Con Francesco Marino, giornalista e scrittore, parliamo di come i social network si sono evoluti in questi ultimi anni e del modo in cui stanno cambiando la nostra società all’alba dell’avvento dell’IA.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti alla puntata numero 57 di Mondo Complesso. Le puntate iniziano a diventare tante. Oggi ho il piacere di fare una chiacchierata con uno dei giornalisti che stimo di più, quindi intanto benvenuto a Francesco Marino.”
Francesco Marino: “Grazie Joe!”
Joe Casini: “Francesco è appunto giornalista nonché autore, in particolare molto attivo su Instagram, sui social e che fa sempre delle analisi molto interessanti su quello che è un po’ il il mondo digitale in cui viviamo, in questo mondo poi in realtà digitale ma non solo, ibrido. Quindi oggi parleremo di mondi on life e di come si ibridano mondi reali e mondi digitali. Comincio subito la chiacchierata con quella che è la domanda di rito con cui apriamo tutte le puntate del podcast che è la domanda semplice la domanda semplice, cioè la domanda che ti dà la possibilità di iniziare un po’ a tracciare la chiacchierata che ci faremo ed è: cosa sono i social network?”
Francesco Marino: “È semplice solo sulla carta questa domanda. Secondo me entriamo già in un pezzo del discorso e i social network sono reti sociali digitali costruiti intorno all’idea che si potesse trasportare nello spazio digitale la rete di contatti, le reti sociali, che le persone avevano nello spazio fisico. è l’idea che poi c’è alla base di Facebook, guardare il film dei social network è piuttosto evidente, lui a un certo punto immagina, ed è la vera sua intuizione, che sia sua o che l’abbia copiata da qualcuno, cioè l’idea che noi su internet volevamo e vogliamo parlare con le persone con cui abbiamo a che fare nella vita di tutti i giorni e non con qualche anonimo nickname, come accadeva prima di allora. Poi c’è una fase dell’evoluzione dei social network: i social network nascono intorno al concetto di nodo, intorno al fatto che ciascuno di noi poi è nodo di una serie di connessioni e poi queste connessioni possono intersecarsi. Il concetto di amici in comune è ciò che davvero alla base di Facebook, i sei gradi di separazione, cioè tutta quell’idea per cui attorno alle reti sociali si potesse costruire qualcosa, poi si è evoluta la tecnologia prima di tutto perché, questa è una cosa che spesso dimentichiamo nell’analisi del digitale, l’analisi del digitale è prima di tutto analisi delle tecnologie che abilitano determinati tipi di comportamenti, quando nasce Facebook per dirne una non si potevano pubblicare video e soprattutto non c’era lo smartphone o comunque Facebook nasce desktop e non nasce smartphone, tant’è che poi Zuckerberg spesso racconta di questa transizione che loro fecero verso lo Smartphone. A un certo punto è come se queste reti sociali si fossero spostate in uno spazio più privato e tutti noi oggi manuteniamo le nostre relazioni, non tanto sui social network, quanto piuttosto sui sistemi di messaggistica istantanea, su gruppi di chat, ci sono tanti altri strumenti. Quindi pian piano i social network sono diventati social media tant’è che poi quello che la maggior parte di noi fa sui social media è intrattenersi, informarsi, passare del tempo e quindi la definizione cambia leggermente: sono sostanzialmente spazi dove ciascuno può pubblicare dei contenuti e arrivare a un numero imprecisato di persone.”
Joe Casini: “Ripartendo proprio dall’origine, come dici tu dallo spirito originale, nel quale sono nati credo che ci sono due fenomeni che poi hanno cominciato a intrecciarsi e sul quale appunto mi interessava la tua opinione: da una parte nascono per rimanere in contatto con le persone che conosciamo e l’effetto forse più dirompente che hanno avuto non è stato tanto quello, nel senso all’inizio sì eravamo in contatto con gli amici magari dall’altra parte del mondo, ma in qualche modo ci hanno dato la percezione di conoscere persone, soprattutto personaggi famosi, che in realtà non conoscevamo a livello personale però hanno accorciato moltissime le distanze e quindi partendo da una dimensione privata in qualche modo si è creato un dialogo che sembra privato anche con persone che non rientrano nelle nostre cerchie di conoscenze, dall’altra parte come dicevi tu la trasformazione in piattaforme di contenuti, e quindi il fatto che ognuno di noi è diventato non soltanto consumatore ma anche produttore di contenuti. Questi sono i due fenomeni che più mi hanno colpito in tutti questi anni poi sono spesso molto intrecciati. Quindi come la vedi questo intreccio?”
