Con Valerio Bassan, giornalista, strategist e autore della newsletter Ellissi, e Gabriele Cruciata, giornalista investigativo, formatore e podcaster, parliamo della doppia crisi di Internet e del giornalismo, di come questi due fenomeni siano collegati, da dove vengono e come possiamo uscirne.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e bentornati a una puntata di Mondo Complesso che si preannuncia bella ricca perché oggi ne abbiamo non uno ma ben due ospiti, era un po’ che non facevamo una puntata doppia diciamo. Quindi intanto per prima cosa do il benvenuto agli ospiti di oggi che sono Gabriele Cruciata, benvenuto Gabriele.”
Gabriele Cruciata: “Ciao Joe grazie mille!”
Joe Casini: “e Valerio Bassan che è in collegamento. Ciao Valerio benvenuto.”
Valerio Bassan: “Ciao grazie dell’invito.”
Joe Casini: “Allora Valerio e Gabriele sono entrambi giornalisti, entrambi appassionati comunque di web e nuove tecnologie. Valerio in particolare ha una newsletter che si chiama “Ellissi”, bellissima se non la conoscete vi invito a seguirla, in cui parla un po’ di comunicazione e tecnologie e in particolare poi ha scritto un libro “Riavviare il sistema” in cui esplorare ancora meglio questi argomenti cose di cui oggi in qualche modo avremo sicuramente modo di parlare. Gabriele invece ha fatto inchieste per tantissime testate, Vice, Espresso, quindi internazionali ed italiane, e ha appena pubblicato un libro sempre di inchiesta che si chiama ‘I marsigliesi’ che è appena uscito e quindi parleremo sicuramente di giornalismo, di comunicazione, di come le tecnologie vanno a influenzare, quindi l’intersezione in cui ci muoveremo durante questa chiacchierata sarà un po’ questa. Partirei subito con le domande che essendo in tre oggi la puntata sarà bella piena. Allora io comincerei con quella che è sempre la domanda di rito di apertura di mondo complesso ovvero la domanda semplice, che dà la possibilità agli ospiti in qualche modo di fare un po’ il il primo passo nella conversazione di oggi e la domanda semplice che vorrei fare, parto da da Valerio, è: come internet ha cambiato il giornalismo? Non in assoluto, perché sarebbe un argomento lunghissimo e ne abbiamo anche fatto diverse puntate ma in particolare negli ultimi diciamo 5 anni, cioè rimanendo proprio nel passato più recente, cosa sta succedendo?”
Valerio Bassan: “Guarda ovviamente cercherò di non fare una lezione universitaria ma di condensare davvero quello che so, che ho capito, e non è facile nemmeno capire che cosa stia succedendo perché sotto tanti punti di vista il rapporto e la domanda ‘come internet ha cambiato il giornalismo’ è un po’ parziale perché da un certo punto di vista il giornalismo sta cambiando per i fatti suoi, si sta evolvendo, stanno evolvendo i suoi modelli di business, stanno evolvendo le strutture del giornalismo, le strutture di potere del giornalismo, il modo in cui il giornalismo viene distribuito. È ovvio che abbiamo visto con il covid un grande salto nelle subscription, quindi primo esempio che porto è se se parliamo negli ultimi 5 anni quindi Trump era già avvenuto direi che il coronavirus costringendoci in casa e spingendoci verso una maggiore necessità di informazione ha illuso il giornalismo che, soprattutto quello digitale, ci fosse la possibilità di aggrapparsi al modello degli abbonamenti per trovare una nuova sostenibilità economica che andasse bene, non per tutti, ma per tanti. A distanza di 3 anni possiamo già dire che questo effetto è un po’ svanito, si è un po’ spento, come si è spento per il New York Times il bump ha avuto, quel salto di subscription avuto dopo l’elezione di Trump. Questo è un po’ un tema che tocca da vicino la libertà la democrazia, la libertà di stampa e la democrazia di cui il giornalismo è un pilastro fondamentale perché nel mio lavoro, che è quello di consulente, in cui cerco di rendere sostenibili le media company parte proprio da un presupposto che è quello che mi muove personalmente ovvero che senza una stampa indipendente e solida in modo finanziario ed economico non c’è effettivamente una libertà di pensiero e non c’è la possibilità anche di controllare le dinamiche del potere. Quello che ovviamente sta alla base di tutto questo, e soprattutto della tua domanda, è la dinamica che il giornalismo ha nella sua nuova veste quella digitale il rapporto per esempio con le piattaforme social in cui gran parte dell’informazione oggi viene fruita, questo è un dato incontrovertibile, ma con alcuni distinguo, per esempio vediamo YouTube essere una una piattaforma in grande crescita e Instagram essere una piattaforma in discreta crescita così come tiktok, ovviamente l’utilizzo relativo al consumo di informazione, e vediamo invece andare a morire, a crollare in qualche modo, piattaforme che per anni invece hanno sorretto un modello come per esempio Facebook ovviamente, in parte anche WhatsApp che è stata per diversi anni uno strumento di condivisione delle notizie sempre più popolare adesso sta vivendo una frenata, e anche Google. Ovviamente i motori di ricerca di questi grandi intermediari della conoscenza del mondo grazie ai cambiamenti che stanno iniziando ad avvertire, dovuti all’introduzione dell’AI, in qualche modo nel loro rapporto con le testate giornalistiche stanno vivendo una modificazione. Questa modificazione andrà, probabilmente non lo sappiamo ancora, a discapito di un modello di business che sorregge il giornalismo che è quello del traffico, dei click, degli utenti, della pubblicità e questo perché ovviamente la tecnologia evolve ma le media company di informazione non sono abbastanza veloci o non hanno le disponibilità economiche che servirebbero per inseguire questi trend da vicino e quindi riescono purtroppo ad adattarsi con un po’ di ritardo. E se anche io ho visto un miglioramento in questi ultimi 10 anni da quando mi occupo di queste cose non credo che siamo ancora salvi. Forse è stato l’ultimo anno e mezzo è stato l’anno e mezzo più nero a livello globale quando si parla di licenziamenti per esempio tra i giornali, nelle redazioni, qui dobbiamo stare molto attenti soprattutto se crediamo che l’informazione sia un bene comune così come magari crediamo che internet sia un bene comune che questi due fattori stiano bene insieme, al momento hanno una relazione complicata.”
