Con Chiara Simonigh parliamo del modo in cui il cinema ha plasmato il nostro immaginario e dato forma alla nostra cultura e alla nostra coscienza
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti in una nuova puntata di mondo complesso il podcast sulla complessità del mondo. Oggi abbiamo il piacere di avere con noi Chiara Simonigh. Benvenuta Chiara!”
Chiara Simonigh: “Grazie a voi per l’invito.”
Joe Casini: “Chiara è professoressa di teoria dei media e cultura visuale all’università di Torino, in generale esperta quindi di cultura visuale in senso molto ampio, in particolare poi sul media cinematografico, quindi parleremo anche molto di quello. Sarà una chiacchierata molto interessante. Noi partiamo con la domanda semplice. Volevo partire da un libro, tu sei autrice di diversi libri e hai curato in particolare un libro di Edgar Morin su cinema e complessità e questo libro dice che il cinema è intrinsecamente un’arte complessa. La domanda che ti volevo fare è: come mai il cinema è l’arte della complessità?”
Chiara Simonigh: “Intanto per ragioni storiche, non fosse altro che l’ultima delle arti arrivate, si dice la settimana Musa, ma soprattutto appunto è un medium complesso in quanto pone insieme aspetti evidentemente artistici e quindi porta con sé una sua complessità culturale, poi ha anche degli aspetti che concernono l’industria è uno dei media che hanno ispirato molte riflessioni sull’industria culturale, quindi porta con sé evidentemente delle implicazioni di carattere economico e politico. Il suo avvento nella storia della cultura ha apportato una serie di trasformazioni radicali, un carattere antropologico, sociologico, eccetera dunque se stiamo all’etimologia della parola complesso che significa diciamo composto di più parti interconnesse, ecco che evidentemente ci troviamo con il cinema dinanzi ad un fenomeno complesso, cioè che intreccia insieme diverse dimensioni e dunque un fenomeno che effettivamente è stato destinato a trasformare anche poi la cultura nel profondo. Proprio per questo oggi il cinema può essere proficuamente studiato se si mettono insieme le diverse discipline e poi dal cinema sono sorti gli audiovisivi come li conosciamo oggi, cioè una cultura come la nostra cultura visuale, pensiamo al fatto che ad esempio un terzo del nostro tempo trascorso on-line e impiegato a guardare il video e dunque questo ci dà un po’ la misura dell’importanza che ha assunto l’audiovisivo nella nostra cultura, nella nostra società mondo. Evidentemente stiamo parlando di una cultura globalizzata.”
Joe Casini: “Mentre parlavi mi veniva in mente, a proposito dell’arte complessa, è stata effettivamente anche l’arte più al centro dell’attenzione durante la pandemia, forse non a caso l’apertura e la chiusura delle sale cinematografiche è stato un tema, ma stando a casa tutta la forma di intrattenimento ruotava intorno alle piattaforme streaming. La modalità con cui ci informavamo era tutta legata alla televisione, ma anche la modalità in cui lavoravamo, molti di noi hanno potuto continuare a lavorare da casa perchè si stava in call, potevamo fare tranquillamente tutto per telefono, lo strumento abilitante è stato il fatto di avere questa comunicazione integrata visiva. Mentre parlavi di come sintetizza tutti in effetti è stato l’arte più emblematica anche di un periodo in cui la complessità è emersa in modo molto potente e drammatica per molti versi.”