Francesco Marino: “Sono due temi interessantissimi intanto perché i social network, e questa è una condizione importante statutaria, nascono intorno alle singole identità cioè quando Facebook lancia le pagine, quando iniziano a entrarci i VIP è un po’ una rottura del patto originario che Zuckerberg faceva con i suoi utenti, cioè il fatto che quello strumento servisse a una cosa precisa che era rimanere in contatto. All’inizio se ti ricordi addirittura con gli amici dell’università, tant’è che se tu ti scrivevi a Facebook nel 2006-2007 una delle prime cose che ti chiedeva era la scuola di provenienza perché era il centro della questione quindi già lì è la prima deviazione dalla traiettoria iniziale, cioè l’idea che poi lì dentro a un certo punto potessero non esserci solo le persone di tutti i giorni, ma potesse esserci chiunque e questo poi crea sicuramente una sensazione di accorciamento delle distanze e crea anche una sorta di quella che poi chiamiamo disintermediazione, cioè l’idea che poi a livello tecnologico chiunque all’interno di un social network è pari a un altro, in premessa poi naturalmente ci sono dei capitali accumulati nel corso del tempo che contano, però in premessa se io e te domani apriamo un account, non è importante che tu sia una persona molto più preparata di me su un determinato tema, a livello tecnologico per l’algoritmo siamo siamo pari. Accanto a questo si è sviluppata un’attenzione particolare nei confronti della produzione di contenuti che sono oggi la vera moneta importante all’interno dei social network. Siamo passati da questo sistema in cui la vera moneta dei social network erano le identità a un sistema in cui sono i contenuti. Io per raccontare questa cosa faccio sempre lo stesso esempio, però secondo me è abbastanza chiaro, la persona su Instagram tutt’oggi più seguita al mondo è Cristiano Ronaldo, che è probabilmente una delle persone al mondo che ha un network sociale più ampio cioè lo conoscono tutti è difficile che trovi qualcuno che non conosca Cristiano Ronaldo. La persona più seguita al mondo su tiktok è una persona che nel 2020 faceva l’operaio in provincia di Torino che è Kabi Lame. Quindi lì capisci questa transizione che è esemplificata molto da tiktok: da network costruito intorno alle identità, e quindi dove il capitale sociale ha un peso enorme cioè tu sei le persone che conosci, tu sei il tuo network, più conosci e più hai possibilità di emergere dentro quello spazio, a un network basato sui contenuti più democratico, almeno in premessa, e in cui il contenuto digitale e il fatto che poi chiunque possa non solo possa produrre contenuti digitali perché la vera transizione verso questo sistema è il modello tiktok, cioè il fatto non solo io li posso produrre ma quei contenuti poi possono arrivare a tutti e quindi non è che io devo avere 2000 follower per fare un milione di visualizzazioni posso anche averne zero e se azzecco il contenuto magari, come hanno fatto tanti tiktoker per un certo periodo di tempo hanno utilizzato questa cosa come strategia commerciale nella contrapposizione con i vecchi social network, cioè una delle cose che tiktok si prometteva di fare è essere l’America dei social network, cioè essere uno spazio in cui si potesse emergere rapidamente. Fu chiamato la fabbrica da un milione di follower, adesso è un po’ diverso perché si è saturato pure un po’ quello spazio però secondo me le due vere transizioni che tu individuavi sono quelle nel mondo dei social network di oggi da quella premessa di Zuckerberg sono da un lato questa sensazione di star parlando sempre con delle persone vicine e quindi anche gli influencer ci giocano molto sul fatto che sono come noi, tutta la costruzione dell’identità di Chiara Ferragni del bagno, dell’armadio, serve per farti capire che stai entrando a casa loro, quindi si genera una relazione cioè quella persona non è solo una che va in televisione ma è una che ti sta facendo entrare dentro casa sua. Quindi da un lato questo e dall’altro il contenuto come unità di misura del mondo se vogliamo, cioè a partire da quell’oggetto che oggi può essere disponibile a tutti in qualunque condizione perché poi il modello tiktok è il modello di tutti i social media oggi, i reel in particolare ma anche il feed Instagram in realtà è basato sullo stesso modello, con un contenuto puoi arrivare al mondo.”
Joe Casini: “Questo secondo te genera un po’ una sorta di corto circuito, nel senso: da una parte abbiamo questa pretesa di questa trasparenza autenticità assoluta, quindi era come veramente se in qualche modo entrassimo in contatto anche con persone che non conosciamo in una dimensione molto autentica, dall’altra appunto essendo poi tutto finalizzato alla produzione di un contenuto che possa diventare virale, quindi è molto artefatta questa comunicazione, c’è un momento di apertura ma è sempre un momento di apertura che poi quanto è realmente autentico? Quindi il modo in cui le abitiamo non c’è un po’ un cortocircuito, secondo te, tra il mostrarci autentici e quindi creare quella confidenza e dall’altra parte, invece, il fatto che poi sono sempre tutte comunicazioni, soprattutto per chi lo fa per lavoro o comunque li utilizza per quel motivo, molto governate molto poco spontanee?”
Francesco Marino: “è un cortocircuito enorme, secondo me, in realtà è una delle chiavi per interpretare i social media in questo periodo storico, perché tu hai da un lato non solo il fatto che i contenuti arrivano da persone che lo fanno per lavoro, ma il fatto che il video porta con sé la necessità del fatto che quel contenuto debba essere molto più curato e quindi la barriera all’ingresso dei social network si alza, perché un conto è stare su X, Treads, e quindi stare lì e scrivere con la tastiera per due cose da 140/160 caratteri e un conto è produrre un video di TikTok che non è una cosa semplice, comunque ci sono una serie di ostacoli che tu devi superare, primo fra tutti decidere di apparire che non è banale. Quindi è ancora più netto questo contrasto perché evidentemente questa cosa va a scapito dell’autenticità, per cui lì dentro stiamo con nome e cognome, foto e quindi quelli che stanno lì dentro siamo noi. Questo secondo me è molto importante perché non è mai successo nella storia dell’umanità o comunque nella storia dei media, per usare un parametro meno ambizioso, che noi ci intrattenesse perlopiù con contenuti che provengono da persone e non da personaggi, noi per molti anni abbiamo gestito l’intrattenimento con una certa distanza e poi con gradi di intimità sempre più ampi, nel senso che poi c’è il cinema, poi c’è la televisione, io credo che in realtà una parte di quello che sta succedendo oggi sia parente della reality tv, che è la prima volta in cui noi non vogliamo vedere i personaggi ma vogliamo vedere le persone. Lì c’è comunque una cornice la reality tv aveva e ha tutt’ora la cornice di interpretazione i social media e io credo che questo sia molto pericoloso e crea un cortocircuito importante rispetto all’interpretazione della realtà, perché hai queste queste due cose che si scontrano: da un lato hai un’infrastruttura costruita intorno alle identità, perché la cosa interessante poi dei social network è che dall’idea di Zuckerberg sono cambiati tantissimo ma il profilo c’è, tu stai sempre lì con nome e cognome e foto a prescindere, cioè questa cosa non è cambiata, e quindi sono tutte piattaforme costruite e nate intorno alle identità, però dall’altro hai questa enorme barriera all’ingresso della produzione dei contenuti e quindi lo fa chi lo vuole fare, chi può professionalizzare questa cosa e questo poi ti porta a non riuscire sempre a separare, a capire che cos’è intrattenimento e che cos’è non intrattenimento.”