Joe Casini: “Guarda hai giustamente allargato un po’ il tema da internet alle tecnologie in generale. Diciamo che la cosa su cui oggi vi voglio un po’ stressare, ma anche qui allargando, quindi parlando di tecnologia in senso ampio ti rigiro anche a te Gabriele la domanda semplice in particolare per quello che riguarda il giornalismo investigativo, quindi come in questi ultimi anni queste nuove tecnologie, internet in primis ma non solo, hanno cambiato se hanno cambiato in qualche modo, il modo in cui si fanno le investigazioni, in cui fanno appunto queste ricerche?”
Gabriele Cruciata: “Allora sì esiste chiaramente un forte impatto, anzitutto negli ultimi anni, ma questo secondo me c’entra poco internet al massimo internet ha fortificato questa tendenza è quella delle inchieste in collaborazione, quindi inchieste internazionali, chiaramente con strumenti tecnologici in generale è sempre più facile comunicare, lavorare condividere informazioni anche in modo criptato ad esempio, o comunque garantendo degli standard di sicurezza sufficientemente alti, e quindi questo è molto importante. Noi negli ultimi anni, non necessariamente negli ultimi 5 anni ma anche comunque nell’ultimo periodo, abbiamo visto alcune delle più grandi inchieste della storia del giornalismo nascere grazie a queste dinamiche di collaborazione, penso per esempio ai Panama papers o inchieste enormi di questo tipo. Poi c’è un altro grande tema, che poi a me in modo diretto appassiona moltissimo, che è l’utilizzo delle fonti aperte, nel senso che chiaramente internet ci ha dato un’enorme disponibilità di fonti aperte, oggi è molto più semplice utilizzarle per fare inchieste in modo esclusivo oppure in modo integrato alle cosiddette fonti chiuse, quindi alle fonti riservate classiche del giornalismo investigativo, e poi gli strumenti di intelligenza artificiale oggi ci consentono, in realtà non sono così tanto esplorati perché c’è tanto scetticismo, però ci consentono di fare un sacco di cose, ci consentono di fare un’analisi di documenti, di dati, un controllo, verifiche a dei livelli e a delle velocità e a dei livelli di approfondimento che prima non erano possibili, non erano neanche immaginabili, specie in un contesto economico che è quello che ha descritto Valerio, cioè contesto di sostanziale povertà in cui certo non possiamo aspettarci giornalisti che passino anni su un’unica storia. Quindi direi che è questo, ma il principio chiave, secondo me, è che ancora non lo sappiamo bene perché l’arrivo prepotente dell’intelligenza artificiale non è stato digerito così bene nel mondo del giornalismo c’è molta paura e quindi, secondo me, bisogna un attimo capire siamo in un momento di forte transizione e non sappiamo bene dove stiamo andando.”
Joe Casini: “Però mi piace moltissimo che in apertura abbiamo già in qualche modo toccato le due facce di questa medaglia, sempre quando si parla di tecnologia sul lavoro si dice, da una parte, il rischio che possa portare i tagli, dall’altra parte, può essere un modo per fare di più con mezzi a volte limitati. Quindi nel caso del giornalismo ovviamente queste due facce sono ulteriormente importanti proprio per la funzione, come diceva Valerio, che il giornalismo poi ricopre nella nostra società. Visto che oggi dicevo che voglio soffermarmi sul ruolo di internet per tutti i modi che già abbiamo iniziato a esplorare, volevo partire con un ricordo, un’immagine, nel senso noi tutti siamo più o meno della stessa generazione, abbiamo visto dalla nascita di internet in poi quindi credo che ognuno di noi abbia un ricordo. Io, per esempio, ho un ricordo di quando non esisteva ancora Google quando si andavano a fare le ricerche su delle classifiche, degli elenchi che si trovavano e quindi c’era un approccio nel scoprire nuovi siti dove se mai trovavi ogni volta una perla rara te le salvavi e ti coltivavi le cose che trovavi con un’attenzione che poi negli anni io personalmente ho perso. Ecco la domanda che vi volevo fare è: voi rispetto a internet avete un’immagine, un ricordo, qualcosa che in questi anni è cambiato ripensando e dicendo ‘Ammazza come si è evoluto’ ripensando a questi ultimi 20 anni ormai?”
