Una chiacchierata con Alessandra Benevolo, responsabile HR di Ipsen, per parlare delle sfide che attendono gli HR nelle aziende dopo la pandemia Covid-19.
Joe Casini: “Buongiorno e buona domenica e benvenuti alla nuova puntata del podcast di mondo complesso; il podcast che cerca di raccontare la complessità del mondo in cui viviamo, lo facciamo come al solito cercando di integrare un po’ i saperi e le esperienze e vi ricordo, prima di cominciare con l’ospite di oggi che oltre al podcast mondo complesso è anche una newsletter e trovate tutte le informazioni sul sito Zwan o sul sito Mondocomplesso.it. Detto ciò do il benvenuto all’ospite di oggi che è la dott.ssa Alessandra Benevolo.”
Alessandra Benevolo: “Ciao Joe, buongiorno a tutti.”
Joe Casini: “Alessandra Benevolo è direttrice risorse umane e country service di Ipsen Italia che è un’azienda che negli anni, in particolare in questi ultimi anni, ha espresso un’attenzione forte nelle attività a sostegno per la crescita dei propri dipendenti, questo supporto ha avuto una serie di premi, la stessa Alessandra è stata inserita premio donne nel lavoro, direttore HR dell’anno per Pharma e le fonti Awards. Un’esperienza importante che oggi racconteremo insieme per soffermarci in particolare su quello che è successo negli ultimi due anni nelle aziende e per tutti i lavoratori. Alessandra prima di cominciare nel fFormat abbiamo due-tre momenti ormai rituali: il primo in apertura che è una domanda semplice che mi piace fare perché sembra semplice poi però nella risposta spesso escono fuori spunti di riflessione interessanti. La domanda che ti vorrei fare è: di cosa si occupa esattamente un responsabile HR in azienda?”
Alessandra Benevolo: “Non è semplice per niente, per cercare di semplificartela ti direi si occupa delle persone con un’evoluzione nel tempo, fortunatamente dal mio punto di vista, nel senso che io ormai lavoro nel mondo HR da più di vent’anni. Siamo passati da un’attività di sponda passiva a quelle che erano le esigenze dei manager per arrivare a quello che oggi il contesto consente di fare, chiaramente a chi decide di andare in una certa direzione, che come io amo dire è occuparsi del benessere organizzativo delle persone. Una persona serena di default lavora in maniera non maggiore, ma lavora in maniera più proficua, è più disponibile ad affrontare il continuo cambiamento a cui siamo esposti, è più forte nei confronti di eventuali momenti di stress. C’è tutto un sistema che va tenuto in considerazione sulla persona in primis, oltre che sul professionista che è certamente interesse di realtà. Io credo che il valore distintivo più importante di Ipsen sia proprio questo: il riconoscimento dell’individuo. Non abbiamo dei professionisti, dei dipendenti dalle 9 alle 5, ammesso che possa avere ancora un senso ragionare con un orario di questo tipo, abbiamo degli individui che hanno una sfera personale e una sfera professionale non scindibili perché siamo un tutt’uno, quindi nel momento in cui ci si occupa dell’individuo ci si occupa sia della persona che del professionista.”