Chiara Simonigh: “La pandemia ha fatto esplodere il fenomeno che è quello della visione comunicativa a distanza, ben inteso la televisione si diffonde come Medium negli anni negli anni 50-60 nel mondo, ma che cosa succede con la pandemia? La pandemia ha permesso di osservare e forse di enfatizzare certi aspetti della nostra vita sociale, ma anche culturale effettivamente ci siamo accorti di quanto ormai la nostra dimensione sociale e comunicativa in senso lato dipendano molto dalle immagini e dagli audiovisivi, la possibilità di parlare con persone che sono dall’altra parte del mondo e vederle in viso con le loro espressioni e interagire, creare delle relazioni interpersonali in questo modo, è un fenomeno che è esploso durante il Covid, già prima era molto diffuso ormai non possiamo più fare a meno. Questa modalità di interazione ha limiti e potenzialità, cioè al contempo unisce ma anche divide e dunque è difficile fare i conti con questa contraddizione con questa antinomia, ma perché quando poi le tecnologie avanzano non smettiamo mai di essere brutti denti oppure di essere eccessivamente entusiasti e forse dovremmo apprendere ad essere un po’ equilibrati più in questo modo fare i conti con questa ambivalenza, da un lato così strumenti ci uniscono e qui sta il loro potenziale, ma dobbiamo tener presente che dall’altro lato ci dividono, la relazione faccia a faccia e in presenza è tutt’altro.”
Joe Casini: “Per andare avanti sulla chiacchierata abbiamo quella che chiamiamo la domanda nella domanda. Ti chiedo, vorresti proseguire questa chiaccherata parlando più di cinema o più di linguaggio?
Chiara Simonigh: “Direi cinema, cultura visuale, credo che siano davvero le grandi sfide del nostro tempo, viviamo in una cultura che è stata definita visuale e con questo dobbiamo fare i conti.”
Joe Casini: “Vorresti una domanda più con un taglio personale o più professionale?”
Chiara Simonigh: “Le due cose sono unite ma disgiunte, quindi è difficile rispondere, diremmo che i due aspetti possono essere osservati contemporaneamente quando si affrontano questioni complesse che richiedono una molteplicità di punti di vista, di prospettive. Richiedono una molteplicità di punti di vista, di prospettive e allora può essere utile avere l’illuminazione di una prospettiva personale ma anche l’illuminazione di una prospettiva professionale.”
Joe Casini: “Provo a fare una sintesi tra le due e ti domando: qual è il film che hai visto che ti è piaciuto di più, in particolare perché è riuscito a cogliere un aspetto della complessità del mondo che secondo te è stato raccontato ed è funzionato particolarmente bene su quel medium?”
Chiara Simonigh: “Un film importante del nuovo millennio è stato Babel di Inarritu che è un regista messicano, naturalizzato statunitense. Questo film mostra la complessità della società mondo, è un film che già nel titolo racchiude in sé questa complessità, cioè la sfida della comunicazione. Viviamo in una Babele di linguaggi, di culture diverse e quello che sembra suggerirci questo film è che c’è bisogno di più comprensione potrei dire, da studiosa dei media, che la nostra società della comunicazione non è ancora divenuta una società della comprensione. Questo film lo mostra molto bene perché attraverso storie diverse che vengono rappresentate in simultanea in diverse parti del mondo, Stati Uniti, Marocco, Giappone, ci rendiamo conto di come intanto queste persone vivano dei conflitti sociali, dei conflitti familiari, di conflitti generazionali tutti hanno la medesima essenza alla base e ci dicono della difficoltà di comprensione tra individui, ma anche tra culture diverse e poi soprattutto questo film ci mostra in maniera esemplare, come credo nessun altro film ha fatto negli ultimi anni, il grande tema ci troviamo ad affrontare oggi è quello della interdipendenza perché queste storie apparentemente così lontane, così atomizzate, così autonome le une rispetto alle altre, poi si rivelerà di essere delle storie intrecciate e i destini sono incrociati. Probabilmente ascoltiamo un ritardo culturale, come è normale che sia, ogni epoca fa fatica a fare i conti con le sfide che la incalzano perché ogni cultura ha un retaggio difficile da abbandonare per abbracciare i nuovi paradigmi. Il nuovo paradigma è quello della interdipendenza, viviamo in una sorta di comunità di destino, quello che accade in Città del Messico ha delle conseguenze su ciò che accade in Marocco e su ciò che accade contemporaneamente in Giappone.”