Joe Casini: “Faccio un parallelo su questo con il tema dei contenuti generali dell’intelligenza artificiale. In generale viviamo in un momento in cui l’impressione è che il rapporto che abbiamo con la realtà digitale è un rapporto che sta diventando sempre più complesso prima in qualche modo avevamo ben chiaro, anche negli ambienti digitali, ciò che poteva essere finzione, anche nel mondo del gaming, tutto quello che era prodotto per intrattenimento e ciò che invece era la riproposizione di contenuti che attingevano direttamente la nostra realtà. Quindi le notizie circolavano, piuttosto che i contenuti che venivano scritti, chi ci metteva la faccia ci metteva la faccia in una dimensione più genuina, autentica, spontanea, invece questa cortice di cui stiamo parlando mi fa venire in mente anche il tema proprio del rapporto che abbiamo con le foto e coi video ora che iniziano sempre più a circolare contenuti prodotti a intelligenza artificiale, come se in qualche modo dobbiamo, ogni volta che approcciamo a un contenuto, fare un’operazione in più.”
Francesco Marino: “Sì e una cosa da aggiungere rispetto alla natura dei social media oggi è che c’è una continua rinegoziazione delle cose, cioè nel senso che già i social network di per sé fin dalla nascita sono oggetti che vivono intorno alla sparizione del contesto cioè tu quando pubblichi un post posso andare a vedere il tuo profilo e lì dentro posso farmi un’idea di te, però io vedo una sequela di post tutti diversi che non hanno nulla in comune se non il fatto che provengono dai miei amici e che per l’algoritmo potrebbero essere interessanti per me. Questo è ancora più radicale in un contesto in cui i post che io vedo sui social network non provengono da persone che ho scelto di seguire, ma provengono da tutto il mondo e sono basati sostanzialmente sempre solo sugli interessi, e quindi ogni post in realtà è una rinegoziazione della mia identità, della realtà e del contesto. Non c’è contesto, c’è sempre meno e di conseguenza questo rende anche molto più complicata l’interpretazione delle cose che uno vede perché se sparisce il contesto, e se diventa sempre più difficile da interpretare quello che vedi, perché non c’è riferimento, dici io mi fido di quella persona allora io seguo quella persona, seguo quelle 15 persone mi fido di quelle 15 persone e allora da loro mi informerò. Quando stai invece nella sezione reel o su tiktok o comunque sui social network oggi potresti vedere contenuti da persone che non segui e questo, secondo me, poi rende anche più complicata la negoziazione rispetto ai contenuti generati da intelligenza artificiale. Oggi, secondo me, i contenuti generati da intelligenza artificiale sui social network sono molto interessanti nel supporto di narrazioni già esistenti cioè Trump in galera o Taylor Swift generata da Trump, non è che io credo effettivamente che ci sia Taylor Swift che si è messa la maglietta, però se io voglio dire una cosa a sostegno di una determinata tesi quel contenuto rafforza quella cosa. Io credo poi che a un certo punto si dovrà parlare di questa cosa, cioè si dovrà parlare del fatto che abbiamo appaltato l’intrattenimento e l’informazione a dei sistemi che proprio volevano fare altre cose in realtà, cioè nel senso a dei sistemi nati intorno ad altri obiettivi e, forse tiktok in realtà è quello più a cavallo, che poi Si sono adattati a gestire questa mole di informazioni ma che però sono costruiti intorno all’infrastruttura che non è detto che sia diciamo giusta.”
Joe Casini: “Guarda il tema della perdita del contesto, pure secondo me, è veramente uno degli snodi che stiamo vivendo. Il contesto chiaramente crea dei vincoli intorno al messaggio rendendolo con questi vincoli in qualche modo meno ambiguo, cioè la libertà di interpretare il messaggio nel momento in cui è contestualizzato ovviamente si riduce. Spostando un po’ questa cosa da una dimensione digitale a una dimensione più fisica e reale, secondo te, questi effetti di questa perdita del contesto della comunicazione che impatti stanno avendo poi fuori da queste piattaforme?”
