Con Carolina Boldini, antropologa, parliamo di teorie, riti e tabù che l’antropologia culturale può aiutarci a mettere in prospettiva (inclusa la morte).
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti alla puntata numero 43 del podcast. Oggi abbiamo come ospite uno dei creator che personalmente seguo con maggior interesse, quindi intanto benvenuta a Carolina Boldoni.”
Carolina Boldoni: “Grazie Joe per l’invito.”
Joe Casini: “Come dicevo è uno dei creator che seguo con maggior interesse perché oltre all’attività sui social ha una newsletter interessantissima in cui parla di antropologia. Come da prassi partiamo con la domanda semplice: che differenza c’è tra antropologia e sociologia?”
Carolina Boldoni: “Diciamo che la differenza si deve andare a recuperare a partire dalla storia di queste due discipline, perché l’antropologia nasce in ambito coloniale con la finalità di cercare di comprendere le società colonizzate, quindi territori extra europei, per cercare di controllarle meglio, di evitare che ci fossero rivolte e quant’altro. La sociologia è una disciplina che nasce in ambito europeo per studiare fenomeni che avevano a che fare con questioni economiche nella prima era dell’industrializzazione. La storia di queste due discipline è piuttosto complessa. A me va di chiarire che in realtà l’antropologia fin dal suo inizio, è vero che ci sono stati degli antropologi che in qualche modo lavoravano per le finalità che erano quelle colonizzatrici, altre invece che fin dall’inizio hanno compreso le terrificanti dinamiche di potere implicite ed esplicite nelle questioni coloniali, quindi si sono ribellati per quanto potevano allo status quo coloniale entrando di diritto nelle università per far presente sia quello che succedeva a livello coloniale sia per criticare quello che era lo status quo. Questa secondo me è la caratteristica che ho fatto più mia dell’antropologia perché lo sguardo coloniale e lo sguardo antropologico mi è servito per mettere in dubbio e comprendere fin da subito quali erano le dinamiche coloniali del tempo ma poi di conseguenza anche guardare con sguardo assolutamente critico lo status quo attuale.”
Joe Casini: “Credo che parlando di antropologia questo sia un periodo come quando nel motociclismo c’era Valentino Rossi, da qualche anno a questa parte con Harari di antropologia se ne parla ancora di più perchè poi spesso quando ci sono elementi che catalizzano l’attenzione così succede. La domanda che ti volevo fare è: tu da bambina volevi fare l’antropologa? Qual è stato il tuo percorso?”
Carolina Boldoni: “Il mio percorso non è assolutamente stato lineare nel senso che io sapevo di voler studiare lingue infatti mi sono iscritta alla triennale in lingue e letteratura contemporanea, volevo moltissimo studiare l’inglese e tramite esso ho scoperto le letterature postcoloniali che non conoscevo assolutamente e poi ho scoperto una lingua di cui non sapevo nulla che era il portoghese, infatti attualmente vivo a Lisbona. Finita la triennale io ero in uno stato un po’ catatonico di crisi abbastanza tipico e lì avevo capito che non interessava più studiare le lingue a partire dalla letteratura, ma quello che mi interessava era studiare le lingue vive nel contesto d’uso e mi interessava anche scoprire lingue che spesso non vengono riconosciute come lingue, delle varianti come i dialetti. Da lì tramite amicizie vengo a sapere che a Venezia c’era un corso che si chiamava ‘antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica’, mi hanno invitata a partecipare alla prima lezione al corso base di antropologia ancora durante la triennale e capire se effettivamente potesse piacermi una disciplina piuttosto ancora sconosciuta e mi ricordo che durante la prima lezione del corso di base di antropologia culturale io rimasi stupefatta dai contenuti, dal modo di pensare di questa disciplina che era la prima volta che sentivo e non avevo idea che potesse cambiare la mia prospettiva in modo così radicale e intenso e quindi diciamo che è stato amore a prima vista e quindi poi mi sono iscritta alla magistrale e poi ho fatto il dottorato.”
