Con Diletta Bellotti, attivista per la lotta alla crisi climatica, alle agromafie e al caporalato, parliamo di giustizia climatica, del filo rosso che unisce cibo, lavoro e clima e di come coltivare lo spirito di ribellione fin da piccoli/e.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti in una nuova puntata di mondo complesso, il podcast sulla complessità del mondo su come gli argomenti emergenti che in questi anni sentiamo sempre più spesso sono interconnessi tra loro. Oggi ci muoveremo su una di queste intersezioni e lo faremo con un ospite d’eccezione; quindi, intanto do il benvenuto a Diletta Bellotti.”
Diletta Bellotti: “Grazie!”
Joe Casini: “Diletta è attivista, si occupa di due grandi temi, si muove all’interno di questa intersezione e quindi andiamo ad esplorare insieme, uno è tutta la parte legata alle agromafie, ai caporalati e quindi tutto ciò che riguarda quel tipo di lavoro, dall’altra c’è il tema della crisi climatica e soprattutto un tema di giustizia climatica; quindi, come questi due temi si legano tra loro. Io partirei con la prima domanda del podcast che chiamiamo la domanda semplice, che ti da la possibilità di fare il primo passo in questa intersezione e dare tempo alla direzione che seguiremo. La domanda che ti volevo fare è: cos’è la giustizia climatica?”
Diletta Bellotti: “Provo a dare la risposta più semplice. L’ingiustizia climatica è il fatto che l’1% della popolazione mondiale ha reso invivibile il pianeta terra per il 99% degli esseri umani e per tutte le altre specie che vi abitano. Quindi la giustizia climatica è in un certo senso presente e futura sicuramente ma anche passata perché deve anche guardare a quelli che sono i torti e le colpe dei paesi occidentali nell’aver creato di fatto la fine del nostro mondo, di aver portato al collasso eco-climatico e quindi anche un collasso politico, sociale ed economico.”
Joe Casini: “Tu hai cominciato laureandoti in migrazioni, temi umanitari poi hai fatto nel 2019 una campagna che ha avuto molto risalto “pomodori rosso sangue” legata al tema del caporalato. Mi incuriosiva moltissimo come un fenomeno così globale come la crisi climatica si ricollega a un fenomeno locale come il caporalato.”
Diletta Bellotti: “Provo a dare una definizione di caporalato affinché il termine sia accessibile. Caporalato è l’intermediazione illegale del lavoro, quini il caporale è una persona che media il lavoro tra un datore di lavoro e una persona che lavora; quindi, è una forma di organizzazione della manodopera illegale che troviamo principalmente in agricoltura ma anche in altri settori quali l’edilizia. Ovviamente capiamo che l’irregolarità del lavoro cioè tutto ciò che è lavoro nero, lavoro grigio non è un fenomeno solo italiano anzi è un fenomeno che regge l’economia globale. Tutto ciò che è universo sfruttante in realtà ha il potere di tenere questo sistema economico in piedi ma soprattutto la velocità di questi contatti. E quindi cosa c’entra la crisi climatica con questo? C’entra tutto. Una persona che viene da un paese dell’Africa subsahariana come il Ghana, che ha una produzione di pomodoro molto importante, migra perché ci sono stati fenomeni di espropriazioni di terre nel suo paese da parte di multinazionali, si mette in viaggio che sono quelli che conosciamo, in un mondo in cui i confini sono criminalizzati e le persone che attraversano i confini e che non possono farlo in nessun altro modo, a un certo punto arriva in Italia e va a lavorare una terra martoriata dai cambiamenti climatici come magari in Ghana e a quel punto si ritrova in una rete di lavoro informale che è quella del caporalato. Magari migra per ragioni di espropriazioni di terre o per questioni climatiche e poi alla fine di questa rotta si trova in una situazione analoga ma molto più sfruttante, però chi sono i responsabili? Sempre gli stessi ovvero coloro che causano la crisi climatica e che si arricchiscono da meccanismi di sfruttamento della manodopera e della terra. Quindi lo sfruttamento della manodopera e la terra sono due facce della stessa medaglia.”
Joe Casini: “Questa è una cosa a cui assistiamo frequentemente a proposito di complessità, spesso i discorsi si intrecciano tra loro ed è impossibile separarli eppure ci ostiniamo a pensare che le cose viaggino su binari paralleli, penso soprattutto a come vengono affrontati i temi a quando si pensa al dibattito politico, spesso vengono affrontate come fossero aziende separate. Io su questo tema, abbiamo citato la campagna che hai fatto nel 2019, io ho un’immagine vivida che nel 2020 quando è cominciata l’emergenza covid che una delle primissime cose che è stata fatta è stata prolungare i permessi di soggiorno proprio perché serviva gente che andasse a raccogliere i pomodori nei campi e che noi comodamente chiusi a casa avevamo la necessità di avere i pomodori a domicilio. Quella secondo me è stata un’immagine terribile, l’unico momento in cui ci siamo posti il problema era quando noi dovevamo stare tranquilli chiusi a casa per avere i pomodori e passata quell’emergenza il tema è tornato sottotraccia. Tu che ti occupi di attivismo, e quindi questo tema lo porti in giro, come viene recepito e che tipo di sensibilità incontri?”