Francesco Marino: “Allora io credo che in generale ci sia una rinegoziazione del nostro rapporto con lo spazio fisico a causa della relazione che abbiamo con le piattaforme. Per molti di noi le piattaforme, il digitale, sono il modo principale con cui accediamo alla realtà e quindi sono il primo filtro che si pone tra noi e lo spazio fisico e questo secondo me genera una rinegoziazione del rapporto con lo spazio fisico. Mi sembra di vedere personalmente un rapporto sempre più utilitaristico col reale e con lo spazio, cioè si va sempre più verso il consumo di spazi, luoghi, oggetti, persone in alcuni casi, in cui io sostanzialmente mi informo rispetto a un tema, luogo, oggetto, ristorante, persona e poi decido se convertire quell’informazione sulla base di una valutazione, sulla base di un’interazione che avviene in un altro spazio e il rischio, secondo me, è trasformare lo spazio fisico e la realtà esclusivamente in uno spazio di consumo di qualcosa che avviene fuori.”
Joe Casini: “Tutto diventa una location per un selfie in qualche modo.”
Francesco Marino: “In parte sì, in parte tutto diventa un qualcosa di utilitaristico a prescindere, cioè io decido di frequentare un luogo non per vivere quel luogo, sono dinamiche se vogliamo anche un po’ turistiche che però si applicano alla vita di tutti i giorni. Tutti noi lo facciamo, io per primo, se devo frequentare un posto prima capisco che cosa può darmi quel posto, prima mi rendo conto penso al ristorante del menù, i prezzi e tutto il resto e poi vado a consumare quel posto, questo però poi che fa? Ti allontana dai luoghi perché quel luogo smette di essere un luogo in cui ti relazioni con delle persone, ti relazioni con uno spazio magari costruisci anche qualcosa, dipende dal luogo naturalmente e diventa tutto quello. Io quello che vedo più di ogni altra cosa, rispetto al modo in cui i social media e le piattaforme digitali influenzano lo spazio fisico, è che lo trasformano in un luogo di consumo.”
Joe Casini: “Questo è molto interessante. Mi viene in mente il modo in cui viviamo i i posti fisici, siamo un po’ immersi in questo cultura come se vivessimo, e questo forse è anche uno degli effetti dei social, sempre in questo eterno presente in qualche modo noi abbiamo sempre il contenuto che vale ora e tra un secondo già è vecchio, abbiamo bisogno di un nuovo contenuto, che va un po’ in antitesi con per esempio il fatto di viversi i posti essendo appunto immersi nel presente, nel senso di avere un’esperienza profonda. Invece, abbiamo un atteggiamento sempre più superficiale coi luoghi, con le persone, ma anche dettato probabilmente proprio dal modo in cui ormai siamo abituati a consumare l’informazione. Facciamo sempre più fatica ad avere un pensiero magari più approfondito, più a lungo termine, a raccogliere un’informazione, metabolizzarla nel tempo e questo secondo me è molto legato al fatto che l’informazione, lo vediamo anche con le notizie più tragiche che ci arrivano ogni giorno, anche le guerre nel giro di pochi mesi se arrivano alla nostra attenzione diventano già in qualche modo un contenuto vecchio e questa cosa qui ha degli effetti pazzeschi.”
Francesco Marino: “Sì e in generale una delle cose più importanti, e tu hai usato la formula attenzione una delle cose più importanti su cui prestare attenzione, scusate la ripetizione, è proprio questa: cioè che noi viviamo in quello che potremmo chiamare un capitalismo dell’attenzione, in cui tutto è funzione diretta della capacità che qualcosa o qualcuno ha di catturare una scalcagnata attenzione perché le piattaforme funzionano sulla base di questo, sulla base della capacità di catturare l’attenzione e interi sistemi economici in qualche misura vengono costruiti intorno a questa capacità. Io ho questa teoria per cui diciamo la caduta di Chiara Ferragni, sicuramente perdita reputazionale piuttosto importante, sia dovuta proprio a questa violentissima rivelazione del fatto che dietro quella capacità di catturare l’attenzione, che per una serie di contingenze anche la Ferragni ha avuto per un lungo periodo di tempo, ci fosse molto e quindi che quell’impero fosse costruito su un qualcosa che poi non aveva delle fondamenta, dietro non c’era nulla e questo, secondo me, è un enorme esempio di questo contesto in cui a fare la differenza è la capacità di qualcuno o qualcosa di catturare l’attenzione, è un filtro enorme all’inizio del nostro percorso di scoperta della realtà, della nostra relazione con la realtà. Questo naturalmente poi ti porta ad applicare questa cosa a tutto, ogni situazione deve essere qualcosa che ti colpisce, che ti ruba l’attenzione; l’eterno presente che tu dici è quello: ma il fatto che i contenuti, la non finitezza dei contenuti su internet, è come se ti negasse la possibilità di avere una distanza interpretativa rispetto alle cose. Se ci fai caso su internet non finisce mai nulla, cioè tu a un certo punto al massimo non ne senti più parlare, poi però non sai esattamente com’è andata a finire però, un buon parallelismo, è che internet è un data base fondamentalmente e quindi riga su riga su riga su riga di questo enorme Excel poi a un certo punto le cose rimangono indietro e tu non le hai interpretate. Byung Chul Han nel suo ultimo libro ha parlato di collasso narrativo, ha parlato di fine delle storie e che è assurdo in un’era di storytelling pensare a questa cosa, però è vero perché le storie hanno un percorso e le storie finiscono e sui social network nulla finisce, quindi potremmo avere a che fare con oggetti che sembrano storie però in realtà la narrazione è in una crisi fortissima perché non c’è narrazione online e in realtà è un appunto fiumi carsici, rivoli di contenuti e storie diverse che si sovrappongono. L’altra cosa, secondo me, piuttosto importante rispetto all’effetto che questo contesto che stiamo descrivendo è un certo disorientamento, è come se anche noi, come i contenuti, passassimo da una cosa all’altra senza sapere bene a cosa dare priorità, senza sapere bene cosa scegliere. Spesso se tu parli anche con persone che usano i social network nemmeno loro lo sanno perché hanno iniziato a guardare video su tiktok e ci hanno passato un’ora, perché spesso è qualcosa di quasi involontario a cui noi cediamo una parte del nostro tempo e per questo secondo me una delle cose più importanti di cui parlare in questi tempi è l’attenzione cioè il potere politico dell’attenzione, cioè riappropriarsi dell’attenzione secondo me è una cosa molto importante, e visto che l’attenzione che è una delle risorse scarse più preziose della nostra cultura, io credo che oggi come mai prestare attenzione sia un atto politico quas, perché noi siamo quello a cui prestiamo attenzione.”