Joe Casini: “Il fatto di non avere un percorso lineare è una cosa che accomuna moltissimo gli ospiti di questo podcast. Viviamo in un momento in cui ci sono forti intersezioni. Da questo punto di vista secondo te un’attività come quella di creazione di contenuti sui social, newsletter più libera dalle logiche accademiche quali sono i pro e i contro? Pensi che l’interdisciplinarietà, questa libertà un po’ manca o si potrebbe sfruttare meglio, ci dovrebbe essere un maggior commissione? A volte c’è questa sensazione che ci sia questa differenza rigida tra le discipline. Nella scorsa puntata, Gloria Origgi, che insegna a Parigi, diceva che uno dei motivi per cui aveva lasciato l’Italia era perché è impossibile fare un percorso di studi interdisciplinari. La tua esperienza in questo senso com’è?”
Carolina Boldoni: “Sì, sono d’accordo con questa questione della multidisciplinarietà nel senso che non solo in italia ma anche in altri contesti è difficile da portare avanti però dalla mia prospettiva di persona che ha vissuto l’ambito accademico durante un dottorato e un post doc e poi ha deciso di lasciare l’università, la mia prospettiva è particolarmente critica nei confronti dell’università nel senso che l’ambiente accademico ha un sacco di pregi ma anche un sacco di difetti. In relazione alla comparazione tra codici dei social network e il mondo accademico credo che quello su cui il mondo accademico dovrebbe puntare di più è la terza missione che è esattamente quello che io cerco, nel mio piccolo, di fare sui miei profili perché è quello il modo attraverso cui l’università riesce ad instaurare un dialogo con la società civile perché quello che succede è che molto spesso la ricerca scientifica rimane chiusa dentro gli steccati dell’università e questo crea un sacco di difficoltà anche dal punto di vista lavorativo perché comunque non è facile rimanere all’interno dell’ambiente accademico perchè i fondi sono pochi e perchè ci sono un sacco di problematiche e quello che succede è che molto spesso abbiamo figure iper specializzate che sanno come fare una ricerca e questa cosa non è assolutamente spendibili nel mondo del lavoro normale, cioè fuori dall’università. Questo secondo me è un vero peccato perchè in realtà le persone che hanno un dottorato di ricerca o che hanno lavorato in università hanno un sacco di skills super spendibili nel mondo del lavoro, invece questa cosa non succede proprio perché esiste questo iato gigantesco tra la società civile e quello che si fa all’interno dei dipartimenti dell’università. Diciamo che secondo me è questo che manca.”
Joe Casini: “Questo è un momento in cui si dovrebbero mischiare le cose, tu facevi riferimento alla terza missione che è l’obbligo che è stato dato all’università, da qualche anno a questa parte, di aprirsi maggiormente e ci sono delle università che hanno colto la palla al balzo e altre che sono molto in difficoltà perché, come dicevi tu, sono sistemi che poi sono diventati quasi autoreferenziali. Rispetto alla tua attività di creator, ti ho scoperto qualche anno fa perchè hai fatto un ‘dissing’, come direbbero i giovani, con Jared Diamond. Ti ho incrociato perché avevo letto un po’ di suoi libri, in quel periodo forse era uscito uno dei suoi ultimi che era sulla crisi. Ti trovo nel feed mentre ‘dissi’ Jared Diamond e devo dire che seguendo il dissing ho detto ‘però ha ragione’. Facciamo un passo indietro Jared Diamond è famosissimo per alcuni libri che parlano di antropologia ma lui non è antropologo. La domanda che ti volevo fare è: che rapporto hai tu con i divulgatori?”