Joe Casini: “Scusa se ti interrompo ma mentre parlavi mi veniva in mente: che ruolo giocano le piattaforme streaming? Si è parlato molto di come le piattaforme negli ultimi hanno iniziato a far diffondere anche a livello globale contenuti che si rifanno ai canoni locali, penso a tutte le produzioni coreane. Di solito c’è sempre stata una grande attenzione nelle produzioni occidentali in tutto il mondo, ora si inizia a contaminare molto di più, quindi da questo punto di vista una volta il medium gioca un ruolo fondamentale, no?”
Chiara Simonigh: “Certamente è un ruolo molto importante quello svolto dai media visivi e audiovisivi perchè le immagini costituiscono una sorta di esperanto naturale. Le immagini parlano un linguaggio universale, il linguaggio iconico e linguaggio delle immagini non ha bisogno di traduzioni, questo è stato il motivo per il quale si è sviluppata così rapidamente a partire dalla nascita della fotografia e del cinema una cultura visuale in tutto il mondo che poi è diventata una culturale globale. Questa dimensione chiaramente è molto interessante perché la cultura visuale, pensiamo alle immagini, potremmo concepirla come una sorta di grande lente attraverso la quale cultura e popoli di tutto il mondo si stanno servendo sempre più da vicino e si stanno conoscendo sempre più da vicino. Viviamo delle esperienze estetiche dinanzi a queste immagini, cioè partecipiamo attraverso la nostra percezione visiva, attraverso la nostra dimensione emozionale, attraverso la nostra affettività eccetera e apprendiamo attraverso processi di apprendimento mimetico che funzionano mediante la limitazione e così via ed è un apprendimento evidentemente informale ma soprattutto inconsapevole, ma proprio perché è inconsapevole è ancora più profondo di quanto noi normalmente siamo propensi a credere e addirittura ad ammettere.”
Joe Casini: “Secondo te negli ultimi anni è tornato ad esercitare maggiormente questo ruolo politico, ad esempio nel prendere posizione contro gli stereotipi?”
Chiara Simonigh: “Io ritengo che uno dei fenomeni più interessanti della nostra epoca sia l’attivismo visuale, è un fenomeno che non riguarda soltanto gli artisti ma nel momento in cui tutti ormai abbiamo quel minimo di competenze tecniche che ti permettono di usare agevolmente degli strumenti, quali smartphone o tablet, per riprendere ciò che accade nel mondo ecco che gli attivisti visualis sono persone anche comuni che compiono le loro battaglie sempre di più usando le immagini come strumento di denuncia e lo vediamo e l’abbiamo visto in tante circostanze. Questo è un grosso potenziale nelle nostre mani effettivamente e ritengo che questi utilizzi così spontanei di immagini e di media anche complessi, come abbiamo detto, quali sono gli audiovisivi stiano dando vita ad un linguaggio nuovo, un linguaggio iconico che non è più un linguaggio soltanto delle produzioni mainstream, Hollywood o Bollywood in India piuttosto che le produzioni per le piattaforme a cui facevi riferimenti poc’anzi, ma sta emergendo un linguaggio nuovo, più immediato, più semplice ma più efficace proprio in forza delle intenzioni che muovono questi attivisti visuali.”
Joe Casini: “Una delle grandi novità di questa stagione sono le domande dal pubblico. Sono arrivate domande che avevano a che fare con il tema dell’adattamento, alcune mi hanno fatto sorridere, c’era una domanda che diceva ‘ma chi decide i titoli dei film quando vengono tradotti in italiano?’ e mi ha fatto ridere perchè mi è venuta in mente una scena di 20 anni fa quando uscì ‘Eternal sunshine of the spotless mind’ e in Italia fu tradotto come ‘se mi lasci ti cancello’ per dargli una patina da commedia romantica, mentre il film era tutt’altro e mi ricordo che in sala c’era gente devastata da questa cosa. Altre domande vertevano sul doppiaggio e sull’adattamento che è un tema molto interessante perchè effettivamente prende un prodotto che è legato ad un contesto culturale specifico, anche se ora molto globalizzato, penso per esempio al doppiaggio e quindi c’è tutta una cosa legata all’interpretazione dell’attore, magari si usava un accento particolare, molto marcato. In generale in questa operazione di trasformazione cosa succede?”