Joe Casini: “Parlavi di benessere organizzativo, ecco cos’è successo in questi due anni? Purtroppo lo sappiamo bene e l’abbiamo vissuto tutti sulla nostra pelle, mi interessava moltissimo raccontare cosa ha fatto Ipsen in questi due anni. Torniamo indietro con l’orologio: siamo a febbraio 2020…”
Alessandra Benevolo: “Allora siamo a febbraio 2020. Guarda te la personalizzo non per manie di protagonismo ma perché credo che sia simbolica la cosa. Io ero in montagna, essendo un weekend di febbraio è capitato che fossimo in montagna, la Lombardia comunica più o meno tra le 20 e le 21 che chiude i confini e la mia reazione è stata quella di dire «Ok, prendiamo marito, figlio, cani e torniamo a casa perché lunedì dobbiamo essere in ufficio» e questo col senno di poi, ovviamente perché è stata una reazione emozionale, era proprio sintomatica di quanto la presenza fisica fosse così impossibile da disgiungere con il concetto di lavoro. La prima cosa che abbiamo fatto è stata di mettere tutti i dipendenti a casa, la situazione dal nostro punto di vista era talmente critica e poco governabile, perché in realtà ci si capiva ben poco, perlomeno all’inizio, che non ci siamo sentiti assolutamente di esporre le nostre persone. Come dicevi tu prima, Ipsen è una biotech farmaceutica, questo vuol dire che più del 50% delle nostre persone lavorano nel field e lavorano all’interno degli ospedali indipendentemente che siano enti pubblici o enti privati, quindi assolutamente non li volevamo esporre. Per quanto riguarda i colleghi che lavorano invece negli uffici, noi abbiamo un’unica sede a Milano, per loro la riflessione è stata «però hanno delle famiglie»… un po’ il discorso che facevamo prima: la persona oltre che il professionista. Non possiamo metterci nelle condizioni che qualcuno a cui abbiamo richiesto di venire a lavorare abbia poi delle conseguenze all’interno del proprio nucleo familiare. La gestione è stata molto diversa, nel senso che le persone che lavoravano in ufficio hanno semplicemente traslato le attività dalla scrivania al tavolo di cucina, della sala, dello studio e quindi hanno più o meno continuato a lavorare; dall’altra parte, però avevamo i colleghi di field che in quanto tali tra quattro mura soffrono e quindi ci siamo un po’ interrogati. Allora è brutto da dire però da un punto strettamente tecnico HR, per me la pandemia è stata una grossissima opportunità perché noi abbiamo accelerato in maniera molto sensibile, quella che era la progettualità di Learning & Development.”
Joe Casini: “Hai anticipato una delle domande che ti avrei voluto fare: posto che quando ci sono questi eventi così epocali poi spesso accelerano comunque cambiamenti in qualche modo già in atto, la domanda che ti volevo fare era se secondo te c’è stata più una reazione o un’accelerazione? Avere comunque una struttura già più agile, più flessibile, ha dato la possibilità di adattarsi anche più rapidamente ai cambiamenti, laddove magari una struttura più rigida avrebbe avuto più difficoltà?”
Alessandra Benevolo: “La cosa che abbiamo fatto è stato progettare velocissimi una Learning & Development Academy rivolta a tutta la popolazione dove c’era una parte più tecnica e pensata. Loro ci hanno detto «ci fate tornare sui banchi dell’università», perché era pensata come moduli su tutti i nostri prodotti e su tutti i nostri farmaci per capire individualmente se c’erano e dove erano eventuali gap di conoscenza del farmaco in modo da utilizzare questo tempo per colmare questi gap. Mentre su tutti quanti abbiamo attivato tutta una serie di moduli formativi pensando fondamentalmente ad offrire qualcosa che fosse di immediato supporto alle persone, ma di dargli al tempo stesso qualcosa che potesse essergli utile anche quando saremmo tornati a lavorare in presenza. Quindi gli abbiamo offerto ad esempio un percorso di mindfulness, dei corsi di gestione dello stress, dei corsi di come si lavora e come ci si gestisce in un mondo che è in continua evoluzione, in un contesto fluido, e devo dire che l’adesione mi ha sorpreso. Il primo modulo che è partito era il modulo della mindfulness, 10 appuntamenti di un’ora uno alla settimana con un professionista, ovviamente in modalità remota che però faceva una seduta di mindfulness a tutte quante le persone e ricordo che con le colleghe che mi aiutano nella parte di Learning & Development si diceva «si collegheranno quasi tutte donne e fatto 100 la nostra popolazione avremo un adesione, ma se siamo fortunati 60-70%» e invece abbiamo mandato in crash la piattaforma! Al di là della soddisfazione per aver offerto un contenuto che è stato valutato positivamente, è stato proprio un passaggio culturale per tutti quanti, cioè abbiamo il dovere e il diritto di occuparci delle nostre persone e quindi lo abbiamo fatto per tutto il 2020.”