Carolina Boldoni: “Diciamo che il termine divulgazione, soprattutto negli ultimi anni in Italia, secondo me è entrato abbastanza nelle discussioni delle persone. Era un fenomeno che si conosceva poco, il divulgatore più importante in Italia era Piero Angela prima e Alberto Angela ora. Io sono molto critica, quello che a me innervosisce di più è il fatto che si prediligono come sempre le materie appartenenti alle scienze naturali o scienze dure, la materia per eccellenza è la fisica. Dimenticando totalmente che esistono delle materie, che sono le scienze sociali, che ci danno una prospettiva surreale che è inevitabilmente diversa rispetto a quella che ci danno le scienze dure perché ci occupiamo di fenomeni diversi e usiamo metodi diversi, nel momento in cui io devo studiare gli astri avrò delle metodologie diverse rispetto a se devo studiare degli insetti o se devo studiare degli esseri umani. Questo comporta, purtroppo, una gerarchia dei saperi che per altro non aiuta perché anche storicamente la nostra scuola è formata su una divisione che vede da una parte le materie scientifiche e dall’altra le materie umanistiche. In qualche modo anche questo crea delle gerarchie, nelle scuole questa questione è un po’ diversa, però ci sono dei compartimenti stagni che in qualche modo comunicano molto poco e inevitabilmente creano gerarchie. il motivo per cui io me la prendo così tanto con Jared Diamond, al di là del fatto che i suoi testi sono stati smentiti in più occasioni da persone più competenti di me, è perchè stiamo parlando di un biologo che non ha minime conoscenze storiche, antropologiche, archeologiche e che ha scritto dei libri che sono diventati dei best seller perchè ‘armi, acciaio e malattie’ nel 1998 ha vinto il pulitzer, ma se uno storico legge quel libro si rende conto degli errori grossolani che un biologo fa nel momento in cui si trova davanti una fonte storica e che quindi va analizzata secondo una metodologia diversa rispetto a quella che si userebbe per la biologia e quindi diciamo che prende degli sfondoni clamorosi.”
Joe Casini: “Questo mi aveva colpito perchè avevo letto i suoi libri, mi erano piaciuti e quando poi ho visto il tuo post mi ha fatto molto risonanza perché in qualche modo parlando di complessità nella mia attività, nell’incuriosirti vai a toccare ambiti che non sono quelli in cui ti sei formato maggiormente. Da questo punto di vista tu come ti muovi tra le discipline e quali sono invece gli autori che questo lo fanno bene? Abbiamo detto che Jared Diamond ha toccato qualche tema in modo poco corretto, quali sono invece gli autori che leggi e che ti accompagnano nell’esplorazione e che lo fanno bene?”
Carolina Boldoni: “Io devo dire che negli ultimi anni mi sono innamorata di un antropologo che tra l’altro è diventato famoso per libri che ha scritto anni fa che si chiama David Graeber che è un antropologo culturale che ha scritto diversi libri tra cui i più famosi a livello di grande pubblico sono ‘Debito’ e ‘Bullshit jobs’. Purtroppo è venuto a mancare nel 2020 a Venezia. è stato un antropologo che si definiva un antropologo anarchico, postumo è uscito un libro che si chiama ‘l’alba di tutto’ che ha scritto con un archeologo che si chiama David Wengrow. David Graeber ha scritto molti libri, era incredibilmente prolifico, lo trovo molto interessante perché mostra una prospettiva molto diversa a quella a cui siamo abituati. Ha una libertà di pensiero talmente radicale che molte persone quasi non lo accettano perchè purtroppo viviamo in un mondo in cui le regole sono talmente parte della nostra identità che quando qualcuno ci offre l’opportunità di pensare liberamente non siamo più capaci di farlo e questo un po’ mi spaventa ma dall’altra parte dico menomale che ci sono figure di questo tipo che ancora ci insegnano a pensare in modo libero.”
Joe Casini: “L’attività che fai è interessante, mi ricordo che mi colpì in particolare un post sull’illuminismo in cui dicevi che l’illuminismo non lo hanno inventato i francesi. Come non è francese l’illuminismo? è una delle poche cose su cui siamo tutti sicuri.”