Joe Casini: “Premesso che non credo che tutto questo fosse in qualche modo predeterminato, voluto ovviamente però la domanda che ti volevo fare è: posto che il tema c’è, secondo te, viene utilizzato a questo punto però strumentalmente? Secondo te c’è una volontà in qualche modo di continuare a spostare le conversazioni, cioè se noi abbiamo la nostra attenzione assorbita focalizzata su alcune cose di conseguenza non ce l’abbiamo su altre. Ti faccio questa domanda perché abbiamo parlato prima anche di intelligenza artificiale. Per esempio, questa è una tecnica che vedo spesso utilizzata quando si parla di intelligenza artificiale, spesso chi sono in qualche modo i deus ex machina che ci sono dietro i grandi progressi di intelligenza artificiale tendono sempre a prospettare questi futuri apocalittici, queste grandi cose, che è un buon modo per spostare l’attenzione rispetto a problemi molto più urgenti non che non ci possano essere quei rischi e che non dobbiamo farci una riflessione, però tra un ipotetico futuro distopico tra qualche anno e tutto ciò che banalmente l’intelligenza artificiale oggi comporta Ma anche in termini di risorse utilizzate, diritti del lavoro e così via, in qualche modo mi sembra un modo strumentale di catturare l’attenzione. Secondo te ci sono persone, strutture, organizzazioni che spostano e utilizzano questo fenomeno con delle logiche ultra capitaliste proprio per portare avanti?”
Francesco Marino: “Sì sicuramente, è chiaro che poi come ogni contesto informativo, relazionale e sociale ha qualche in qualche misura delle regole e che possono essere sfruttate per fini differenti, l’esempio che fai tu dell’intelligenza artificiale mi sembra un chiaro esempio di questa cosa, cioè io sposto l’attenzione su qualcosa, che non so nemmeno se e quando potrebbe succedere, per non parlare del fatto che magari il prodotto non è così buono in quel momento oppure delle risorse oppure di una serie di altri temi e credo sia una delle modalità fondamentali con cui si distoglie l’attenzione oggi. Quella di portare quell’attenzione da altre parti secondo stilemi ormai piuttosto noti, lo sappiamo tutti che per far funzionare qualcosa su Internet bisogna dire qualcosa di polarizzante, di estremo, di conflittuale, di recente c’è un altro che non se la passa particolarmente bene in questo periodo che si chiama Mr Beast che è lo youtuber più famoso al mondo che ha avuto un po’ di questioni riguardanti un reality che ha fatto, riguardanti diciamo l’etica di questi reality e di recente è stato diffuso online il suo documento di onboarding per la Mr Beast production, cioè quel documento che viene dato alle persone che iniziano a lavorare lì dentro. Lui fa questa analogia, a parte il documento ha delle cose folli ma è molto interessante come fotografia di quel mondo, se non ti piace mangiare una banana se tu vuoi fare un video su internet non puoi dire ‘non mi piace mangiare la banana’ devi dire ‘la banana è il peggior cibo che c’è sulla terra’ e questa cosa è nota, è ben conosciuta e questo ovviamente poi che fa? Porta al fatto che si crei una discussione spesso intorno a temi assurdi perché l’ecosistema in cui stiamo funziona intorno a queste tecniche e questi trucchi. Questa secondo me è una cosa molto importante, questa ostentata neutralità della rappresentazione sulle piattaforme, cioè il fatto che quello che vediamo lì dentro ci sembra reale, lo percepiamo come reale, c’è questa sensazione di intimità, di non montato, di autentico e tutto il resto, in realtà si scontra poi col fatto che tutto è format sulle piattaforme, cioè il foto dump di Instagram di quest’estate che tutti abbiamo visto, delle 20 foto sul carosello è figlio del fatto che prima si potevano mettere 10 foto adesso se ne possono mettere 20 e che Instagram vuole che le persone passino più tempo sulla piattaforma e quindi scorrere 20 foto è più lungo che scorrere 10 foto, quindi se io pubblico 15-20 foto più probabile che l’algoritmo faccia vedere più spesso il mio contenuto e quindi ciascuno di noi poi in realtà, questa è la cosa secondo me poi interessante, si rivolge a queste tecniche per fare qualcosa di completamente innocuo come condividere le foto delle vacanze magari con le persone che conosci, magari uno ha 100 follower sono tutti amici e familiari e vuole far vedere dov’è andato in vacanza. In realtà poi per negoziare la tua relazione con le piattaforme devi sempre trasformare la realtà in un format.”