Joe Casini: “Questa è una cosa che mi ha colpito molto quando ho letto l’attività che avete fatto e come l’avete integrata. Spesso c’è molta resistenza: apprendere a usare Excel te lo insegna l’azienda perché è uno strumento di lavoro, se si parla di imparare a lavorare in gruppo invece è un problema tuo, caratteriale e personale. Secondo te è una questione culturale? Come mai facciamo tutta questa fatica secondo te?”
Alessandra Benevolo: “Intanto io voglio vedere il bicchiere mezzo pieno. Secondo me di fatica in questi due anni abbiamo imparato a farne di meno, ci siamo concessi il permesso e abbiamo legittimato il fatto che l’azienda si occupi anche della sfera personale e abbiamo accettato, come dipendenti, anche dei supporti di tipo personale. Dopodiché perché la nostra cultura è più indietro rispetto ad altre culture, secondo me è un po’ atavica la cosa, cioè se tu pensi quando il il bimbo va scuola fa il disegno male la maestra gli dice «guarda che hai fatto il disegno male» si scatena la mamma, la nonna, la bisnonna, la zia perché il percepito è «hai detto che il mio bambino non è bravo». No, ho detto che il disegno è fatto male che non c’entra niente col fatto che il tuo bambino non sia bravo. Noi facciamo tanta fatica a mescolare o a tenere divise a seconda delle interpretazioni queste cose e quindi facciamo tanta fatica anche ad accettare che ci sia una condivisione di questa sfera in ambito professionale. Non è una questione di budget, non è vero che solo le aziende grandi possono fare delle politiche, possono mettere in piedi delle attività di questo tipo, perché hanno risorse da questo punto di vista. Noi abbiamo, come forse ti dicevo in altre occasioni, circa 140 dipendenti e va tutto di conseguenza, ovviamente siamo una filiale di una multinazionale estera, quindi non abbiamo dei budget faraonici, ma ripeto, non è un tema di budget è un tema di crederci davvero, di dare l’esempio dall’alto e da questo punto di vista io mi considero fortunata perché il leadership team con cui lavoro è assolutamente allineato su questa cosa, e di comportarsi di conseguenza, di essere consistent come direbbero gli inglesi di essere coerenti tra quello che dice è quello che si fa.”
Joe Casini: “Come valuteresti il ROI su questo tipo di attività? Cioè investiamo sulla crescita delle persone, è intuitivo pensare che ovviamente lavoratori che sono le persone più serene possono lavorare meglio, più efficaci, con più competenze relazionali è intuitivo dire che quindi producono anche di più, ma come poi si va a valutare nel medio lungo periodo, ma anche nel breve, questi investimenti dal punto di vista aziendale e che tipo di ritorno poi ci sono? Non so se c’è qualche indicazione o qualche numero che vuoi condividere.”
Alessandra Benevolo: “Allora i numeri sono quelli negativi del turnover, nel senso che Ipsen ha un turnover scandalosamente basso come mi fanno notare i colleghi global quando ci confrontiamo su queste cose. Ha un’età anagrafica di appartenenza all’azienda altissima, cioè sono sono tanti i colleghi e, man mano che passano gli anni, è un fenomeno che si incrementa da solo, che vanno in pensione Ipsen e che hanno fatto praticamente tutta la loro carriera.
Joe Casini: “La quitting economy a voi non ha ancora toccato”
Alessandra Benevolo: “No, direi di no. Quello per me è un elemento che indica che da noi stanno bene. Il ritorno sul business non ti saprei dare dei numeri, però ecco vedo che lavorare in team piuttosto che essere disponibili a fare il pezzo in più perché il collega, come dicevi tu prima, ha un momento di fatica suo personale o mettersi in gioco quando c’è da fare qualcosa che è un extra rispetto al tanto che già tutti quanti facciamo viene, non solo fatto, ma viene fatto molto serenamente, molto spontaneamente.”
Joe Casini: “Ci sono oggi delle richieste, anche frutto di questi due anni, secondo te nuove che i lavoratori avanzano? Magari delle richieste diverse anche a livello di welfare, che può essere assenza sanitaria o richieste particolari di servizi maggiori o in termini formativi? È cambiata anche la domanda da parte dei lavoratori, si sta muovendo anche lì qualcosa?”