Valerio Bassan: “Io ne ho diversi, personalmente credo che sia normale perché comunque io sono dell’86 quindi diciamo che quando iniziavano a esserci delle connessioni a velocità decente stavo entrando in adolescenza quindi timing preciso per godere anche di un certo tipo di rete e ovviamente erano già successe tante cose, quindi parlo della fine degli anni 90 inizio degli anni 2000, nel mondo della rete, nella sua storia ed evoluzione eravamo agli albori di una bolla sostanzialmente, si spera irripetibile negli Stati Uniti, e poi quindi a cascata anche in tutto il mondo ed eravamo noi in Europa indietro di qualche anno rispetto allo sviluppo commerciale della rete, mentre invece quello che succedeva di là era già molto avanzato a livello anche di modelli estrattivi del valore, molto simili a cose che già troviamo oggi oggi online. Io personalmente mi ricordo molto bene MySpace ma perché per me è stata veramente la prima piattaforma in cui mi sono sentito a casa, venendo anche dalla musica per me era non solo, come magari era per per altre persone, un posto in cui ascoltare o conoscere persone era insieme un’app di dating, un’app social, e tutte queste cose insieme, io avevo il profilo mi ricordo della mia band con le mie canzoni, dove pubblicavamo le foto dei nostri concerti, le date dei tour, chiamiamoli così, era una band punk alternativa comunque, quindi suonavamo di base in centri sociali e la piattaforma in sé era molto ricca non solo di scoperta del tuo progetto verso gli altri ma anche molto viceversa cioè io scoprivo un sacco di musica che mi piaceva, sono diventato amico di tante persone negli anni in modo molto genuino partendo da un brano musicale, qui ovviamente sto già parlando di quando era un po’ più grandicello no 17-18 anni, non è il primo ricordo in assoluto però è quello che che personalmente mi ha fatto sperimentare davvero quali fossero le potenzialità della rete. Poi sappiamo che MySpace è finita come è finita, è diventata una sorta di scheletro, un relitto navigante in acque basse, ho cercata di comprarlo Justin Timberlake e di risanarlo senza grande successo quindi ecco già lì dentro c’era nascita, successa e morte di una piattaforma in pochi anni, quello che sta succedendo un po’ anche alle altre ma in un tempo un po’ più dilatato. Quindi me lo porto dentro anche perché mi ha insegnato che tutto è transitorio, anche le cose che al momento sembrano inscalfibili e enormemente potenti.”
Gabriele Cruciata: “Allora io sono un po’ più piccolo in realtà, sono del ‘94 e ho un ricordo di quando eravamo ragazzini che iniziavamo a chattare con MSN e c’era questa cosa terrificante che tu potevi mandare i trilli, quindi se tu qualcuno ti rispondeva c’era il computer che iniziava a esplodere di trilli e c’era una persona con cui mi sentivo all’epoca che cenava un po’ prima di me e quindi iniziava a chattare quando io stavo a cena con i miei genitori c’era mia madre che si incazzava perché c’era la stanza che faceva drin drin, quindi c’era questa cosa assurda che oggi non si può fare così. E come dice Valerio per fortuna forse è irripetibile cioè oggi sarebbe inaccettabile una piattaforma così.”
Valerio Bassan: “Io ho una domanda: ma tu scusa sei così giovane caro Gabriele, grazie per aver rimarcato la nostra differenza d’età, invece tu eri anche generazione ancora degli squilli al telefono?”
Gabriele Cruciata: “Assolutamente sì perché non c’era internet sui telefoni quindi se per sbaglio schiacciavi il tasto con il mappamondo poi arrivava una bolletta. Poi ce n’è un altro di
Utorrent, eMule, anche lì chiaramente era tutto illegale, era tutta pirateria, però mi ricordo che noi giravamo anche in classe con dei cd che erano stati masterizzati scaricando canzoni. “
Joe Casini: “Guardate vi facevo questa domanda proprio perché ormai appunto noi parliamo di Internet come se fosse un’unica cosa e ancora come se fosse una cosa nuova in realtà ma in realtà ha 20 anni e 20 anni, come dicevamo, sono un un’era geologica per internet e già tirando fuori un po’ di ricordi abbiamo fatto dei nomi di aziende, come diceva Valerio, che all’epoca sembravano dei colossi e che ora se vai a trovarle magari sì il marchio è sopravvissuto ma non si sa. La domanda che vi volevo fare è: siamo arrivati a un momento in cui ci sono invece delle aziende giganti ovviamente, conosciamo benissimo da Meta in poi, che in qualche modo hanno un monopolio di piazze, quelle famose piazze digitali di cui si parla spesso, quanto da il passaggio in una prima era in cui c’era molta più sperimentazione, molte più cose sotto banco, c’era effettivamente un po’ più area di libertà, oggi, da un punto di vista giornalistico, il fatto che si esplori molto meno o meglio si faccia in contesti che sono però sempre dei contesti molto circoscritti e molto controllati, quanto ha influenzato il modo in cui si fa giornalismo? Cioè prima magari si pensava ai blog, si pensava a un certo modo che ora in parte sta riuscendo fuori ma ora in realtà si ragiona sugli algoritmi, in questo cosa è successo, tu anche nel libro dici che qualcosa si è rotto. Cosa si è rotto?”
Valerio Bassan: “Guarda credo che ci sia un doppio discorso da fare per quanto riguarda il giornalismo, nel senso che non c’è, come diceva anche Gabriele prima, forse mai stato così tanto giornalismo disponibile di alta qualità gratuitamente a così facile accesso per le persone come oggi, quindi in realtà è un periodo d’oro, potenzialmente potremmo essere tutti molto felici di quello che sta accadendo la verità è appunto che insomma il vulnus sta nella monetizzazione di questo tipo di contenuto. Dall’altro punto di vista io credo che quello spirito dei blog, dei forum, non sia sparito lo vediamo, non è sparito nelle persone e adesso insomma leggevo che in Messico il più famoso giornalista messicano in questo momento è un diciannovenne che studia legge e che è da quando ha 12 anni ha creato un profilo tiktok in cui divulga notizie in modo Democratico dice lui, quindi cerca di fare qualcosa che i giornali non fanno più, questo è il suo punto di vendita per dirla col marketing, e ha 2 milioni di follower, ovviamente guadagna da questo tipo di attività è chiaro che però, come sottolineavi tu Joe, lo fa in un contesto algoritmicamente mediato e come prima c’era un’inevitabilità se vuoi per una redazione vera, perché poi definiamo anche bene cosa si intende quando parliamo di giornalismo: cioè il lavoro giornalistico di scavo, di approfondimento, di ricerca delle fonti è diverso dal lavoro che fanno la maggior parte