Diletta Bellotti: “Concentriamoci sulla parola momentum così ti racconto sia di pomodori rosso sangue sia rientriamo in questa questione dell’emergenza. Con pomodori rosso sangue che era una campagna di sensibilizzazione e di informazione che aveva lo scopo di fare luce sulla questione del caporalato, mettendo a fuoco il legame tra tre simboli che erano: la bandiera italiana con cui ci vestivamo nelle piazze, il cibo che mangiavamo, e questo sangue finto che fuoriusciva da questi ortaggi, che pero aveva lo scopo di esplicitare un legame, di portare i simboli dello sfruttamento da un luogo marginale a una piazza, in un luogo dove di fatto si prendono più decisioni politiche quindi la città. L’idea era quella di dare degli strumenti alla società civile affinché nel momento in cui ci sarebbe stato il momentum dei movimenti bracciantili com’era stato nel 2011 della rivolta di Nardò le persone avessero avuto gli strumenti per comprendere quello che stava succedendo. Quindi aveva lo scopo di sensibilizzare e creare un immaginario nel modo tale che nel momento in cui ci fossero stati 13/15 secondi di attenzione mediatica almeno ci sarebbero stati gli strumenti per comprendere quello che stava succedendo perché prima di quel momento e prima di qualche anno fa caporalato non voleva dire nulla in italiano, agromafia non voleva dire nulla in italiano e quindi che ti rivolte si possono fare se non stiamo parlando gli stessi linguaggi, se non condividiamo delle grammatiche, quindi questo era uno degli obiettivi che sono andati più o meno bene. Sulla questione dell’emergenzialità ovviamente il momento del covid è stato rivelatore di questo, ovvero tutta la narrazione della crisi, della catastrofe, tutte parole che poi hanno tutti altri significati, a cosa servono? Servono semplicemente a controllare, servono alle istituzione, a chi ha il potere, alle multinazionali nel caso del covid che si sono stra arricchite in quel momento, a controllare quello che sta succedendo e quello ha fatto una fotografia al mondo che si basa sullo sfruttamento di corpi e risorse usa e getta e nel momento in cui le persone non potevano attraversare né i confini regionali né potevano entra in Italia i lavoratori stagionali ci si è resi conto che non c’è manodopera perché forse tutte quelle persone lavoravano in nero. Quindi si è fatta questa ‘cagata’ di sanatoria, in molti avevamo capito che era il momento giusto per farlo, non è che la sanatoria la fanno dei governi che sono così buoni e caritatevoli ma sono dei governi che hanno bisogno di manodopera e se ne rendono conto. La prima era stata durante uno dei governi di Berlusconi regolarizzando tantissime persone che facevano lavoro di cura, badanti, e quindi è stato un momento che diceva ‘abbiamo bisogno di voi adesso’ e quindi senatoria è una cosa dove non entriamo di cui ho anche scritto e credo sia molto affascinante e questo però era una cosa che riguardava tutto il mondo. Ad esempio, i riders, le persone dei supermercati, uber eats per esempio è stata commissariata per caporalato, quando si son fermati? Mai. Hanno fatto i vaccini prima di noi? No. Si è dato per scontato che c’erano dei corpi sacrificabili e altri non. Questa dissonanza cognitiva, per citare Carol J. Adam che parla di antispecismo e liberazione animale ma è la stessa cosa in ‘carne da macello’, se tutti noi non ci sforziamo ne siamo estremamente sottomessi, è normale dire ‘sta diluviando ordiniamo’ perché è normale non pensare al corpo che ci sta portando del cibo, quell’elemento corporeo davvero non esiste quindi se non esiste una persona che lavora come rider che noi vediamo nelle città hanno anche dei colori riconoscibili, quindi tutti questi simboli esistono, come possiamo immaginare la vita di chi sta in condizioni ancora più a margine, di delocalizzazione, anche questo non è un caso che quasi tutte le nostre produzioni sono delocalizzate in modo tale che noi non possiamo vedere le loro rivolte, l loro proteste, le loro istanze.”