Chiara Simonigh: ”Diciamo ormai nell’ambito della traduzione audiovisiva ci siamo abituati a queste metamorfosi soprattutto in Italia, come noto è uno dei paesi che utilizza maggiormente il doppiaggio, qualcuno dice che è una metamorfosi che snatura l’opera di partenza. Io sostengo che dipende da come viene realizzata, le traduzioni audiovisive comportano diversi aspetti, nel doppiaggio interviene una traduzione linguistica che comporta sempre una mediazione di tipo culturale, questo è il punto importante e che troppo spesso siamo propensi a dimenticare. Ci sono pratiche di domestication, cioè di localizzazione dei prodotti attraverso i loro titoli, ma sui titoli molto spesso ci troviamo dinanzi ad un tipo di traduzione che rispetta quella parte dell’industria culturale che è proprio economica perché il titolo è il primo impatto, prima ancora che si veda il film, che l’opera ha col pubblico e quindi deve essere un impatto molto forte, molto efficace. Noi usiamo ancora poco il sottotitolaggio, ma andiamo verso quella direzione evidentemente, per tante ragioni non ultima quella economica per una volta quello che è emerso, però con il doppiaggio, nel corso del tempo, sempre stando all’attenzione per gli aspetti linguistici e culturali, che cos’è il fatto? Il fatto che scopriamo la nascita di ibridazioni linguistiche, ibridazioni culturali, per cui sono entrate nella nostra lingua delle espressioni che prima non erano utilizzate affatto, ad esempio ‘ci puoi scommettere’ oppure ‘ehi amico’ cose che evidentemente costituiscono dei calchi della lingua originale a cui ormai siamo abituati, non prestiamo più attenzione, ma sono delle spie linguistiche interessanti proprio di ibridazioni e sincretismi che fanno parte più ampiamente dei fenomeni della globalizzazione culturale, agiscono in maniera capillare in maniera profonda e si radicano con grande facilità rispetto della nostra consapevolezza.”
Joe Casini: “Sapevo che il tempo sarebbe volato perché è uno dei temi che appassiona di più tutti, perlomeno a me appassiona moltissimo. Ti volevo fare una domanda che chiamiamo il filo del rasoio. Un’altra cosa che è cambiata moltissimo è il ruolo delle star, uno degli aspetti fondamentali del cinema è il fatto che ci siano queste grandi star che sono sempre state storicamente qualcosa di irraggiungibile, era parte del loro fascino. Da quando c’è stato l’avvento dei social, non soltanto sono diventate molto più raggiungibili, molto umanizzate, vediamo la loro quotidianità, ma sono anche emerse nuove star che non sono attori ma persone che producono contenuti, sono in qualche modo attori di se stessi. Quindi la domanda che volevo fari è: secondo te qual è il filo del rasoio che separa l’arte dalla parte?”
Chiara Simonigh: “Il tema è molto interessante, certamente dall’epoca del divismo cinematografico degli anni 20/30, pensiamo addirittura al termine stesso, quando una figura ha in sé qualcosa di divino. Se pensiamo alla divina Greta Garbo ci troviamo dinanzi ad una figura ieratica quasi. Oggi evidentemente tutto questo ci appare molto lontano, i protagonisti della scena mediale sono a noi familiari perché c’è stato un processo storico molto rapido se confrontato ad altri processi culturali, dettato anche dalle trasformazioni delle tecnologie, prima ancora forse in questo caso che non della società ossia il cinema imponeva una distanza tra lo spettatore e le star ma poi è arrivata la televisione e queste figure sono entrate nelle case delle persone, nelle vite quotidiane, fino a che con lo sviluppo di tecnologie portatili, quali appunto lo smartphone e il pc, che cos’è accaduto? Che queste figure sono nel palmo delle nostre mani e quindi possiamo interagire con loro, cosa che in passato era molto difficile in un epoca in cui la comunicazione era unidirezionale mentre oggi la comunicazione è multidirezionale e tutti possono comunicare con tutti, cosa che costituisce una grande acquisizione dal punto di vista democratico. Quindi le figure che oggi si affacciano nei nostri social, nei nostri media, attraverso gli audiovisivi sono delle figure che hanno una professionalità molto diversa, hanno spinto molto in avanti quel confine tra la persona e il personaggio. Era un confine molto labile e man mano questo confine si è spostato sempre più in là e oggi si è creato un tipo di protagonista della scena mediale che presenta molto spesso una spontaneità, una naturalezza che sono elementi chiave del suo successo, come farci entrare nella sua vita privata, mostrarci le sue abitudini, costituiscono dei fattori chiavi per l’innescarsi dei processi fondamentali di identificazione e proiezione del pubblico, e quindi evidentemente in quel caso i fenomeni di imitazione da parte del pubblico di queste figure si fonda molto più di prima su una naturalezza e spontaneità, non voglio dire autenticità perché ci muoviamo in una dimensione molto delicata e quindi non è semplice discriminare ciò che è autentico da ciò che non lo è, ed oggi più che mai.”