dei Creator. Io sono uno che è molto a favore della divulgazione online, allo stesso tempo dobbiamo tutti riconoscere che chi trova le notizie di prima mano fa un lavoro giornalistico insostituibile, chi analizza, racconta e ripropone oggetti di contenuto di seconda mano ovviamente non ha lo stesso impatto sociale, magari ne ha un altro molto grande perché divulga in un modo molto più comprensibile dei giornali, con dei formati molto più nuovi, però allo stesso tempo quell’altro aspetto non può venire meno, e quindi non può venire meno anche la parte collaborativa delle redazioni, il fatto che ci sia un post in cui squillano i telefoni, le persone vanno fisicamente, si parlano, si confrontano, c’è un editor che controlla l’articolo prima che esca, c’è qualcuno che si occupa del pack checking, tutta quella parte lì ovviamente se pensiamo al lavoro dei Creator e dei divulgatori c’è molto meno con alcune eccezioni che sappiamo, c’è chi si sta costruendo la sua media company da zero. Quello che si è rotto è appunto la possibilità di controllare la direzione che internet prende in tutti gli aspetti, non solo quello dell’informazione, perché l’eccessiva, per quello che mi riguarda, privatizzazione, commercializzazione di una tecnologia che è un diritto fondamentale della società è una tecnologia su cui la società si sorregge senza quale non può stare in piedi, l’abbiamo visto anche durante la pandemia, è in mano a pochissime realtà for profit che hanno un ruolo molto importante nell’essere gatekeeper dell’informazione non solo, ma soprattutto possiedono la stragrande maggioranza dei dati, e come sappiamo benissimo chi ha in mano i dati nel suo recinto questi dati in qualche modo li li riesce a coltivare, analizzare e rivendere e ha tantissimo potere più di quello dei governi, delle istituzioni sovranazionali e via dicendo e quindi, sicuramente, anche più dei giornali. Quindi il bello e il cattivo tempo non lo può fare solo una parte soprattutto se si è in democrazia e credo che la cosa principale che si sia rotta è che abbiamo perso un po’ il controllo della rete come bene pubblico, tuttavia, essendo noi consumatori di questa meravigliosa tecnologia abbiamo dei doveri, abbiamo un’etica da rispettare nel modo in cui la usiamo, ma dobbiamo entrare anche nell’ottica di avere anche dei diritti minimi che ci devono essere garantiti e quindi renderci anche come collettività responsabili, come ci preoccupiamo del cambiamento climatico forse dobbiamo preoccuparci a un certo punto anche della fragilità della rete e di come questa si ripercuote su tutti i mercati, su tutte le industrie, inclusa quella dell’informazione.”
Joe Casini: “Sempre nel vedere un po’ queste doppie facce che stiamo esplorando c’è una domanda che ti volevo fare Gabriele, ora tu hai fatto questo libro ‘I marsigliesi’ in cui hai ricostruito in qualche modo la storia di questa banda che c’era a Roma, prima della banda Magliana, quindi tanti anni fa, la domanda domanda che ti volevo fare è: in questo lavoro di inchiesta cosa hai fatto che non avresti potuto 5 anni fa o 10 anni fa e cosa invece hai fatto che avresti fatto esattamente allo stesso modo 5 anni o 10 anni fa? Cioè dove effettivamente c’è stato un cambiamento netto nel lavoro di giornalista e dove invece in realtà poi paramente non è cambiato nulla a distanza di anni?”
Gabriele Cruciata: “Allora il metodo l’ho provato in realtà a spiegare proprio dentro al libro quindi ci sono dei passaggi in cui più o meno provo a rispondere a questa domanda. In breve ciò che io oggi o un anno fa o poco tempo fa ho fatto esattamente nello stesso identico modo in cui si sarebbe fatto 5-10 o forse anche 40-50 anni fa è tutta la parte di analisi classica quindi per esempio le interviste la ricerca delle fonti riservate che nel giornalismo di solito sono persone che ti danno delle informazioni in modo anonimo ed è tuo obbligo di giornalista tutelare l’identità cioè tutelare diciamo l’anonimato di queste fonti e quindi tutto questo che è parte integrante del libro è stato fatto con un metodo assolutamente tradizionalissimo. Una parte di analisi che, da un punto di vista puramente tecnico, si sarebbe potuto fare anche tanti anni fa che è l’analisi delle carte giudiziarie, queste carte giudiziarie sono carte proprio fisiche, sono fogli di carta, sono faldoni che sono oggi all’interno di alcune sedi dell’archivio di Stato che qualunque cittadino o cittadina può andare lì a consultare. Il problema è che queste carte sono fisicamente lontane, non le puoi portare ovviamente a casa, le puoi consultare solo in blocchi di quattro o cinque faldoni, insomma ci sono una serie di complicazioni tecniche che rendono difficilissima l’analisi incrociata dei documenti, quindi se io voglio controllare il nome di una persona che appare sul foglio che ho davanti perché mi pare di ricordare che sia anche in un faldone che non c’entra niente di un altro processo che sta in un altro archivio questa cosa io non posso dire che è impossibile perché tecnicamente è possibile ma porta via talmente tanto tempo, burocrazia, analisi, eccetera e comunque è impossibile avere i due fogli fisicamente uno accanto all’altro che questo lavoro diventerebbe sostanzialmente impossibile o almeno lo sarebbe stato per me, per la mia condizione contrattuale, la mia condizione lavorativa, eccetera, e quindi utilizzare un software o più software che una volta digitalizzate le carte mi consente di fare una ricerca su fogli, documenti, testi che magari sono scritti anche a mano talvolta che risultano illeggibili questo è chiaramente un livello di analisi che non voglio dire sarebbe stato impossibile ma per me sarebbe stato impossibile.”
Joe Casini: “Abbiamo parlato appunto dell’importanza dei dati, appunto Valerio, chi ha i dati tende a tenerseli ben stretti, dall’altra parte abbiamo detto l’importanza dei dati aperti anche per gli sviluppi della democrazia nelle nostre società. La possibilità grazie all’intelligenza artificiale ad esempio di incrociare questi big data in queste grandi informazioni ancora una volta pone delle sfide e da una parte si parla spesso di capitalismo della sorveglianza, società che tendono a sorvegliare proprio partendo dai dati sempre più i cittadini, e quindi a ridurre lo spazio all privacy, ridurre in alcuni casi anche le libertà che i cittadini hanno, dall’altra parte però può diventare anche un’arma per il giornalismo per trovare delle evidenze o delle connessioni che per limiti economici, per limiti di tempo, magari erano impossibili prima.”