Joe Casini: “Ma a proposito di algoritmo, ora il fatto delle nuove features, secondo te questa tecnologia in che fase della propria vita sta? Cioè c’è un po’ l’impressione che in qualche modo le piattaforme stiano collassando su un unico formato sempre molto simile, ci sono piccoli cambiamenti, piccole cose però in realtà sembra un’esperienza esaurita da un punto di vista creativo, dal punto di vista di novità, e quindi come la vedi e a che punto siamo e come vedi il domani?”
Francesco Marino: “Allora per quello che riguarda l’oggi il modello tiktok è, quindi per capirci il modello per cui i contenuti che vedi non sono dettati dalle persone dai profili che segui ma è tutto per te quindi è tutto basato sugli interessi, in questo momento irrinunciabile per i social network e la motivazione tra l’altro ha spiegata Adam Mosseri, che è il CEO di Instagram, qualche giorno fa in una storia che ha pubblicato in cui qualcuno gli chiedeva ‘perché non possiamo scegliere il feed che dobbiamo vedere?’ e lui gli dice ‘guarda noi abbiamo fatto degli esperimenti poi ci siamo resi conto che però le persone che avevano il feed following, quindi quello basato sulle persone seguite, a un certo punto smettevano di tornare così spesso e se tornano meno spesso loro, tornano meno spesso i loro amici e quindi è un disastro’ e ora è un disastro per Meta non è detto che sia un disastro per le persone che utilizzano Instagram il fatto di non tornarci ossessivamente varie volte al giorno e di andarci una volta al giorno a vedere che cosa è successo ai loro amici. Quindi in questo momento questo modello è irrinunciabile per qualunque piattaforma perché poi alla fine paradossalmente tu hai forse meno soddisfazione ma più addiction in qualche misura, più dipendenza e volontà a tornare. Quando tiktok emerge tra il 2020, quando c’è la pandemia, e il 2021 la cosa più incredibile e enorme di tiktok sono i tempi di utilizzo, cioè tu avevi un contesto in cui un’applicazione che aveva ancora relativamente pochi utenti ma aveva dei tempi di utilizzo clamorosi era proprio perché questo modello quasi a palinsesto, non tanto diverso dalla TV in qualche misura, era difficile da lasciare lì, ti dava sempre quella sensazione che potessi scoprire qualcosa di nuovo e qualcosa di interessante a quella dopo. Quindi io oggi non vedo un’uscita dal modello tiktok e non so cosa succederà in futuro ci sono una serie di tentativi di uscire da questo modello, la stessa Treads in realtà permette una personalizzazione dell’algoritmo, gli si può segnalare cosa non piace, cosa piace di più, anche se in realtà non funziona così bene l’algoritmo di Threads, una strada è quella che sta usando Blue Sky che è il social network fondato da Jack Dorsey dopo Twitter credo che adesso lui ne sia uscito ma, per chi lo utilizza permette di scegliere su una specie di market dei Feed quindi tu vai lì e c’è quello di default e poi tu puoi scegliere se vedere tutte notizie, oppure tutte foto e ognuno si costruisce diciamo, non è detto che sia una soluzione migliore però io credo che a un certo punto ci sarà un tentativo di capire, vedo già un po’ di sentimenti negativi nei confronti di alcune delle cose che vediamo sui social network, soprattutto in questo periodo con gli influencer,
Joe Casini: “Intendi che secondo te è possibile a un certo punto inizieremo a regolamentare questi aspetti delle piattaforme?”
Francesco Marino: “Guarda la regolamentazione io non so nemmeno come potrebbe andare per questa cosa, l’ho raccontata di recente sta cosa sono stato a Piacenza al festival del pensare contemporaneo e alla fine del mio intervento mi si avvicina un ragazzo e mi ha detto ‘guarda secondo me il problema fondamentale di tutto sono i reel perché sono ingestibili tu stai lì le ore e non te ne rendi conto, ma perché la politica non fa niente?’, non saprei nemmeno esattamente da dove cominciare rispetto a una regolamentazione politica di questa cosa. Io credo che tra l’altro l’Europa stia facendo già molto rispetto alle tutele dei cittadini europei, che oggi sono molto più tutelati dei cittadini americani che stanno sui social network per dirne una. Però credo che a un certo punto dovremo fare i conti con quello che vogliamo dai social network perché sono una tecnologia particolare, se ti studi un pochino la storia della tecnologia, ogni tecnologia, di solito, è un tentativo di ammaestrare il mondo in qualche modo, di ridurre la complessità, di renderlo un pochino più prevedibile e in qualche misura quello che i social network hanno fatto all’inizio era rendere un po’ più semplici le connessioni in un periodo in cui tutti lavorano, le città sono complesse e tutto il resto. Bisogna capire adesso che cosa stanno ottimizzando, secondo me, la domanda principale da farci è questa qua: che cos’è in questo momento che i social network ci stanno rendendo più semplice oppure qual è l’ottimizzazione che i social network ci stanno garantendo? Io credo che già ci sia in qualche misura questo sentimento, rispetto anche a solo 3-4 anni fa credo che la pandemia sia stato un acceleratore gigantesco di tendenze in senso positivo e negativo, credo che già ci sia un sentimento in questo senso che adesso si sta esprimendo per esempio con gli influencer, con un certo scetticismo nei confronti delle cose che vengono pubblicate online, credo che a un certo punto questa domanda ce la faremo, cioè qual è esattamente la cosa che ci stanno rendendo più facile queste piattaforme? Posto che sono piattaforme che hanno potenzialità straordinaria, non voglio fa nemmeno quello che parla sempre solo male, sono piattaforme che ti consentono davvero di avere una finestra sul mondo però secondo me un bilanciamento potrebbe essere una strada oltre a una regolamentazione di una serie di aspetti perché poi le piattaforme sono un far west rispetto alle pratiche che avvengono all’interno delle piattaforme. Bisognerebbe poi capire: perché da un lato c’è regolamentare l’algoritmo per dire e i dati e le fake news e tutto il resto e quello l’Europa mi sembra che lo stia facendo, dall’altro per esempio ci sta tutti i modi di monetizzazione, ci stanno i fuffa guru, ci stanno tutta una serie di cose che accadono all’interno di quello spazio e che non è facilissimo regolamentare.”