Joe Casini: “Infatti il tema della dissonanza cognitiva poi è una prospettiva particolarmente interessante. Nella dissonanza cognitiva quello che facciamo per attenuarla come prima ipotesi è cambiare noi ma prima di cambiare noi cerchiamo di attenuarla non vedendo il problema, tutto ciò che ci crea questa dissonanza tendiamo un po’ a ignorarla. Il fatto che siano non viste è un modo per non avere noi questa dissonanza, il problema qual è? Se non vediamo le cose e le releghiamo in un angolo buio poi succedono cose che difficilmente controlliamo, quindi c’è anche tutto il tema dell’agro mafia. C’è un altro tema molto rilevante, noi siamo un paese con bassissima natalità è un problema di bilancia dal punto di vista contributivo. Noi sappiamo che abbiamo questa migrazione che ci porta ricchezza dal punto di vista fiscale perché è gente che arriva e non avremmo la possibilità di sostenere se non avessimo l’immigrazione, per contro tendiamo a marginalizzarla, non vederla e delegarla in zone dove agiscono le agromafie. Come secondo te la situazione sta cambiando, se sta cambiando? Cioè osservando il fenomeno che può essere quello dei movimenti dei braccianti, hai citato tu un paio di momenti significativi ma negli ultimi 20/30 anni la situazione si sta esasperando ancora di più o al contrario ci sono stati dei momenti che ci fanno ben sperare a livello di outlook nei prossimi anni?”
Diletta Bellotti: “Non lo so, nel senso che l’emigrazione è un fenomeno costante della storia umana, tuttavia raccontarla come un’emergenza e come una crisi ha quello scopo lì, pensiamo a quando diciamo ‘barconi’ le hai viste le immagini sono barchini, hanno lo scopo di rafforzare la moltitudine, l’idea di questa invasione, quindi da un lato sicuramente c’è la difficoltà reale, anzi la facilità delle destre europee, occidentali in generale, di strumentalizzare la migrazione per fare campagna elettorale e per avere sempre un nemico, quello che si chiama othering, qualcuno che è diverso da noi e in questo modo noi possiamo affermarci, possiamo definire in che modo noi siamo esseri umani, civili, siamo occidente. L’occidente ovviamente si basa su ciò che non è occidente, essere bianchi si basa su tutto ciò che significa essere non bianco; quindi, a livello legale e di privilegi, secondo me è già molto interessante. Come stanno andando le cose non lo so perché cambio idea ogni giorno. Ho scritto questo libro che ho consegnato qualche giorno fa che si chiama ‘pomodoro rosso sangue’ che esce con nottetempo a giugno che racconta molte di queste analisi. Sicuramente una cosa che analizzavo lì è il fatto che quando parlavamo di crisi climatica, di collasso eco-climatico, qualche anno fa da italiani pensavamo che non ci riguardasse così tanto, invece negli ultimi due anni in realtà abbiamo avuto le prime morti climatiche nonostante ovviamente non vengano raccontate come tali, però la gente che ha perso persone care o la casa se lo ricorda bene, e quindi nel momento in cui vediamo che il Mediterraneo è estremamente nell’occhio del ciclone ci rendiamo conto che forse ci conviene anche a noi farci due calcoli di come essere parte attiva della propaganda nel raccontarci come rifugiati climatici perché probabilmente lo saremo molto prima di quanto probabilmente immaginavamo. Ovviamente a livello scientifico si sapeva, si immaginava però c’era un vuoto quindi se ci iniziamo a immaginare come rifugiati climatici, come persone che hanno già perso la casa, visto persone morire, forse questo ci può un po’ cambiare. Dall’altro lato devo allenare la mia speranza, la mia volontà di creare delle reti di cura, di sostegno e ovviamente anche di ribellione. Però la situazione è molto complessa, ci sono stati moltissimi passi avanti e sono molto contenta di vedere che ci sono molte più persone razzializzate non bianche in Italia che stanno prendendo la parola, a cui si è lasciato parlare, a cui si è passato il microfono, io ho iniziato ad occuparmi di caporalato perché ho letto il libro di Yvan Sagnet ‘Ama il tuo sogno’ che racconta dello sciopero di Nardò e quindi quando poi è passata la legge contro il caporalato era molto affascinante per me rendermi conto di non sapere niente di quella storia.”
Joe Casini: “Hai fatto riferimento ad una cosa che anche a me colpisce moltissimo ovvero che noi come paese abbiamo delle zone particolarmente vulnerabili e fragili, dicevamo le migrazioni, è un paese che è cresciuto nelle culture che si incontravano, noi fino a pochissimo tempo fa eravamo un insieme di stati non si parlava neanche la stessa lingua in questo paese. Quindi, da un certo punto di vista dovremmo avere una prospettiva privilegiata per comprendere la direzione in cui stiamo andando, dall’altra parte invece si fa moltissima resistenza. Di solito quando si fa resistenza è perché ci sono delle paure. Secondo te perché facciamo così tanto resistenza su questi temi? Perché sono dei fiumi carsici che emergono ogni tot anni e qualche giorno se ne parla e poi rimuoviamo nuovamente?”