Alessandra Benevolo: “Partiamo dal welfare, noi avevamo un’offerta welfare prima della pandemia ed era un’offerta direi già ben articolata. Quindi lì non ho visto delle richieste particolari detto che noi continuiamo a manutenerla, farla evolverla soprattutto nell’ottica di capire quali sono i bisogni dei nostri colleghi. Quello su cui stiamo lavorando molto è quando le cose saranno un pochino più serene e quindi ci sarà una possibilità di rientrare negli uffici perché in realtà i colleghi di field sono quasi a regime. Questo perché, come ti dicevo, veniamo da un’esperienza pre-pandemia in cui eravamo già su questo binario, il post-pandemia vorremmo conservare e valorizzare la flessibilità che è stata definitivamente sdoganata, non ci sono più alibi, non è vero che il collaboratore lavora solo se ce l’hai nell’ufficio accanto o nella postazione accanto e lo tieni sotto controllo piuttosto direi che si potrebbe pensare a un deficit, ma in senso positivo, nel senso di un gap per i people manager che devono apprendere a fare un tipo di gestione che prima magari non facevano.”
Joe Casini: “Un tema sul quale insistiamo molto anche sul podcast è proprio quando la cultura diventa abilitante per il cambiamento. Posto che una situazione in cui tutti si sta agli uffici, lo stesso orario, stessi giorni è una situazione più semplice da gestire per tutti, nel momento in cui uno la va a prendere più complessa dando la possibilità di stare a casa, diventa più complesso per tutti e quindi se hai gli strumenti culturali-tecnici per gestirla sia come chi fa management, sia per i lavoratori, tutti ne traiamo beneficio. Per contro se non hai questi strumenti vieni travolto perché se non sai gestire collaboratori che stanno distanti e allora il problema è produttivo, al contrario se sei un lavoratore e hai la possibilità di stare a casa ma non hai ad esempio gli spazi, è una situazione più complessa, come lavoratore magari ne esci addirittura svalutato perché produci di meno, semplicemente perché hai delle difficoltà diverse che ti mettono in crisi…”
Alessandra Benevolo: “Noi stiamo lavorando fondamentalmente su tre filoni. Per quanto riguarda i people manager stiamo lavorando su quella che adesso va di moda chiamare la remote leadership, che vuol dire riesco a fare il capo anche se non ce li ho nella postazione a fianco. Non è un lavoro difficile, però certamente è una dimensione diversa rispetto a quella su cui si agiva prima, per cui bisogna spingere di più su certe modalità, mi invento modi di stare in contatto con le mie persone di cui prima non avevo bisogno perché mi alzavo dalla sedia «scusa mi dici, mi fai, facciamo, eccetera» piuttosto che altre cose e devo dire che i people manager che hanno team da sempre sul territorio, ovviamente non si pongono neanche il problema loro ci sono nati con questa modalità di gestione ed è molto interessante perché aiutano gli altri a capire e svilupparla a loro volta. Per quanto riguarda i colleghi, come dicevi giustamente tu, fondamentalmente le posizioni sono due: ci sono quelli che vogliono assolutamente tornare in ufficio, a partire dalla sottoscritta, io mi definisco un animale da ufficio, perché ci stanno meglio, perché hanno una dimensione sociale, anche di propria identità che non è soltanto all’interno della famiglia, perché non ha una postazione tranquilla, perché non hanno una casa abbastanza grande, e ci sono quelli che invece, banalmente, abitano lontano dall’ufficio e lavorano da casa si risparmiano le tre ore di macchina al giorno che non è così raro. Quindi stiamo cercando di capire, come ti dicevo prima, in che modo declinare la flessibilità per venire incontro un po’ a tutti quanti.”