Joe Casini: “Allora stiamo andando in In conclusione. Questa è il momento della puntata in cui arriva la domanda della birra di troppo. Viviamo in una città d’arte, io sono a Roma e uno dei grandi topos nelle chiacchierata tra romani è ‘pensa quanto deve essere bello venire a Roma da turista e vederla con gli occhi del romano abituato’, un po’ parafrasando questa cosa ti volevo domandare da studiosa di linguaggi audiovisivi, in particolare del cinema, hai ogni tanto il rammarico di non vedere un’opera con degli occhi più naif?”
Chiara Simonigh: “Diciamo che una delle discipline che ho praticato di più da quando mi occupo di immagini è stata quella di mantenere un duplice sguardo: lo sguardo della meraviglia, coltivare lo sguardo dello stupore, magari anche infantile anche ingenuo e dall’altro lato osservare con gli strumenti culturali un’immagine, questo aspetto di disciplina serve perché siamo talmente sollecitati dalle immagini, viviamo un’iper sollecitazione visiva che lascia i suoi depositi, le sue eredità nel nostro sguardo. Il nostro sguardo è sempre culturalmente e tecnologicamente determinato, abbiamo ormai acquisito un modo di osservare le cose che necessariamente si fonda su dei parametri percettivi che sono stati influenzati fin dalla nostra infanzia attraverso i media. Dunque, questa iper sollecitazione percettiva è qualcosa di cui spesso non ci rendiamo conto, osserviamo la realtà attraverso questo filtro culturale, a noi in qualche modo invisibile paradossalmente.”
Joe Casini: “è un paradosso, la competenza ci da tanto ma al tempo stesso qualcosa ci toglie pure.”
Chiara Simonigh: “Senza dubbio ci toglie qualcosa, intanto non solo la competenza ma più ampiamente l’iper sollecitazione visiva che viviamo oggi. è anche in corso una sorta di atrofia della nostra visione, del nostro sguardo, perché una delle capacità che abbiamo perso ad esempio nella società delle immagini è quella di contemplare. Ecco il cinema ha introdotto, lo diceva già un grande filosofo come Walter Benjamin nel 1936, la velocità, la visione nella distrazione, una capacità di osservare le immagini che prima non avevamo con tempi molto ristretti, molto incalzanti, molto rapidi ma dall’altro ci ha impedito di contemplare e siamo sempre più impazienti, sempre più frettolosi, e questa visione nella distrazione ci permette di osservare molte cose, di interpretarle rapidamente però ci coglie anche la capacità di assaporare, di meditare, di riflettere su ciò che vediamo.”
Joe Casini: “Allora Chiara siamo veramente in chiusura e noi chiudiamo da due anni con quella che chiamiamo la domanda tra gli ospiti che quest’anno abbiamo ribattezzato il Secret Santa. Il primo ospite che ti propongo è Marco Bentivogli, ha una lunga attività da sindacalista nel mondo metalmeccanico. Il secondo è Alessandro Sahebi, giornalista di questioni legate al reddito. La terza è Roberta Covelli, giornalista ed esperta di temi legati al diritto e in particolare di diritti del lavoro. Di questi tre ospiti qual è quello che ti incuriosisce di più?”