Diletta Bellotti: “Sicuramente perché allenare la memoria è molto faticoso e richiede davvero moltissime risorse a livello culturale e sociale. Ho scritto questo pezzo sull’espresso un po’ di tempo fa che mi piace molto che parla tutto di cosa si parla a tavola con la propria famiglia, di quanto sia importante ciò di cui discuti con la tua famiglia perché crescendo mi sono resa conto che tantissime cose le sapevo o non le sapevo perché ne parlavamo le persone con cui mangiavo e quindi intorno a quel rituale, che per noi in Italia è particolarmente importante rispetto ad altre culture, ci sono ovviamente anche dei momenti di trasmissione dei saperi ma soprattutto di momenti in cui vieni spostato da una parte piuttosto che da un’altra perché ovviamente ciò che pensano i tuoi genitori devi decidere se accettarlo o no, puoi decostruirlo o no, puoi interiorizzarlo o no, però ha un pese. Questo è legatissimo alla questione della classe sociale e ne parlo quando ne ho scritto però mi interessa molto dove sono difatti i luoghi dove noi impariamo, ci trasmettiamo i saperi e lo facciamo in maniera orizzontale e gratuita, sottolineo gratuita nel senso di pubblico. Se anche nelle nostre città che dovrebbero essere degli snodi, dei punti nevralgici per fare tutte queste cose, tutti i luoghi dove si può parlare gratuitamente sono chiusi, sono sgomberati, non sono prioritizzati, quindi dove facciamo questa cosa? Solo online, come se l’online non avesse delle gerarchie, delle regole, degli algoritmi. Io tengo molto a questi momenti che sono estremamente difficili da creare soprattutto perché c’è precarietà, pochissimo tempo e quindi non penso sia una cosa di interesse ma tanto una cosa di dissonanza cognitiva, come dicevamo prima, di paura, di perdere tutto. Ovviamente i sentimenti di odio e di rabbia verso l’altro che è diverso da noi sono molto più facili da stimolare rispetto alla solidarietà, all’allenamento verso ciò che è complesso, ciò che richiede anche un atteggiamento intersezionale rispetto a tutto quello che sono le realtà di vita di tutte le altre persone e quindi è normale che la destra vinca perché fa un gioco facile, mentre tutto ciò che oppone fa un gioco molto più complesso, anche ciò che ha fatto la sinistra istituzionale fino ad ora ha perso per questo motivo, perché si è dovuta appoggiare a un binarismo, ha dovuto semplificare delle cose che di fatto sono complesse. Faccio un esempio pratico, il migrante o è vittima o carnefice, una survivor è vittima o sopravvissuta, come ne vogliamo parlare? Se non si allena questo e tutti noi cerchiamo di tenere a mente la complessità, i legami, gli snodi e i punti dove stare nel mondo, ovviamente impazziamo non è un caso che alle persone indigene che sono ancora parte della natura, a differenza nostra, il sistema sanitario pubblico là gli da una diagnosi di una schizofrenia perché loro sentono il mondo morire, noi non lo sentiamo perché siamo dissociati.”
Joe Casini: “Tra l’altro, questo atteggiamento che dicevi tu, uno dei vantaggi che dà è la possibilità di ragionare sui fenomeni prima che diventino un’emergenza, spesso poi le emergenze diventano reali e ci si arriva perché si ha uno sguardo miope. C’è una tua frase che mi ha colpito molto che paragonava un po’ il tema dell’emergenza climatica ad un tamponamento di automobili, stiamo andando verso il precipizio e quanto più te ne rendi conto a ridosso del precipizio quanto più l’unica cosa che puoi fare è inchiodare, è un’immagine che racconta bene il momento in cui siamo.”