Gabriele Cruciata: “Secondo me sono un po’ le regole del gioco, cioè nel senso oggi la situazione è questa qua che chiaramente è una situazione che ha molti difetti e ha alcuni pregi, io credo che con un approccio abbastanza concreto, abbastanza realista, si possa tirar fuori del bene da una situazione come quella attuale perché non è una situazione di crollo verticale e questo secondo me sì ci aiuta perché incrociare i documenti non è un vezzo è che ci sono quintali di documenti pubblici che le informazioni contenute nei documenti non sono solo quelle che tu vedi in senso verticale all’interno di un foglio ma sono soprattutto quelle orizzontali cioè sono le relazioni tra documenti, e questo è fisicamente quasi impossibile trovarlo quindi fare una cosa del genere su documenti che sono alla portata di tutti, chiunque lo può fare, questo significa dare tanto valore aggiunto, cioè significa sostanzialmente sbloccare storie, cioè trovare storie nuove all’interno di storie vecchie perché, questo mi è capitato con i marsigliesi, mi è capitato un altro lavoro che sto facendo adesso, capita di trovare delle connessioni nuove e questo voglio dire lo diceva Pasolini più di 50 anni fa che sostanzialmente il lavoro dell’intellettuale in realtà non è tanto quello di raccontare in sé i fatti quanto quelli di metterli insiem, prendere fatti noti e diversi e metterli insieme all’interno di una narrazione unica e comune, quindi dare la visione di insieme. Questi strumenti oggi oggettivamente ci aiutano, così come ci aiutano anche ad avere una narrazione più interattiva, più calata sul territorio, più multimediale, cioè ci aiutano a fare un sacco di cose che se solo fossero state disponibili 10/15/20/30/40 anni fa diciamo oggi avremmo avuto delle inchieste incredibili, immaginiamoci il Watergate con gli strumenti di intelligenza artificiale ma sarebbe stato incredibile.”
Joe Casini: “No ma infatti questi sono strumenti che permettono a giornalisti di operare in economicità e poter creare nuovo valore, trovare anche nuovi modi per rendere accessibile l’informazione, per contro però tutt’ora nel giornalismo c’è una crisi evidente proprio dei modelli di business alla base. Quindi Valerio, la domanda che ti volevo fare, prima per esempio facevi il riferimento al ragazzo messicano, mentre su i Creator o le singole persone in qualche modo i nuovi modelli business delle piattaforme in alcuni casi funzionano, rendono possibile effettivamente fare le attività dal basso anche molto interessanti, quanto più poi si scala diciamo su organizzazioni e testate più strutturate tanto più l’impressione è che invece il modello scali male quindi gli strumenti sì ci danno la possibilità di sperimentare, trovare nuovi modi per operare in economicità e continuare a fare la nostra funzione, però c’è anche l’impressione che questi modelli sembrano ancora tanti esperimenti.”
Valerio Bassan: “Sono d’accordo diciamo che il sistema è strutturato perché non sia scalabile da parte di attori singoli, nel senso che le piattaforme non hanno nessun interesse poi effettivamente a dare di più di quello che è un minimo equilibrio di un do ut des, tu mi dai contenuti, mi dai informazioni verificate, io ti mando traffico, pubblicità, qualche dato ogni tanto e magari qualche abbonamento a questo podcast però è uno scambio che io non credo sia destinato a crescere molto più di così e ormai sono anni che è in leggera e costante regressione. Quello che penso è che oggi forse le testate abbiano bisogno di una radicale evoluzione perché il giornalismo va preservato ma è difficile pensare che possa essere una fonte di arricchimento, noi viviamo anche in un paese in cui ci sono sempre meno editori puri quindi persone che in realtà hanno il giornale, la dico proprio male, o la televisione per altri interessi che non sono primariamente quelli di garantire una stampa libera e un servizio pubblico pressoché nullo anche se vediamo che poi le persone dentro ci sono comunque ma in questo momento diciamo non abbiamo la BBC che comunque ha i suoi problemi, non esistono modelli perfetti. In questo vuoto secondo me prosperano tante cose, molto frammentate, questa è un po’ la doppia faccia dello specchio di quello che sta succedendo online, quindi le Community che si frammentano, l’Iper personalizzazione dell’esperienze degli utenti che hanno tanti pregi ma anche qualche difetto quello, come sappiamo, di isolarci, di farci un po’ parlare con noi stessi ma non veramente dialogare con gli altri e via dicendo. Un approccio che io cerco sempre di mettere in piedi nelle testate per cui lavoro è quello di differenziare il modello di business il più possibile, non dico spostandolo dal Business del contenuto però un po’ sì, cioè però un po’ diversificandolo perché dipendere esclusivamente dall’informazione è molto rischioso a maggior ragione lo è dipendere da un’unica fonte di introiti, quindi le testate che si sorreggono solo perché vendono pubblicità sul traffico che gli arriva da un singolo Social nel momento in cui quel Social cambia il proprio algoritmo o sei bravissimo oppure rischi rischi veramente grosso, e allo stesso modo avere un’unica fonte di ricavo che abbia l’80, il 90, il 95% del peso sul totale è difficile perché la pubblicità fluttua tantissimo, perché le previsioni del spending pubblicitario del prossimo triennio non sono esattamente rosee perché allo stesso tempo come il Digital news report del Reuters Institute appena uscito conferma c’è una piattezza completa rispetto agli abbonamenti che non stanno crescendo solo ancora il 10% delle persone in Italia paga per le notizie oggi, esattamente la stessa cifra che era l’anno scorso e meno rispetto agli anni del covid. Quindi tutto sommato non vedo una crescita esponenziale soprattutto il rischio lo vive direttamente chi fa un giornalismo più generalista che se da un lato interessa più persone dall’altro dà meno motivo di spendere, viceversa chi si specializza molto bene in una verticalità o riesce a sviluppare un rapporto di fiducia molto alto con il proprio pubblico può avere un suo mercato, però è un po’ inevitabile che il punto di equilibrio tra questi trend incrociati sia che i giornali saranno un po’ più piccoli, magari pubblicheranno un po’ meno ma quelli che sopravviveranno pubblicheranno meglio e soprattutto per un pubblico che hanno in testa più chiaro rispetto ai vecchi modelli in cui si parlava un po’ a tutti e allo stesso tempo sfrutteranno un modello di business più possibile diversificato magari anche lontano dal contenuto, cioè in cui il contenuto è un volano per attirare persone inserzionisti ma magari su qualcos’altro, su altro tipo di servizi per aziende, sugli eventi, sulla vendita di prodotti, ci sono tante possibilità nessuna di queste ovviamente è appannaggio unico dei giornali. Quindi ovviamente se i giornali si spostano verso un altro tipo di mercato dovranno anche fronteggiare un altro tipo di competizione però diciamo fare il multimedia non basta più serve essere un po’ più creativi di così e non è per niente facile questo va sottolineato.”
