamo fatto con Lino una chiacchierata sull’editoria provando a fare un’analisi come fosse un case study in maniera sistemica, con tutte le varie implicazioni che ci sono nell’editoria e fra gli autori, portare il contenuto, chi legge, distribuzione e così via. Tra questi tre ospiti qual è quello che ti incuriosisce di più?”
Alessandro Vespignani: “Proverei Mastroianni, vediamo che domanda mi ha lasciato.”
Joe Casini: “La domanda di Bruno è bella tosta ed è: nell’era dell’iper comunicazione è più facile o più difficile ascoltare se stessi? Abbiamo fatto una riflessione su come in qualche modo il fatto di essere esposti a tante informazioni può diventare sempre più difficile per noi andare ad ascoltare noi stessi che è un’attività fondamentale per poter poi entrare in rapporto con l’altro. In questa era caratterizzata dall’iper comunicazione quali sono gli effetti?
Alessandro Vespignani: “Questa è una domanda che entra nella sfera della psicologia cognitiva, di come un individuo si rapporta agli stimoli esterni, all’informazione, posso dare una mia sensazione. Secondo me il nostro pensiero, il nostro guardarci, il nostro riflettere su noi stessi avviene sempre durante delle interazioni con il mondo esterno quindi in realtà queste interazioni con il mondo esterno ci arricchiscono, anche nel modo di vedere quali sono le nostre reazioni, come noi ci dobbiamo porre in questo modo, quindi in realtà sono un’occasione costante di riflessione. Certo se veniamo travolti dall’informazione allora veniamo solamente bombardati e la ascoltiamo in maniera passiva no. Io però non credo che ci sia questo io credo che di nuovo qui siamo nel vedere le tecnologie e le informazioni che ci arrivano come antagonista. In realtà noi viviamo costantemente arricchiti da questa informazione ed è proprio quello è il pensare a noi stessi rispetto a questa informazione che cambia le carte in tavola anche verso il futuro. C’è anche un altro aspetto a un altro livello, cioè questa società dei dati, degli algoritmi in qualche modo acquisisce a livello collettivo una consapevolezza di se stesso, cioè come sistema complesso infinitamente, comincia per la prima volta a potersi leggere, a poter riflettere su se stesso perché noi attraverso questi dati, che prima non c’erano, con cui riusciamo a vedere gli effetti collettivi, cominciamo ad avere queste mappe del futuro, vuol dire che cominciamo poi a pensare anche a quale decisione come corpo sociale, noi facciamo esattamente come un individuo, noi guardiamo gli stimoli interni e decidiamo poi cosa siamo, cosa facciamo rispetto a quello che possiamo un po’ prevedere dalle nostre attività, dalle nostro interazioni con gli altri. La società ha spesso avuto difficoltà a fare questo in tempo reale noi lo stiamo acquisendo questa capacità, è una società che riesce a leggersi che riesce ad essere sensoriale, che riesce a misurarsi, che riesce a costruire questa mappa del futuro dove valuta le sue azioni future. Questa è un’acquisizione di un guardarsi dentro a un livello alto collettivo che è completamente nuovo, ma che anche questo ci arricchisce. Quindi io vedo questa informazione come qualcosa che comunque è un lato positivo. Certo poi ci sono anche aspetti deleteri nel momento che lo possiamo far diventare qualcosa che diventa uno stupefacente invece che un elemento di riflessione, qui forse qualche elemento di ottimismo io ce l’ho.”
Joe Casini: “Questo tema delle mappe del futuro e di come le nostre società stiano diventando riflessive grazie a questi dati potremmo farci un’altra puntata. Hai toccato un tema interessante. Mi spiace che siamo in chiusura, però Alessandro, se ti va, magari tra qualche mese ci risentiamo e la riprendiamo la chiacchierata.”
Alessandro Vespignani: “Assolutamente con grande piacere.”
Joe Casini: “A questo punto non resta se vuoi lasciare una domanda per i prossimi ospiti.”
Alessandro Vespignani: “Non è facile perché fare una domanda senza avere una persona di fronte a cui indirizzarla, però c’è una domanda che faccio ogni tanto, mettiamola così, a me stesso ed è quella che noi stiamo valutando l’impatto dei sistemi complessi, del nostro modo di poter leggere le interazioni in moltissime aree e ovviamente ci sono dei segni che questo va ad attaccare anche il modo in cui noi guardiamo per esempio a delle attività che se vuoi possiamo definire più frivole, cioè le nostre capacità creative come le nostre capacità anche agonistiche. Una delle domande che io mi faccio sempre è: ci sarà una nuova scuola, per esempio di allenatori, che vivrà il calcio dando alle squadre di calcio le loro creazioni come un sistema complesso o no? Cioè noi riusciremo a trasferire questo nostro pensiero anche in aria dove invece in qualche modo ancora adesso spesso viviamo qualche cosa che è sempre il personalismo, è sempre l’individuo, è sempre un’ottica dove in qualche modo si cerca il protagonismo invece dell’aspetto della collettività. So che in Italia ci penserai ci sono delle persone che si occupano proprio di lavorare su queste cose, mi piacerebbe sentire la loro opinione. Cioè quanti anni siamo se mai ci arriveremo?”
Joe Casini: “Vedremo chi coglierà la domanda nelle prossime puntate. A questo punto però Alessandro te lo devo chiedere: che squadra tifi?”
Alessandro Vespignani: “Questo però è gravissimo, io devo ammettere che sono laziale. Essendo di Roma mi sono dovuto trovare a scegliere tra le due squadre della capitale e poi per motivi episodici sono diventato laziale.”
Joe Casini: “La prossima puntata la faremo dopo un derby. Alessandro ti ringrazio per essere stato con noi questa domenica.”
Alessandro Vespignani: “Io ringrazio te e gli ascoltatori e spero di avere altre occasioni di dialogare con te. Un saluto!”
Joe Casini: “Buona domenica a tutti, alla prossima puntata.”