Diletta Bellotti: “Assolutamente. Io tendo a stare un po’ nell’immaginifico e quindi cercavo di capire come mi sentivo rispetto alla questione del collasso climatico, alla fine di questo mondo come lo conosciamo e ovviamente anche alle responsabilità che noi abbiamo come paesi occidentali avendo causato tutto ciò e mi interessava molto l’idea di fermare questa macchina di quello che un compagno indigeno-colombiano chiama il capitalismo della morte. Un sistema mortifero che porta alla fine di tutto, all’esaurimento di tutto, all’estinzione di fatto e quindi tirare il freno a mano significa fermare questo sistema sacrificandosi perché questo noi non riusciamo ad immaginarlo perché non riusciamo ad immaginare la fine del nostro mondo, come non riusciamo ad immaginare un rider figuriamoci la fine del nostro mondo, di lusso, di comfort finto, di una classe media vuota, di cose che non esistono, dove la riproduzione di status è una cosa importantissima nella nostra cultura e quindi ovviamente si lega tantissimo con tutto ciò che è il sovraconsumo che è lo spreco e che è il retro dell’abbondanza, del motivo per cui i supermercati sono pieni e devono essere sempre strapieni di cibo perfetto che noi non consumiamo. In realtà è una richiesta che ci viene dal sud del mondo, dai paesi non occidentali, loro ci chiedono di opporci con tutte le nostre forze, con tutto il nostro privilegio anche a livello legale di documenti contro le multinazionali del fossile, le banche del fossile e istituzioni che fanno accordi con queste che appunto fanno progetti da noi, ma soprattutto nelle altre parti del mondo che stanno destabilizzando la vita sulla Terra. In paesi che non sono l’occidente per ora si viene ammazzati, pensiamo a Berta Caceres, noi abbiamo delle ripercussioni legali, la repressione sta peggiorando tantissimo in Italia, vediamo appunto gli eco vandali e però questa è una nostra responsabilità, quindi tirare il freno a mano e inceppare questa macchina del capitalismo della morte è sicuramente una responsabilità delle persone che sono nei paesi occidentali ovviamente sacrificando il loro stile di vita rendendosi conto di essere dalla parte non dalla parte della barricata che crediamo di essere spesso. Dov’è la giustizia climatica e in che modo si appellano a essa se sono in dei contesti in cui la loro voce non viene ascoltata e devono aspettare l’evento climatico di turno con i paesi più ricchi del mondo per supplicare di non fare morire la gente.”
Joe Casini: “A proposito di fenomeni globali e di come li percepiamo, ora dovremmo percepirli molto più vicini. In questo senso è stato costituito a livello mondiale un fondo che non è molto conosciuto che è quello del loss and damage che va in questa direzione. Ce lo puoi un po’ raccontare? E soprattutto qual è il sottinteso che quel fondo ha e qual è il destino che quel fondo avrà?”
Diletta Bellotti: “La questione di loss and damage è, appunto perdita e danno, che i paesi che hanno causato il collasso eco-climatico paghino per quello che hanno fatto. Se i governi nazionali hanno fatto degli accordi con multinazionali del fossile e anche fossili ovviamente è loro responsabilità quello di accollarsi le spese di riparazione per quello che i cambiamenti climatici stanno facendo perché appunto si possono mitigare, ci si può adattare o meglio si dovrebbe fare tutto contemporaneamente, si adatta a qualcosa che non sarà sicuramente mai irreversibile tuttavia i micro-cambiamenti cambiano tantissimo, si tratta della vita delle persone, da un lato ci dobbiamo adattare dall’altro dobbiamo sicuramente mitigare quindi dobbiamo smettere di inquinare così tanto. Io su questo ovviamente sono vegana, sono super attenta ad una serie di cose, e penso sia importantissimo farlo per coerenza e per impatto ambientale però credo sia molto importante non parlare solo di ‘consumer choices’ noi non possiamo essere passati da cittadini a consumatori, questa cosa è aberrante, noi prima di tutto siamo persone cittadine che hanno i loro diritti, non che dobbiamo spostare il mercato con le nostre scelte, facciamo quello che facciamo con i nostri soldi perché è giusto così. Una volta uno mi scrisse ‘quindi tu vuoi che io compri questa cosa, ma che vuoi’, molto più aggressivo di così, e io gli dissi ‘magari avessi il controllo dei tuoi soldi’, è importante capire che siamo in un punto di non ritorno e dobbiamo andare molto più veloci di così e dobbiamo portare avanti dei cambiamenti che sono molto più radicali che stirpano alla radice quella che è la causa dei problemi, stando quindi anche attentissimi al green washing perché ovviamente tutto ciò che noi proponiamo dopo un secondo viene mercificato, inserito nel meccanismo del capitale di rivenderti la soluzione a ciò che loro stessi hanno creato.”
Joe Casini: “Il rischio un po’ è quello, c’è un tema di coerenza personale ma c’è anche un tema in cui o le cose vengono affrontate a livello sistemico, quindi chi ha il potere fa per primo un cambiamento, oppure il rischio è che ribaltando la cosa a livello individuale è che l’impatto sia molto inferiore e che c’è questa straordinaria capacità del capitalismo di rigenerarsi continuamente per cui ciò che può essere un movimento critico poi facilmente viene trasformato in qualcosa che diventa una merce a sua volta.”