Joe Casini: “In questo contesto, prendiamo una notizia recente di cronaca italiana, che al di là della notizia in sé ma proprio per l’atteggiamento e anche della classe politica che in questo momento governa il mondo, che tendenzialmente è una classe politica conservatrice molto molto molto da questo punto di vista polarizzata, mi verrebbe da dire, di recente è uscita circolare per cui si è detto di non utilizzare il cellulare nelle scuole neanche per fini didattici fino a una certa età. Questo come fa match con il fatto che abbiamo bisogno invece di una sempre maggiore consapevolezza, non soltanto rispetto a decisione in sè, ma proprio come stiamo approcciando a un livello un po’ più ampio, a livello politico, alla questione, cioè che aspettativa abbiamo?”
Francesco Marino: “Un altro dei temi discussione di quest’ultimo periodo per quello che riguarda i social network è questo libro che ha pubblicato uno psicologo americano che si chiama Jonathan Haidt che si chiama ‘la generazione ansiosa’ ed è un libro che negli Stati Uniti ha creato un terremoto mediatico piuttosto importante. Sostanzialmente Haidt sostiene che i social network hanno causato un’epidemia di salute mentale negli adolescenti del mondo occidentale, in particolare lui si concentra sul mondo anglosassone, e che quindi i social network sono pericolosi per gli adolescenti, per i bambini e per una serie di categorie. tra le cose che suggerisce c’è per esempio il fatto di vietare gli smartphone fino ai 14 e i social network fino ai 16, se non ricordo male, questo per dirti è vero che serve consapevolezza ed educazione allo spazio digitale ed è una delle cose che serve assolutamente però forse una delle cose a cui dobbiamo pensare, il libro di Haidt probabilmente ha un po’ di debolezze scientifiche nel senso che non ci sono veramente delle evidenze conclusive rispetto a quello che afferma, però secondo me va letto, fa una lettura molto interessante del fenomeno e fa delle proposte me sensate. Bisogna capire a partire da quando e a partire da dove facciamo queste cose. Io sulla scuola e sui 14 anni credo che in realtà ritardare a un momento in cui si possa essere più consapevoli non sia una cattivissima idea, ritardare l’inizio della relazione uno a uno con lo strumento, poi è chiaro che con i genitori uno può avere a che fare.”
Joe Casini: “No no a livello personale sono anche d’accordo. La cosa che mi colpiva, per esempio, della circolare è che è vietato anche a livello didattico e quello aggiunge lo stigma, nel senso che, parlavi appunto di generazione ansiosa, la tecnologia acquista anche significati diversi in base alle prospettive dalle quali la guardiamo. Ci sono persone che magari sono isolate e che con la tecnologia hanno la possibilità di rimanere in contatto con le persone e, secondo me, c’è anche una fisiologica difficoltà cioè partiamo sempre dal presupposto che il mondo che che conosciamo è il mondo migliore nel senso che tutto ciò che diventa un cambiamento legato alle nuove generazioni, che però facciamo fatica a comprendere, tendiamo sempre un po’ stigmatizzare quindi la mia paura è un po’ che piuttosto che cercare di capire come sta cambiando il mondo e quindi essere a disposizione nuove generazioni per affrontare il cambiamento, con maggiori risorse, in maniera più consapevole, si tende un po’ a voler puntare i piedi a dire ‘si stava meglio prima’, quindi una cosa diventa di per sé negativa e stigmatizzata e quello mi preoccupa perché: punto primo non sono cambiamenti che puoi frenare, quindi diventa anche un po’ una perdita di tempo, punto secondo perché secondo me il rischio che corriamo è anche quello di spezzare il dialogo generazionale.”
Francesco Marino: “Io sono molto d’accordo su questo. In realtà poi tutta la storia del vietare gli smartphone ha un corollario piuttosto importante cioè la costruzione delle alternative, nel senso che poi spesso c’è stata, Haidt ne parla bene devo dire nel libro, una tendenza genitoriale al controllo che ha spinto gli adolescenti e chi stava crescendo chi sta crescendo verso lo Smartphone perché era quello lo spazio ed è quello lo spazio di espressione di socializzazione che è necessario quando uno sta crescendo. Quindi se io non posso andare, faccio una diciamo un parallelismo anche un po’ semplice, al parchetto a giocare allora sto a casa e sto sullo smartphone perché ho bisogno di quello spazio. Allora se io, come dici tu giustamente, metto uno stigma su quell’oggetto ho bisogno anche della costruzione delle alternative e questa è una cosa che non possiamo delegare, quella sottile linea che separa una scelta politica consapevole con un occhio al futuro dal puntare i piedi. Se io dico no allo smartphone perché si stava meglio quando si stava peggio allora sto puntando i piedi, se io dico no allo smartphone perché c’è una letteratura che dice delle cose e perché posso e sono in grado di costruire delle alternative degli spazi di socializzazione sicuri, dei momenti di costruzione dell’identità che non siano esclusivamente all’interno dello spazio digitale, allora sì forse sto costruendo una relazione anche futura con lo smartphone migliore, perché spesso, e questo è fondamentale dircelo, gli adolescenti non hanno alternative assolutamente.”