Joe Casini: “Guarda hai toccato un tema sul quale voglio fare una domanda, la faccio a tutte e due in realtà, parto da da Gabriele ma poi la giro anche a Valerio. Hai parlato delle redazioni Valerio prima, siccome tutti e due siete dei grandi frequentatori di redazioni per consulenze, formazioni e quant’altro, insomma frequentate molto redazioni, posto che in questi decenni abbiamo un trend che ci porta in una dimensione sempre più individuale nelle nostre vite sociali, per cui si va meno al cinema e si vede più il film a casa, si lavora magari meno in contesti di gruppo in presenza fisica addirittura ora spesso e volentieri si lavora in Smart working, in generale con tutti i pro e i contro del caso, c’è una tendenza in qualche modo a portare sempre più tutto su una dimensione individuale e, posto che, per questioni economiche e per questioni di varia natura questo trend, anche sui giornali in qualche modo le redazioni sono sempre più piccole e i giornalisti spesso anche per quella personalizzazione che diceva prima Valerio tendono a emergere molto magari sui social e quindi a utilizzare molto una dimensione individuale, voi come vedete questo trend rispetto alle redazioni? Che ruolo hanno e avranno le redazioni? Ed è una cosa che cambierà molto e se cambierà cosa comporterà questo?”
Gabriele Cruciata: “Allora io le redazioni che frequento le vedo un po’ depresse, sai che cosa sembrano, un po’ generalizzo forse, ma sembrano gli edifici quelli belli belli belli ma decadenti quelli che sono davanti al mare di solito, che sono tutti scrostati dalla salsedine, nel senso che si vede che c’è stato un momento d’oro perché sono palazzi grandi, fastosi, tutti quanti hanno lungo i corridoi hanno le prime pagine più belle che hanno fatto, da tutte le parti quindi ci sono c’è il giornale che ha fatto la prima pagina sul Governo Andreotti, su quando è morto Berlinguer, queste grandi cose però poi tu ti giri e c’hai che ne so 80 scrivanie e ci stanno due persone e tutti gli altri dove stanno? Eh sai prepensionamenti, licenziamenti, Smart Working, non c’è nessuno è tutto silenzioso è tutto un po’ decadente e e io mi sono fatto l’idea che queste redazioni, per come le abbiamo pensate per come le abbiamo conosciute, avranno un ruolo ma già ora ce lo hanno secondo me un ruolo sempre più marginale perché è anche un po’ una cosa che si autoalimenta. Io suppongo che le persone che vanno a lavorare lì non abbiano tutta sta voglia di stare in questo posto chiaramente decadente e quindi è un po’ qualcosa che si autoalimenta, però non sono tutte così le redazioni ci sono delle redazioni fresche, giovani, pensate bene, strutturate soprattutto delle redazioni in cui si è capito bene che non può stare tutto nelle mani dei giornalisti e quindi ci sono dentro le redazioni, ovviamente ci sono le persone dell’amministrazione eccetera, ma ci sono grafici, ci sono persone che si occupano dei social, ci sono persone che si occupano di tutta la parte per esempio di delivery, della parte di Seo, e poi ci sono quelli che producono le notizie, i contenuti, eccetera. Secondo me ci vuole molta freschezza ci vuole un po’ di rinnovamento e per tornare un attimo a quello dicevamo prima gli strumenti di intelligenza artificiale generativa secondo me ci possono anche aiutare in questo, anche nelle redazioni grandi in quelle generaliste, cioè secondo me noi potremmo, però questo forse lo sa meglio Valerio e magari sto dicendo una corbelleria, già pensare di riallocare, molte delle persone che oggi fanno per quello che viene detto desk quindi il lavoro di rielaborazione, dei lanci di agenzia e diciamo del Lavoro giornalistico di base, su lavori giornalistici più approfonditi che è spesso quello che chiedono le persone che manca nei giornali e assegnare queste attività ad un numero più ristretto di persone che controllano le macchine e che danno un controllo umano a degli output generati dalle macchine. Io questo non so se è possibile non so se è auspicabile anche da un punto di vista sindacale eccetera, temo però che gli editori che, come dice Valerio, non investono nel giornalismo per investire sul giornalismo ma lo fanno affinché questi soldi rientrino dalla finestra in altri modi temo che possano utilizzare questi strumenti più per tagliare le spese e quindi tagliare personale che non per fare un giornalismo migliore ma non perché non si possa fare e non perché sia colpa dello strumento è solo perché la dirigenza non è particolarmente illuminata.”