Diletta Bellotti: “è molto interessante perché il sistema liberista vuole sempre essere la vittima, il carnefice e il salvatore contemporaneamente, sta sempre a piange miseria da un lato e dall’altro è molto esplicitamente il carnefice però vuole anche essere il salvatore, questa è una costante di tutti i sistemi di oppressione. Secondo me una soluzione molto interessante politicamente è anche l’azione diretta, nel senso dire ‘si, io voglio che in Italia passi una legge contro la macellazione degli agnelli durante Pasqua’, ok, detto questo da qua a domani la gente sta andando a liberare gli agnelli, azione diretta, o i movimenti come ‘soulèvement de la terre’ che blocca le fabbriche.”
Joe Casini: “Questo è un altro tema che mi interessa moltissimo, anche prima hai parlato di eco ansia e delle proteste. C’è questa zona in mezzo dove da una parte ci sono persone che su questo tema sentono un’urgenza, però dall’altra parte questa cosa viene analizzata in termini ‘hai imbrattato il muro’ e nel mezzo che succede? Com’è possibile che da una parte abbiamo nuovamente movimenti giovanili che tornano finalmente ad appassionarsi di politica, dall’altra parte tutto questo viene giudicato semplicemente in termini pratici legati a quello che è successo nell’ultimo quarto d’ora. Come si riesce ad avvicinare queste cose per far sì che queste azioni abbiano un percorso continuativo fino ad arrivare dove effettivamente si può avere un cambiamento concreto?”
Diletta Bellotti: “Diciamo che le persone che si ribellano con ‘ultima generazione’, avendo delle pratiche non violente, ovvero una volta quando avevano lanciato la vernice lavabile sul Senato avevo scritto questo pezzo sulla criminalizzazione di ‘ultima generazione’ che si chiama ‘processo all’ultima generazione’ con questa compagna, amica, avvocata, Beatrice Lio, e appunto io avevo detto ‘il Senato teme la vernice perché sa di meritare le fiamme’. Nonostante io penso che il momento in cui è stata lanciata la vernice a palazzo vecchio la reazione di Nardella è stata talmente divertente che ha creato una base per i meme per i prossimi 50 anni, quindi ci sono dei momenti divertenti in tutto questo, però la criminalizzazione dei movimenti è qualcosa a cui noi dobbiamo prestare estremamente attenzione perché se davvero per azioni non violente, estremamente costituzionali, la risposta è questa vuol dire che nel momento in cui si alzerà il livello del conflitto ci ammazzano, succedono delle cose che noi non riusciamo ad immaginarci sicuramente che pero vediamo di cui abbiamo dei sentori. Se noi vediamo i processi al movimento ‘no tav’ negli ultimi 30 anni copiamo la direzione della criminalizzazione, della repressione verso chi blocca le opere inutili, quindi quello è una fotografia. Poi ovviamente i governi fascisti europei si confrontano a vicenda, si copiano, il decreto eco-vandali è stato copiato; quindi, che cosa ci insegna tutto questo? Ci insegna tantissime cose, che dobbiamo avere molta paura della repressione e che dobbiamo, purtroppo, capire che se stiamo a questo punto è perché negli ultimi decenni i governi hanno fatto di tutto affinché i movimenti fossero destabilizzati. Ad esempio, avere un contratto a chiamata e fare militanza, non avere i documenti e fare militanza, ci sono una serie di punti che molto esplicitamente ci impediscono di ribellarci e questi punti si stanno moltiplicando in tutto il mondo, quindi non so come andrà. In tutto questo penso che sia molto importante, nonostante questo, sentirsi di aver fatto il massimo, di stare dalla parte giusta della storia, io penso che si debba e si possa definire qual è la parte giusta ed è importante farlo perché sicuramente la parte giusta non è quella che condanna tutti gli esseri umani alla morte, all’estinzione, ma poi la gente pensa che l’estinzione sia solo che uno si spegne domani, ma magari. Riporto come esempio un film che hanno visto tutti, ‘Parasite’, c’è il momento in cui c’è quell’esplosione/alluvione dentro il bagno, significa vivere quelle costantemente o non avere più disponibilità di cibo o entrare in guerra, la maggior parte delle guerre nasce per le risorse, però in tutto questo almeno fare il proprio e creare delle reti. Ovviamente i miliardari pensano di mettersi nei loro bunker dove noi li andremo a prendere, anzi qui ho una borraccia con scritto ‘azione anti-monarchica’ con una ghigliottina, magari li andremo a prendere nei bunker e ci sarà una ghigliottina fuori ad aspettarli e loro avranno il loro cibo e tutte le medicine, però noi non ci salveremo sicuramente così ma ci salveremo creando delle reti di mutuo soccorso nei nostri quartieri, nelle nostre comunità, e in questo modo riusciremo a sopravvivere semplicemente imparando a riavere un contatto con la terra. Poi c’è tutto un fetish per il catastrofismo, io scrivo molto di questo perché ovviamente anche io ne sono soggetta e penso sia molto affascinante la difficoltà tra il breve termine e il lungo termine, cioè la difficoltà nel posizionarsi in una catastrofe, in un ribaltamento che ci sembra qualcosa di immediato ma che in realtà è estremamente lento e diciamolo anche noioso. Noi siamo cresciuti con una serie di film della fine del mondo che almeno erano divertenti; invece, la fine del mondo è di una noia mortale. Era uscita una serie di articoli divertentissimi sul New York Times che dicevano cose tipo ‘gli incendi in tutta la tua regione non sono una scusa per non andare a lavoro’ e c’era tutta gente che era stata licenziata per eventi climatici estremi e che però non era una scusa per niente. Come quando da piccoli dicevamo ‘il cane mi ha mangiato i compiti’, noi diremo ‘si è inondata casa’ ma non è una scusa per non fare i compiti. Cambieremo modi di dire.”