Carolina Boldoni: “Ovviamente l’illuminismo che noi come europei conosciamo come fenomeno nato nella Francia della rivoluzione. Abbiamo degli scritti, dei filosofi, degli studiosi che vengono definiti illuministi e che lo erano. Il punto è andare a rintracciare le origini di questo pensiero che all’epoca era così radicale. Sempre nel libro ‘l’alba di tutto’ i due studiosi cercano di capire perchè ad un certo punto la critica francese e in generale nel resto d’europa nei confronti dell’ordine costituito, dello status quo, dell’autorità che in quel momento era dei re e dell’aristocrazia e anche l’ordine sociale vengono messi totalmente in dubbio dalle fondamenta. Da dove arriva questa critica? Perché prima non c’era e fondamentalmente loro costruiscono una serie di dati e fonti che sono di fatto i relati, missionari, viaggiatori, esploratori, che riportavano dalle colonie, in particolare da quelle dell’America settentrionale e fondamentalmente in questi libri che circolavano in Europa ci sono questi dialoghi tra i rappresentati delle popolazioni native colonizzate e i rappresentanti della società francese. In questi dialoghi, al di là del fatto che è molto interessante vedere come sono organizzati dal punto di vista retorico, possiamo vedere chiaramente una critica molto aspra e radicale delle popolazioni native nei confronti dei rappresentanti della popolazione francese ed europea. Ci dicono che la società francese del passato era tutta concentrata sui soldi, sull’egoismo, sull’autorità, sulle regole anche sessuali e questo è uno specchio molto interessante, forse lo specchio per eccellenza, attraverso il quale la società francese ed europea si è per la prima volta specchiata con un interlocutore degno e che in qualche modo ci mostrava quelli che erano i nostri difetti. L’Europa questo specchio raramente ce l’ha avuto e quindi sono fonti interessanti in cui specchiarsi. Chiudo dicendo che secondo me quello che fa l’antropologia è questo, ti fa fare il giro del mondo con la finalità di comprendere che specchiandoti nell’altro riesci a mettere a fuoco te stesso.”
Joe Casini: “Questo tema mi aveva colpito al di là dell’aspetto aneddotico perchè poi siamo in un momento in cui il tema dell’identità è tornato prepotentemente alla ribalta e una cosa che sorprende sempre è che ci sono persone che vedono i fenomeni storici e culturali come se la storia fosse organizzata come i libri di storia. C’è un capitolo, si chiude e se ne apre un altro quando in realtà sono tutta una serie di storie ed influenze che confluiscono, quindi poi in realtà il punto di inizio e di fine diventa anche un po’ arbitrario. La domanda che ti volevo fare è: come si mettono questi paletti? Come si definisce una fase storica a sé stante? Ci sono dei momenti ben precisi all’inizio di alcune fasi sappiamo che la storia moderna è iniziata in un determinato momento e così via. In linea di massima è tutta una continua influenza. Come ci si organizza la storia in questo senso?”
Carolina Boldoni: “Ti rispondo da antropologa, non so bene come si definisca un’epoca storica da un punto di vista storico. Da un punto di vista culturale gli esseri umani hanno bisogno di categorizzare per comprenderlo, se ci pensiamo quello che succede fuori da noi è un miscuglio di cose a cui è difficile effettivamente dare un senso. Quello che noi, come essere umani, siamo riusciti a fare nel corso della storia in vari modi è dare senso al mondo. Banalmente raccontare una storia dall’inizio alla fine è fare questo: cercare di fornire un ordine rispetto alla realtà che invece è disordinata e caotica per eccellenza. Quindi, questo fornire delle categorie da un punto di vista storico serve esattamente a fare questo, a dire ‘attenzione c’è stata un’epoca in cui questi concetti, questi valori, erano più importanti rispetto all’epoca precedente o all’epoca successiva’. L’errore, prima di tutto, sta pensare che queste categorizzazioni, come dicevi tu, siano comportamenti stagni e finito un capitolo ne comincia un altro perché non è questo, non dobbiamo dimenticarci che categorizzare il mondo ci serve per dare ordine ad una cosa che altrimenti sarebbe disordinata però il mondo non sono le categorie siamo noi che ce le mettiamo, questa è una prima questione. La seconda questione è che a queste categorie ci crediamo talmente tanto che alla fine il risultato è che quello che noi abbiamo in testa è che, per esempio, parlando della storia abbiamo un’idea di essa totalmente lineare. Ricollegandoci con Jared Diamond e il prode Harari letto da tutti abbiamo cominciato come bande di raccoglitori e cacciatori senza regole, senza autorità etc. finchè ad un certo punto abbiamo inventato l’agricoltura, c’è stata una grande rivoluzione che è durata 3 millenni, e poi abbiamo inventato lo Stato e da lì si va avanti e abbiamo sempre migliorato, abbiamo inventato il metodo scientifico, abbiamo inventato il computer, è evidente a tutti che siamo migliorati da come eravamo nel passato, questa è un modo di categorizzare la realtà e la storia, ce ne sono tanti altri non dimentichiamoceli.”