Chiara Simonigh: “Diciamo la prospettiva del sindacato mi interessa sempre molto.”
Joe Casini: “Ok, allora andiamo con la domanda di di Marco. Ha lasciato una domanda interessante: a che punto siamo con le rivendicazioni sindacali, ma in generale legati al tema del diritto del lavoro. Lui fece questa domanda in particolare sul settore artistico perché nella prima stagione la domanda era per l’ospite della puntata successiva e nella puntata dopo parlavamo di teatro. Secondo te per il settore che conosci come si sta evolvendo il tema dei diritti come individui, come lavoratori, come professionisti, sta succedendo qualcosa, in particolare dopo la pandemia?”
Chiara Simonigh: “Sì, c’è molto lavoro da fare. Sono stati fatti passi in avanti, anche in questo caso la pandemia ha avuto delle ripercussioni che hanno enfatizzato aspetti già esistenti di cui forse non ci eravamo accorti. Nell’ambito dello spettacolo assistiamo molto spesso ad una duplice situazione: da un lato quello della cultura, l’arte, lo spettacolo specie quello teatrale, sono dei fattori di cui non si comprende a fondo l’importanza per la sopravvivenza della cultura e della società più ampiamente, avere un tessuto culturale vivace evidentemente aiuta all’evoluzione sociale, culturale e anche democratica. In un’epoca in cui c’è una svalutazione di questo si assiste alla difficoltà di affermare i diritti dei lavoratori in questi ambiti.”
Joe Casini: “Senti qualcosa a livello personale che è emerso, che magari fino a qualche anno fa non avevi fatto caso, una cosa su cui dovremmo fare una riflessione, anche magari un aspetto pratico della tua vita lavorativa?”
Chiara Simonigh: “Sicuramente l’accelerazione di cui stiamo parlando ci impedisce sempre più di farci domande, rincorriamo obiettivi, esigenze, urgenze, emergenze quotidianamente, in tutti i campi, e quello che facciamo è sempre meno soggetto a interrogativi e questo credo sia uno delle questioni chiave della nostra epoca, ossia la capacità di mantenere vivo l’interrogativo su cosa stiamo facendo e perchè e se veramente vale la pena. Siamo troppo propensi a trasformare la nostra azione in un mero atto meccanico, il fare invece che l’agire hanno valenze profondamente diverse, conseguenze di carattere etico a volte molto distanti e quindi questo credo che siamo uno dei temi importanti che ha a che vedere con la questione dei diritti. Il diritto alla disconnessione è un diritto che si sta diffondendo molto lentamente nel mondo.”
Joe Casini: “In molti potremmo essere dalla tua parte su questo diritto. A questo punto è il tuo turno, vuoi lasciare una domanda per i prossimi ospiti?”
Chiara Simonigh: “Io credo che uno dei temi chiave nell’ambito dei media, nell’epoca della globalizzazione, sia quello di tenere insieme libertà e responsabilità. Prima abbiamo accennato a Marshall McLuhan che è stato uno dei primi a fare riferimento a questo tema utilizzando un’espressione provocatoria, si riferiva all’idiota tecnologico, colui che crede di poter esercitare esclusivamente una libertà quando utilizza i media, oggi gli spettaori e il pubblico sono parte attiva di produttori di contenuti, a maggior ragione dobbiamo stare tutti attenti a non diventare degli idioti tecnologici. La domanda è: come facciamo a non diventare degli idioti tecnologici?”
Joe Casini: “Che è un po’ il risvolto del nostro essere interconnessi quindi mi sembra un modo bellissimo per chiudere la puntata. Ti ringrazio tantissimo per essere stata con noi oggi.”
Chiara Simonigh: “Grazie a voi è stato un vero piacere poter condividere qualche riflessione insieme.”
Joe Casini: “Vi do appuntamento tra due settimane con la nuova puntata del podcast, buona domenica.”