Joe Casini: “Prima di andare nella parte conclusiva della puntata, c’è una domanda che ti volevo fare e ci tenevo perché abbiamo parlato dell’emergenza del covid, uno dei temi che secondo me abbiamo visto molto chiaramente è la scarsa attenzione che abbiamo dato soprattutto ai giovanissimi in quella fase lì e il tema dell’eco-ansia è sentito soprattutto dalla popolazione più giovane che per una serie di motivi è molto più fragile. La domanda che ti volevo fare è: come viene vissuto questo tema? Posto che non è un tema che viene accolto a livello istituzionale cosa si può fare e che tipo di ascolto esiste per chi soffre di questo tipo di ansia?”
Diletta Bellotti: “Il preambolo di questo è che io ho avuto i miei 15 minuti di fama quando ho fatto quest’intervista con VD news in cui parlavo del caporalato per tipo un’ora e poi ad un certo punto ho detto che soffrivo molto di ansia legata alla questione ecologica, avevo i capelli rosa in quel periodo e questo è stato un errore terribile, perché già stai avendo un’opinione, già sei una persona socializzata come donna che sta parlando, coi capelli rosa. È stata super strumentalizzata questa cosa dell’eco ansia, mai una persona ha avuto ansia ed è stata così tanto ascoltata, però sono usciti vari articoli in cui venivo definita eco-teppista, eco-vandala perché avevano trovato una foto di me che facevo benzina, quindi, dicevano ‘come fai ad avere ansia se fai benzina?’ ‘perché se hai l’ansia ti metti lo smalto?’. Tutte le persone che si ribellano sono dei ragazzini un po’ invasati, dall’altro lato anche quello contro cui ci ribelliamo per cui lottiamo è giusto guarda caso le modalità so sempre sbagliate, la violenza è sbagliata, la non violenza è sbagliata, l’azione diretta è sbagliata, o vieni criminalizzato o viene strumentalizzato e raccontato in un certo modo, ovviamente quello che fa la stampa è importante ma cosa ci aspettiamo dalla stampa mainstream o dalla tv, invitano in tv i negazionisti climatici tipo Sgarbi, però che ci aspettiamo? Niente, fanno quello. La questione dell’ansia è molto interessante perché, come dicevamo prima, sentire questo mondo, sentirci come parte della natura che sta morendo o che sta cambiando radicalmente forma, se non vogliamo dire morire, significa entrare in contatto con se stessi, con le proprie emozioni e non dissociare ovviamente a un certo punto non riusciremo più a non dissociare, o uno sta in contatto con se stesso e quindi si rende conto che tutto ciò succede oppure dice il mondo continua quindi dissocio da me stesso. In ogni caso, ciò che succede internamente è una battaglia estremamente violenta quindi su questo la risposta istituzionale o non è una soluzione sistemica e capillare sui territori per tamponare questa cosa perché anche tutte le persone più giovani che sono state durante il covid a casa e che hanno vissuto tutto quello hanno riportato dei disturbi dell’ansia fortissimi e questo è normale che sia così ma non possiamo solo tamponare con la terapia i problemi, come facciamo a curarci se viviamo in un mondo così malato, che ci toglie ogni risorsa, non è che siamo noi depressi semplicemente viviamo in un mondo di merda, stare male significa riconoscere che sei dentro la verità perché devi far finta che questo non sta succedendo? Quindi da un lato chiedere aiuto e rendere questa cosa sistemica e capillare sicuramente però riconoscere anche che se non andiamo alla radice non possiamo tamponare le ferite del mondo intero perché non è neanche onesto intellettualmente nei loro confronti. Quelle volte che sono andata a parlare nelle scuole secondarie gli dico ‘mi dispiace, in questo momento io vi creerò un trauma, vi dirò un sacco di cose brutte da sentire che però vi portano consapevolezza e avete anche una responsabilità’ perché anche loro hanno una responsabilità e hanno tutte le risorse e tutte le capacità per lottare e lo stanno facendo e quindi non bisogna mentirgli, bisogna essere accessibili ma bisogna portare la difficoltà del parlare di queste cose. La gente capisce tutto, capisce le cose che vive con estrema lucidità poi magari non le verbalizza nel modo in cui da noi è riconosciuto come giusto e la gente resiste in svariati modi in giro per il mondo e porta avanti delle pratiche radicali di lotta e deve sopravvivere e questo lo fa chiunque, anche gli animali. Io penso sia molto importante squarciare questo velo che abbiamo e soffrire leggermente di più chiedendo aiuto alle persone che sono come noi però mettersi in movimento.”