Joe Casini: “Ti devo fare una domanda che nella mia esperienza una delle cose di Harari che agli amici antropologi fa schizzare sulla sedia ed è il passaggio in cui dice che l’agricoltura ha addomesticato l’uomo, visto che l’hai citato anche ora questo passaggio, ti volevo domandare: secondo te l’agricoltura ha addomesticato l’uomo?”
Carolina Boldoni: “Questa è una domanda molto interessante perché tra l’altro io ho un gruppo di lettura e proprio la settimana scorsa abbiamo letto proprio quel capitolo che mostra le problematiche all’interno di questa narrazione che presenta Harari. Prima di tutto notiamo come funziona bene a livello di storytelling dire che non è stato l’uomo ad addomesticare il grano ma è stato il grano ad addomesticare l’uomo. In quest’epoca in cui siamo così lontani dalla natura, in cui non si fa che parlare di crisi climatica, dire una cosa del genere è assolutamente poetico, ci fa vedere i noi dell’antichità come dei grandi maestri di vita che hanno imparato tutto dalla natura, dato che erano in contatto con essa. In realtà la questione è molto più complessa di così: l’addomesticazione in realtà è un fenomeno che va di pari passo. Sono io che addomestico il grano e volendo il grano addomestica me. Prima di tutto bisognerebbe analizzarla dal punto di vista simbiotico dato che ci sono due elementi perché prenderne in considerazione solo uno? Poi quello che le fonti storiche ci dimostrano è che il processo di domesticazione è durato tremila anni e quello che è stato visto dal punto di vista scientifico è che se prendiamo un cereale selvatico e iniziamo questo processo di domesticazione notiamo che questo processo dura dai 30 ai 100 anni, com’è possibile che in antichità l’homo sapiens ci abbia messo tremila anni a far avvenire questo processo di domesticazione ovvero a diventare da raccoglitori cacciatori ad agricoltori significa che gli esseri umani non ne avevano mezza di diventare agricoltori perché avevano capito benissimo cosa serviva per domesticare determinate specie non l’hanno fatto consapevolmente, perché evidentemente c’erano cose più importanti, preferivano fare altro. Tra l’altro qui, dato che siamo nel discorso, oltre al fatto che non siamo abituati a pensare ai nostri progenitori come persone che avessero il libero arbitrio e quindi fossero perfettamente coscienti di quello che sapevano e libere nelle loro decisioni, in piu non ci rendiamo conto che noi applichiamo delle categorie che sono utili per noi, noi abbiamo deciso di dividere l’umanità tra cacciatori e agricoltori ma a te pare che abbia senso questa divisione quando si parla di società umane? Le società umane da sempre sono più complesse rispetto a quello che fanno nella vita per sopravvivere e questa cosa emerge moltissimo nelle chiacchiere da bar che facciamo tutti i giorni, ci sono moltissime persone che giustamente non vogliono chiedere ‘cosa fai nella vita?’ perché è una domanda che sminuisce quello che siamo come persone. Abbiamo applicato questa categoria, che è la nostra dall’ottocento in poi, per studiare i fenomeni antichissimi e abbiamo deciso di dividere il mondo tra raccoglitori-cacciatori e agricoltori, come fosse quello a definire effettivamente l’umanità. Siamo più ricchi e complessi di così, non dimentichiamocelo.”