Joe Casini: “Il tempo è volato, ci stiamo avvicinando alla conclusione della puntata. Intanto ti ringrazio Alessandra per il contributo e per l’aver partecipato. Il finale di puntata da format ha due momenti. il podcast si chiama mondo complesso e una delle cose che noi proponiamo è l’interconnessione dei saperi, così facciamo fare una domanda tra gli ospiti della puntata così incateniamo le puntate l’una con l’altra. Nella puntata precedente abbiamo fatto una chiacchierata con Guido Scorza, Garante della privacy il quale ha lasciato una domanda per te, ovvero voleva fare una riflessione sul rapporto che c’è tra l‘intelligenza umana e l’intelligenza artificiale perché lui dice che c’è questa narrativa che ormai è decennale ma che ciclicamente esce fuori, di come l’intelligenza artificiale – ma in generale i nuovi strumenti tecnologici – possa diventare un nemici dei lavoratori, quando per contro può essere anche un fattore abitante. La domanda quindi è: come si governa l’ingresso di queste tecnologie in azienda? Credo che in generale se non viene promossa una crescita umana lì si vanno a creare dei problemi, cioè se io sono un dipendente e arrivano i computer negli anni ‘80 e non vengo messo nella condizione di usare il computer, per me quello diventa il nemico ed effettivamente poi mi può creare problemi a mantenere il mio posto di lavoro.”
Antonella Benevolo: “Una domanda molto bella perché mi fa tornare all’inizio, all’apertura, a considerare la persona e il professionista. Ti faccio un esempio concreto: digital transformation sulla bocca di tutti, noi abbiamo impostato un percorso di apprendimento sulla digital transformation che però fosse funzionale sia alla persona che al professionista. Abbiamo identificato delle popolazioni diverse che hanno certamente un know-how di competenza diversa, ma noi ci siamo focalizzati, soprattutto, sull’attitudine mentale. Perché come sempre, cioè come funziona Excel, te lo posso insegnare, la disponibilità mentale a fare acquisti in rete faccio molta più fatica e quindi lavoriamo in relazione ai ruoli sull’attitudine delle persone. Ci sono dei mondi in cui possiamo, anche qui, darci il permesso, autorizzarci a dare alle persone una serie di strumenti che consenta loro di vivere in questo mondo senza però essere massimi esperti di intelligenza artificiale.
Joe Casini: “E per portare avanti questa catena a questo punto è il tuo turno. Nella puntata avremo ospite il professor Derrick de Kerckhove, un sociologo che si occupa soprattutto del dopodomani, neanche del domani, quindi è una persona visionaria, quelli che alcuni chiamano futurologi, ma in particolare su aree di ricerca c’è tutto il tema dell’intelligenza artificiale. Con De Kerckhove parleremo anche di metaverso. C’è una sua frase che mi ha sempre colpito molto e molto sfacciatamente me la rivendo ogni volta che posso che dice «nell’era dei Big data più che la capacità di dare risposta conterà la capacità di fare le domande», nel senso che per le risposte ormai abbiamo i dati un po’ per tutto, ma dobbiamo imparare a fare le domande giuste. C’è una domanda che vorresti lasciare su questo tema e quindi sulla direzione su cui stiamo andando al professore De Kerckhove?”
Alessandra Benevolo: “A me piacerebbe avere degli spunti di riflessione da una persona che, come definitivi tu, è un po’ più avanti, guarda con una prospettiva più ampia. Quando e come riusciremo a ottimizzare il nostro mercato del lavoro? Ormai sono tantissimi anni in cui abbiamo tutto il mondo dei giovani che è ai margini del mercato del lavoro, ma non per loro scelta, e tutto il mondo persone più avanti con gli anni a cui è richiesta una permanenza, a volte anche meno produttiva. Queste due cose non riusciamo a farle parlare insieme e al di là del pensare, che non è giusto c’è proprio un tema di sostenibilità del sistema, per cui bisognerebbe trovare il coraggio, la visione per ridefinire le regole del gioco e l’intelligenza artificiale. Il virtuale da questo punto di vista secondo me potrebbe aiutarci molto perché, sempre dal mio punto di vista, è un abilitatore e non un pericolo per le persone.”
Joe Casini: “Grazie Alessandra per la domanda e per aver partecipato alla puntata. Io saluto ovviamente tutti quelli che ci hanno ascoltato e do appuntamento alla prossima puntata del podcast e vi ricordo che se volete ricevere anche la newsletter trovate tutte le informazioni sul sito Zwan e su mondocomplesso.it. Buona domenica a tutti.”