Valerio Bassan: “Diciamo che la cosa è possibile forse anche auspicabile da un certo punto di vista nel senso che la tecnologia deve essere un aiuto per noi e ovviamente molto dipende da chi la fa. Infatti quando io sento scenari apocalittici sulle AI tendo sempre a mettere un po’ in guardia che ricordiamoci che la stiamo programmando noi e che deve servire a noi umani quindi non siamo così spaventati. Io vedo in generale un entusiasmo che non mi aspettavo neanche tra i giornalisti anche di redazioni più tradizionali, passatemi il termine, verso strumenti di intelligenza artificiale che in potenza possono liberare il giornalista la giornalista da un certo tipo di lavoro. Io credo che ci sia insomma la possibilità di sperimentare e farlo senza magari esagerare ci sono già stati un po’ dei piccoli scandali nell’ultimo anno e mezzo pensa CNET che è un sito che si occupa di tecnologia che ha iniziato a pubblicare articoli fatti interamente dall’AI per poi ritrattare senza neanche dichiarare che non fosse contenuto originale, per esempio in Repubblica Cieca adesso c’è Express FM che è una radio commerciale che ha sintetizzato delle voci per leggere il radiogiornale soprattutto le notizie locali quindi la parte di sommarizzazione e speech viene fatta nel rullo orario da un conduttore o una conduttrice sintetica e sempre in Repubblica Ceca c’è anche bernot 1 che è la TV Local di bernau la città che ha annunciato a gennaio che inizierà a sperimentare con degli host dei conduttori anche del telegiornale realizzati interamente con AI penso che chi più chi meno tutti di noi abbiano un po’ sperimentato questi strumenti e devo dire che l’avanzamento che si è visto soprattutto nella sintesi video che parte dall’allenamento di quello che noi diciamo, di come lo diciamo, di come ci muoviamo, di che aspetto abbiamo sta accelerando in modo molto rapido ovviamente quello si porta dietro una serie di problemi legati soprattutto a diffusione di disinformazione, ormai di Deep fake ne parliamo da 5-6 anni ancora prima che ci fosse l’ai generativa o che fosse così diffusa, però quello è un tema che dall’altro punto di vista solleva anche un’altra possibile utilizzo dell’AI cioè quello di strumento a supporto del Fack checking per esempio, perché l’AI è in grado assoluto di dire se è stata la macchina a generare un certo tipo di contenuto oppure se c’è stata un’alterazione di qualche tipo, cosa che per noi umani sarà sempre più difficile. Quindi in realtà a proposito di strumenti al servizio questo è un altro possibile impiego: il fa checking però ovviamente con supervisione umana. Quindi per me sicuramente arriva un altro stravolgimento interessante, difficile che i giornali ne usciranno più deboli di così onestamente.”
Joe Casini: “Beh questo diciamo può essere un risvolto positivo. Prima di andare in chiusura c’è un’ultima domanda che vi vorrei fare, è un po’ che non lo faccio, ma oggi sento il bisogno di farlo visto gli argomenti cui abbiamo parlato e il piacere poi di chiacchierare con voi, che è la domanda sui consigli che può essere di lettura, un film, un podcast, quello che volete, consigliate qualcosa a chi ci ascolta ma in primis anche a me, qualcosa che secondo voi è una lettura un ascolto o un film che vi sentireste proprio di consigliare a spada tratta.”
Valerio Bassan: “Io ho letto delle cose molto belle per esempio devo dire l’ultimo libro di Cognetti che si chiama ‘giù nella valle’ è veramente un libro con un tipo di scrittura simile anche a quella di ‘invernale’ di Voltolini che, se non sbaglio, è anche andato nella cinquina dello strega, secondo me in un periodo di anche filtri di realtà aumentata che imbellettano le cose ci fa piuttosto bene, però è una scrittura dura ovviamente ma anche estremamente poetica quindi siccome, e qui magari aggiungo un pezzo, non mi sento di consigliare cose di giornalismo anche se nelle leggo tante perché mi sembra che siamo pieni delle news, di cosa sta succedendo nel mondo, che non stiamo tanto bene in generale e anche individualmente, quindi personalmente io sono in una fase in cui ho la nausea di saggi e ne ho letti ovviamente tanti, anche per scrivere il mio libro che è uscito a marzo, quindi sono solo romanzi anche cose che non leggerei abitualmente. Quindi consiglio sia ‘Invernale’ che ‘giù nella valle’ perché sono due libri italiani molto belli.”
Joe Casini: “Grazie Valerio. Gabriele?”
Gabriele Cruciata: “Guarda io ti dico veramente colto alla sprovvista che sto ascoltando un podcast che mi sta piacendo veramente molto però è davvero mainstream cioè sicuramente l’avranno ascoltato già tutti che è ‘sangue loro ‘di Pablo Trincia che è un autore che per me è stato molto importante l’ho anche studiato, l’ho decostruito, quindi insomma io vorrei anche uscire dalla sua visione delle cose però rimane un grandissimo autore ed è un podcast secondo me fatto molto bene perché fa una cosa super importante per chi fa il nostro lavoro cioè racconta la storia di una persona diciamo, passatemi un termine, di un cattivo e lo fa
umanizzandolo e questo non significa che ne giustifica le azioni ma le fa capire cioè fa capire quanto è vicina una persona cattiva a noi e questo ci consente di capire il male. Da un punto di vista narrativo che è qualcosa su cui chiaramente mi interrogo molto per via del mio lavoro è una cosa che io trovo molto utile da fare e la trovo anche molto ben fatta in questo lavoro.”