Joe Casini: “Bellissimo, ora però voltiamo un po’ pagina. Ti volevo fare un paio di domande su un tema molto importante che tu da un po’ tratti spesso che è quello della morte e del lutto. è un tema molto importante perché come sempre nelle cose dolorose tendiamo a rimuoverli ma crea poi una serie di altre problematiche. La domanda che ti volevo fare è: come mai sul tema della morte e del lutto c’è una sorta di tabù? Molte culture con la morte hanno un rapporto molto più “vicino”, noi in qualche modo l’abbiamo sempre più allontanata, codificata, messo una distanza, ed è un tema che si maneggia con difficoltà. Ho questa impressione.”
Carolina Boldoni: “Ti ringrazio per questa domanda. Diciamo che sono molte e sono complesse le ragioni per cui abbiamo e stiamo allontanando sempre di più la morte da noi. Uno dei motivi principali è perché abbiamo deciso di medicalizzare la morte, non sto facendo una critica alla medicalizzazione perchè ben venga che siano medicalizzati momenti dell’esistenza se questo significa renderli meno dolorosi, sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista emotivo, questo però inevitabilmente ha portato ad allontanare i morenti dalla nostra società perché nel momento in cui decido di mettere il morente all’ospedale invece di farlo stare a casa questo implica tutta una serie di cose tra cui il fatto che se in passato i parenti, il paese, i vicini stavano sul letto del morente adesso non possono più farlo, quindi abbiamo proprio allontanato il corpo morente da noi. Al di là del fatto che poi, per esempio, dal punto di vista medico purtroppo molto spesso all’interno della medicina la morto del paziente è considerata una sconfitta. Da un certo punto di vista possiamo capire il perché, dato che con il processo scientifico determinate morti sono considerate delle sconfitte, dall’altra però vuol dire che ci stiamo dimenticando che noi siamo degli essere mortali e questo è parte della nostra identità e di quello che siamo. Prima tu dicevi ‘abbiamo allontanato la morte’, da questo punto di vista ci tengo a chiarire che dipende da quale società stiamo parlando perché, te lo dico in termini molto banali, io due mesetti fa ho fatto una serie di contenuti sulla morte in occasione dei giorni dei morti, ho deciso di fare una settimana in cui facevo contenuti solo a tema morte e inoltre facevo questo reel in cui dicevo ‘cosa penseresti se il tuo vicino di casa vestisse le persone che muoiono?’, in realtà quel contenuto faceva riferimento ad una pratica culturale del sud-est asiatico, però anche oggi a più di due mesi dalla pubblicazione di quei contenuti mi scrivono tantissime persone soprattutto del sud italia che mi dicono ‘nel mio paese è normale vestire i morti’ ‘è normale farlo in famiglia invece di farlo fare alle agenzie di pompe funebri locali’. Quindi anche in questo senso, soprattutto in Italia, abbiamo una forte distinzione tra quello che succede al nord e quello che succede al sud, non dimentichiamoci che il ‘noi’ italiano è molto complesso e molto ricco e vale la pena ricordarselo.”
Joe Casini: “Quando parliamo di cultura italiana ci dimentichiamo che fino a 100 anni fa non parlavamo neanche tutti la stessa lingua. Siamo in chiusura e l’ultimissima domanda che ti voglio fare è la domanda ‘del furto’. Quindi ti domanda: qual è l’idea che vorresti rubare a un ricercatore/scienziato/autore?”