Joe Casini: “Beh Francesco allora il tempo è volato e siamo arrivati un po’ alle battute finali della puntata. In chiusura abbiamo un momento ricorrente che è quella della domanda tra gli ospiti, io ora ti porrò tre ospiti delle puntate precedenti te li racconterò brevemente, ognuno di loro ha lasciato una domanda che non necessariamente ha a che fare col profilo che ti farò quindi magari una persona che si occupa di scienza lascia una domanda su uno sport. Dopodiché chiaramente è il tuo turno e quindi anche tu potrai lasciare una domanda per gli ospiti delle delle prossime puntate. Allora i tre ospiti che ti propongo sono Antonello Giannelli, presidente della NP che è l’associazione di rappresentanza dei dirigenti scolastici con lui insieme ad Antonella Questa abbiamo fatto una puntata molto bella sulla pedagogia quindi su come si è sviluppato negli ultimi decenni e in particolare ora il rapporto con l’educazione delle nuove generazioni, proprio anche quello di cui stavamo in qualche modo parlando ora. Ti propongo Lino Apone Lino, è stato per tantissimi anni dirigente responsabile in Feltrinelli e ha vissuto tutta la vita nel mondo dell’editoria, abbiamo fatto con lui una lettura sistemica del mondo dell’editoria prendendolo un po’ come case study per osservare un po’ di dinamiche. Il terzo ospite che ti propongo è Paolo Benanti, anche lui conosciutissimo col quale ovviamente abbiamo parlato di intelligenza artificiale ed etica. Qual è quello che ti incuriosisce di più?”
Francesco Marino: “Non voglio restare troppo nel mio ambito e quindi dico Giannelli”
Joe Casini: “Allora la domanda che ha lasciato Antonello e che ti rigiro è: come si potrebbe utilizzare al meglio la tecnica dell’edutainment nelle attività formative?”
Francesco Marino: “Bella domanda a cui diciamo non sono così qualificato a rispondere. Secondo me, tracciando nella maniera migliore i confini tra educazione e intrattenimento, nel senso che io credo che lavorare intorno all’idea che tutto debba per forza essere anche intrattenimento non sia una buonissima idea in realtà. Quindi ti rispondo a questa domanda dicendoti che ci sarebbe bisogno probabilmente di tracciare un confine un po’ più netto tra educazione e intrattenimento anche per abituarsi un pochino di più alla complessità di alcune cose.”
Joe Casini: “Assolutamente. È un po’ il tema di cui stiamo parlando anche ora, credo sia un tema che potremmo anche riprendere in una delle prossime puntate insieme se ti va perché c’è sicuramente da mettere bene a fuoco di nuovo il patto generazionale. C’è stata una rottura enorme, noi apparteniamo a delle generazioni dove si partiva dal presupposto che si entrava nella società e non so quanto sia ancora attuale, non so tu come la pensi e quindi bisognerebbe un attimo riaprire un po’ una dimensione di dialogo.”
Francesco Marino: “Sì sì assolutamente non so poi se sia un male nel senso che poi uno dei problemi della nostra generazione, quindi di quelli nati degli anni 80 all’inizio degli anni 90, è proprio che non abbiamo mai rotto per niente il patto generazionale, io non vedo male la volontà di rottura del patto generazionale da parte della generazione Z che spesso viene anche, in maniera piuttosto paternalistica, stigmatizzata però sì è chiaro che serve un patto. Bisogna capire dove si va poi con questo patto.”
Joe Casini: “Assolutamente. A questo punto Francesco è il tuo turno, qual è la domanda che vuoi lasciare agli ospiti delle prossime puntate?”
Francesco Marino: “Io sono un grande appassionato di romanzi, quindi dico: qual è il romanzo che più di ogni altro ti ha formato?”
Joe Casini: “Bellissima domanda che mi dà sicuramente poi spunto anche di prendere un suggerimento. Tra l’altro visto che siamo in chiusura, ne approfitto, mi consigli un libro, un film, una serie tv?”
Francesco Marino: “Allora perché ho letto ‘Infinite Jest’ di Foster Walls ultimamente ma non lo consiglierei nel senso è un libro straordinario ma è anche enormemente difficile e quindi consiglio un libro molto molto breve che si chiama ‘L’invenzione di Morel’ di Adolfo Bioy Casares, che è famoso perché era un grande amico di Borges il più grande scrittore argentino, ed è un libro che ha molto a che fare con la discussione che abbiamo avuto oggi cioè su che cosa consideriamo reale e su che cosa desideriamo ottimizzare della vita che abbiamo.”
Joe Casini: “Perfetto, allora lo recuperò. Io allora ti ringrazio Francesco per essere stato con noi questa domenica .”
Francesco Marino: “Grazie mille a te e grazie a tutti gli ascoltatori.”
Joe Casini: “E chiaramente ringrazio anche voi per aver passato anche questa domenica con noi, ci vediamo come sempre tra due settimane per una nuova puntata di Mondo Complesso. Buona domenica!”