Joe Casini: “Intanto vi ringrazio per i consigli ovviamente aggiungo lato mio sui consigli di lettura i vostri libri quindi ‘riavviare il sistema’ e ‘i marsigliesi’ per chi ci ascolta, se non li avete ancora letti o scoperti visto che sono usciti da poco, ve li consiglio e arriviamo alla domanda finale che è la domanda col quale si conclude da 3 anni ormai questo podcast che è la domanda tra gli ospiti. Vi chiederò poi alla fine se volete di lasciare anche voi una domanda per gli ospiti delle prossime puntate. Allora gli ospiti che vi propongo sono Massimo Cerulo, professore insegna sociologia alla Federico II a Napoli e con lui abbiamo parlato di capitalismo emotivo quindi di come il capitalismo sempre più riesce a utilizzare le nostre emozioni e attivarci da un punto di vista emotivo per protrarre quelle che sono poi le dinamiche implicite del sistema capitalistico. Vi propongo poi Carolina Boldoni, antropologia e con lei abbiamo parlato di un po’ di temi di Antropologia in particolare abbiamo parlato un po’ anche dei tabù che ancora oggi spesso e volentieri nonostante siamo un’epoca in cui parliamo moltissimo online creiamo tantissimi contenuti alcuni temi tipo ad esempio il rapporto con la morte ci sono dei tabù che in qualche modo ancora ci trasciniamo dietro da migliaia di anni. Vi propongo poi Alessandro Vespignani, direttore Network Science Institute a Boston, con lui abbiamo parlato di scienze delle reti in generale di come i fenomeni si diffondono nelle reti quindi dalle epidemie anche alle diffusioni delle fake news e così via. Comincio da Valerio, quale di questi tre ospiti ti incuriosisce?”
Valerio Bassan: “Andiamo sulla Sociologia quindi la domanda di Massimo.”
Joe Casini: “La domanda che ha lasciato e che quindi ti rigiro è: cosa significa restare in silenzio nella società digitale?”
Valerio Bassan: “Wow meravigliosa, io risponderò stando in silenzio. Significa parlare piano sostanzialmente e pesare le parole diciamo che il silenzio non è per forza un valore e però lo diventa quando è antagonista rispetto all’urlo, quindi secondo me è importante avere il tempo, cosa che non abbiamo più, non per colpa nostra, noi non abbiamo nessuna colpa, noi siamo vittime di questa cosa in larga parte però, ogni tanto è anche utile cercare di prendersi degli spazi di detox digitale all’interno delle nostre vite perché insomma lo screen time che spendiamo sui device è molto elevato e oggettivamente ci invita poco al silenzio, ci invita molto di più alla condivisione.”
Joe Casini: “Ok Grazie Valerio, Gabriele a questo punto rimangono Carolina e Alessandro.”
Gabriele Cruciata: “Andiamo sull’antropologia.”
Joe Casini: “Carolina ha lasciato una domanda molto bella devo dire una di quelle che più mi ha colpito in questi ultimi mesi: quali sono i tuoi maestri e come mai proprio loro? Cosa ti hanno lasciato?”
Gabriele Cruciata: “Ah bella questa domanda. Allora cito due persone: una molto famosa una molto meno, uno è Pasolini di cui ho citato qualcosa prima lo è perché la prima volta che ho letto qualcosa, peraltro per sbaglio, era in un momento di grande transizione tipo di tarda adolescenza in cui stavo tipo per finire il liceo e ho capito una cosa che mi sarebbe molto piaciuto fare poi da grande, che era quello di andare in giro e raccontare, cioè mi sembrava una figura che avesse la capacità di far sposare bene l’essere un intellettuale con l’avere una conoscenza, che non è una conoscenza solo accademica ma è fatta di conoscenze del territorio, delle persone, delle dinamiche eccetera e questo mi è piaciuto molto, poi vabbè nel tempo le cose sono cambiate, prima pensavo fosse un intellettuale assolutamente geniale, oggi penso ancora che sia stato un intellettuale geniale ma forse citato un po’ troppo, spesso a sproposito quindi insomma l’ho ridimensionato, però è stato molto importante per me. La seconda persona è mio nonno perché mio nonno ha una grande capacità di godere delle piccole cose e quindi mi ha trasmesso la grande capacità di essere felice con poco, tipo mettendo i piedi sull’erba o stando sdraiato a guardare le stelle o a guardare gli aerei che atterrano, e quindi questa cosa qua che mi caratterizza molto, riallacciandomi all’idea del silenzio, quando io ho del tempo libero cioè a me piace proprio fare cose piccole non non ho bisogno di fare chissà che cosa mi bastano cose piccole e questo l’ho imparato grazie a lui.”
Joe Casini: “A questo punto è il vostro turno, potete lasciare una domanda per gli ospiti delle prossime puntate. Quindi comincerei sempre da Valerio, che domanda vuoi lasciare agli ospiti che vi seguiranno?”
Valerio Bassan: “Faccio una domanda un po’ stile isola deserta cosa ti porteresti: se dovessi salvare un solo file dal tuo computer o dal cloud quale sarebbe e perchè?”
Joe Casini: “Bellissima bellissima domanda. Prova a fare di meglio, vai Gabriele.”
Gabriele Cruciata: “Allora io ne avrei una relativa al mio settore ma è noiosa quindi non la farò e ne ho un’altra allora: Quanto sai della storia delle cose che hai mangiato nelle ultime 24 ore e dei legami che ha con te quel cibo lì?”
Joe Casini: “Quindi non la storia diciamo la filiera intendi proprio la storia sociale. Non vedo l’ora di prendere contropiede i prossimi ospiti anche grazie alle vostre domande. Per cominciare vi ringrazio per essere stati con noi questa domenica mattina, per cominciare da Valerio Bassan, grazie di essere stato con noi.”
Valerio Bassan: “Grazie mille è stato davvero un piacere.”
Joe Casini: “E grazie anche a Gabriele Cruciata, grazie Gabriele!”
Gabriele Cruciata: “Grazie mille per l’invito.”Joe Casini: “E ovviamente grazie a voi che anche questa domenica mattina siete stati in nostra compagnia, ci vediamo tra due settimane per una nuova puntata di mondo complesso. Buona domenica!”