Carolina Boldoni: “Bella domanda. Ti dico la prima cosa che mi è venuta in mente che in realtà non c’entra con l’antropologia. Negli ultimi anni ho letto alcuni libri che riguardano il mondo dei funghi che mi hanno fatto impazzire perchè più ci addentriamo nel mondo dei funghi più ci rendiamo conto che in realtà sono antichissimi e sono una specie che si connette con qualsiasi cosa che ha intorno. In particolare ho letto il libro di Merlin Sheldrake, biologo inglese, che ha scritto ‘l’ordine nascosto’ in cui descrive il comportamento dei funghi e come questi si connettono con specie molto diverse da loro e riescono proprio a comunicare e creare delle reti miceliari che sono pazzesche, le hanno addirittura copiate per crearci le reti peer to peer in informatica. Addentrandoci in questa questione io credo che mi sarebbe molto piaciuto essere Hofmann quando ha scoperto la molecola dell’LSD, non tanto il viaggione che ha fatto perché quello credo deve essere stato una pesata perché ha preso una quantità enorme di sostanza, però diciamo scoprire quella molecola forse l’avrei voluto fare io.”
Joe Casini: “Ti dico la verità, non era il tipo di risposta che mi immaginavo ma è bellissimo così. A questo punto siamo in chiusura e a proposito di riti e noi qui chiudiamo con la domanda tra gli ospiti, quindi ti propongo tre ospiti e tu potrai sceglierne uno per scoprire quale domanda ha lasciato. Ti chiederò poi se vorrai fare lo stesso e quindi di lasciare una domanda per i prossimi ospiti. Il primo ospite è Nicolas Lozito, giornalista che scrive su ‘La Stampa’ e si occupa soprattutto di ambiente e abbiamo parlato con lui di giornalismo e ambientalismo. Il secondo è Alessandro Vespignani, a capo del Northeastern Network Science Institute di Boston e quindi abbiamo parlato di reti sociali facendo anche riferimento al Covid. L’ultimo è Adrian Fartade con lui abbiamo aperto la terza stagione e abbiamo parlato di astronomia e non solo, dato che è filosofo. La domanda che ti faccio è di questi tre ospiti quale ti incuriosisce di più?”
Carolina Boldoni: “Adrian lo seguo mi piacerebbe molto però mi interessano anche le reti. Vado con Adrian.”
Joe Casini: “Se gli alieni venissero sul nostro pianeta e tu fossi la persona scelta dalla specie umana per parlare con il primo alieno che arriva sulla Terra, tu come comunicheresti e cosa gli vorresti comunicare come primissima cosa?”
Carolina Boldoni: “Bellissima domanda perchè mi fa venire in mente The Arrival, uno dei miei film preferiti, praticamente arrivano gli alieni e mandano un’antropologa linguista a cercare di capire come si parla. Io amerei se succedesse una cosa del genere. Io credo che inizierei portando qualcosa in dono, facendoli sentire benvenuti, facendogli capire come viviamo noi, ad esempio da mangiare e da bere e magari un foglio e una matita per capire se da li si riesce a partire per una comunicazione o meno.”
Joe Casini: “Sei la prima che risponde a questa domanda, sicuramente il tema del dono è molto bello, mi veniva in mente le scene di come con i doni hanno accolto i nativi americani e gli europei anche se non è andata a finire molto bene però speriamo che in quest’altra occasione l’esito sia diverso. A questo punto hai la possibilità di lasciare tu una domanda.”
Carolina Boldoni: “Una domanda che mi piace spesso fare per conoscere le altre persone è chiedere: quali sono i tuoi maestri e perché proprio loro? Cosa ti hanno lasciato?”
Joe Casini: “Bellissima. Siamo arrivati in conclusione il tempo è volato, ti ringrazio per essere stata nostra ospite.”
Carolina Boldoni: “Ringrazio io te perchè non mi aspettavo domande così precise e puntuali, mi sono anche un po’ sfogata quindi grazie.”
Joe Casini: “Do appuntamento tra due settimane con una nuova puntata di Mondo Complesso, vi auguro una buona domenica.”