Joe Casini: “Ti ringrazio, questa è una puntata alla quale tenevo molto perché viviamo in un momento in cui ci sono tante tensioni che in qualche modo vanno concentrandosi, ma alla fine c’è sempre la consapevolezza, quanto più noi siamo in grado di avere consapevolezza dei fenomeni e abbracciare punti di vista diversi e guardarli con un’ottica complessa tanto più riusciamo a mettere una distanza tra l’emergenza e quello che in realtà possiamo fare e secondo poi perché queste tensioni spesso quando incontrano persone più fragili e più deboli possono generare stati di malessere rispetto al quale credo dovremmo semplicemente essere attenti e prenderci cura di queste situazioni. Ti ringrazio molto per essere stata oggi qua. Il podcast si conclude con due parti: una storica che è la domanda tra gli ospiti e uno nuovo per fini puramente egoistici. La prima domanda che ti volevo fare è: mi consigli un libro/un film/un podcast?”
Diletta Bellotti: “Ti consiglio questo libro che abbiamo presentato con l’autrice qualche giorno fa che si chiama ‘animalità tradita: le radici dello specismo’ di Giulia Heliaha Di Loreto, scritto benissimo, che è molto affascinante perché racconta il rapporto tra gli esseri umani e gli altri esseri umani dall’inizio, dalla predazione, al sacrificio, il rituale, poi l’allevamento in realtà tratta tantissimo di questi temi di cui abbiamo parlato oggi, facendo vedere come noi stesse distinguendoci dall’animalità abbiamo creato la nostra civilizzazione che è il punto di non ritorno. Secondo me ti piacerebbe.”
Joe Casini: “Lo aggiungo al mio elenco di letture. Veniamo al momento conclusivo per eccellenza che è la domanda tra ospiti. Il primo ospite che ti propongo è Adrian Fartade che si occupa di divulgazione scientifica e in particolare parla di astronomia, di corsa allo spazio, di tecnologia. Il secondo è Jessica Cani che si occupa di turismo enogastronomico, quindi valorizzazione dei territori, delle culture. Il terzo che ti propongo è Nicolas Lozito che scrive per la stampa e si occupa anche lui di giornalismo ambientale. Quale di questi ti incuriosisce di più?”
Diletta Bellotti: “Scelgo Jessica.”
Joe Casini: “Jessica ha fatto una domanda particolarissima. Qual è la volta in cui un piatto o un ingrediente ti ha colpito così tanto da farti ribaltare la visione su qualcosa che credevi di te stesso?”
Diletta Bellotti: “è facilissimo, probabilmente il cavolo nero perché mi è piaciuto così tanto che mi sono resa conto che io mangio sempre le stesse identiche cose per diversi mesi finché non mi stufo però quando è iniziata l’ossessione per il cavolo nero forse per la prima volta nella mia vita l’ho accettato, ho accettato che voglio sempre le stesse cose finché mi va e quindi mi ha liberato in un certo senso, mi ha detto ‘va tutto bene, finché è stagione mangiami’, poi finita la stagione lo aspetto, quindi mi ha anche legato alla stagionalità in maniera molto più esplicita perché aspetto il cavolo nero come se fosse la mia amante più attesa.”
Joe Casini: “Ora è il tuo turno se vuoi lasciare tu una domanda per gli ospiti delle prossime puntate.”
Diletta Bellotti: “Una domanda che sto facendo spesso nell’ultimo anno è: di che colore è il cielo l’ultimo giorno del mondo? E cosa stai facendo?”
Joe Casini: “Bellissima domanda e sono curioso a chi la proporrò cosa risponderà. Siamo arrivati alla conclusione della puntata. Ti ringrazio tantissimo per essere stata qui con noi oggi. Ringrazio anche voi per averci ascoltato questa domenica mattina, ci vediamo tra 2 settimane con un’altra puntata del podcast di Mondo Complesso.”