Con il giornalista Alessandro Sahebi parliamo di reddito, ricchezza e delle disequità che le storture del capitalismo generano nelle nostre società.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica, benvenuti alla nuova puntata di Mondo Complesso. Abbiamo come ospite Alessandro Sahebi quindi per prima cosa benvenuto Alessandro!”
Alessandro Sahebi: “Buongiorno agli ascoltatori di Mondo Complesso e grazie per l’invito.”
Joe Casini: “Alessandro è giornalista e si occupa in particolare di lavoro, disuguaglianze, questioni di reddito, quindi affronteremo tutta una serie argomenti che credo appassioneranno molto. Poi Alessandro in particolare utilizza moltissimo Instagram, si occupa anche di digital strategy… insomma, riesce a rendere questi argomenti anche molto divulgativi e quindi ti farò anche qualche domanda su come i social ci possano in qualche modo aiutare per sviluppare discorsi in questa grande piazza in cui, volenti o nolenti, siamo un po’ tutti catapultati! Come prima cosa per cominciare facciamo quella chiamiamo «la domanda semplice», ovvero una domanda molto ampia che da la possibilità all’ospite di fare il primo passo nella direzione che preferisce. La domanda che ti volevo fare io è: tu parli spesso di disuguaglianze, di giustizia sociale, questioni di reddito, cos’è secondo te una società giusta?”
Alessandro Sahebi: “Tutt’altro che domanda semplice mi verrebbe da dire. La società giusta secondo me è quella che è in grado di riconoscere l’individualità delle persone, che è un qualcosa di molto diverso dal concetto di individualismo che invece domina non soltanto la narrativa, ma anche l’impianto cognitivo con cui siamo abituati a vivere. L’individuo secondo me riesce a esprimere al meglio se stesso, la propria creatività, il proprio potenziale, anche le proprie esigenze, la sua capacità di amare, se e solo se ha una comunità, una collettività che lo supporta in questo. Quindi l’importanza della persona è sicuramente punto d’inizio e punto di arrivo di un ragionamento politico che dovrebbe fare qualsiasi buona società, ma non si può prescindere dalla collettività. È un pensiero sicuramente più sociale rispetto a quello che domina oggi la narrativa mainstream.”
Joe Casini: “Hai toccato uno dei temi che noi chiaramente qui tocchiamo sempre per il fatto di essere interconnessi anche come individui nella società. Noi qui parliamo di complessità e parlando di complessità ci sono un serie di fenomeni che, in qualche modo, sono ricorrenti a prescindere dalla natura dei sistemi che si osservano. Uno di questi aspetti è il cosiddetto «effetto San Matteo»: per chi non lo conosce, è quell’effetto che vede dare di più a chi già ha di più. Questo è un aspetto peculiare di moltissimi sistemi, è un aspetto in realtà che mi porto anche a farti una domanda, visto che tu spesso poi parli appunto di quanto sia disuguale ma anche i problemi che crea questa accentramento di ricchezza e di potere nelle mani di pochi. Tu addirittura dici che è «immorale» essere multimiliardari, questo è un tema appunto molto ricorrente, se ne parla sia a livello di individui sia a livello di concentrazione di potere su grandi corporation. Come vedi, dal tuo punto di vista, questo fenomeno di forte accentramento di potere e ricchezza che sempre più spesso si verifica nelle mani di pochi?”
Alessandro Sahebi: “È un fenomeno complesso, noi possiamo dire che dagli anni Ottanta ad oggi la ricchezza come valore è diventata assoluta – nel senso più etimologico del termine – absolutus, sciolto da qualsiasi vincolo morale. Più una persona è ricca, più una persona è apprezzata. Se il problema fosse solamente che chi è ricco ha il jet privato, lo yacht o la Ferrari, in se non rappresenterebbe un problema morale… ma lo diventa, l’hai anticipo tu, in un sistema in cui il potere economico va a braccetto con il potere politico e troppo accentramento di potere economico significa una distorsione anche dei processi democratici. Oggi noi sappiamo che le aziende hanno accesso a canali preferenziali per parlare con le istituzioni. Questo succede a Roma, a Bruxelles, a Washington, in qualsiasi capitale. Hanno la capacità di influenzare l’opinione pubblica, a volte direttamente comprandosi l’editoria, a volte indirettamente. C’è questo problema, ed è un problema di democrazia. Poi se vogliamo spostarci in un campo prettamente morale, anche solo l’affermare che ci sono degli individui – pochi – che hanno molto di più di quello che è loro necessario a fronte di miliardi di individui, ed è un numero in aumento, che non riesce ad avere le condizioni minime dignitose per condurre un’esistenza decente… già questo è un problema morale che dovrebbe farci riflettere. Perché esiste un limite sotto il quale noi non riteniamo accettabile la povertà, e perché non esiste un limite sopra il quale noi non dovremmo ritenere la ricchezza una vera e propria vergogna della nostra società?”
Joe Casini: “Parlando di ricchezze, ma parlando di reddito più che altro, credo che nei paesi OCSE negli ultimi trent’anni l’unico paese che ha visto diminuire i propri stipendi è il nostro paese, mentre altri paesi europei simili ai nostri hanno visto aumentare questi stipendi del 60, 50, 30%. Noi siamo l’unico che in qualche modo ha visto addirittura diminuire il livello medio degli stipendi, questo mi porta a farti un’altra domanda… abbiamo parlato spesso in questo podcast di crisi, perché il momento in cui viviamo è un momento ricco di crisi e perché le crisi spesso sono crisi sistemiche, mentre in un approccio un po’ semplicistico tende invece a compartimentarle: c’è una crisi che è una crisi sanitaria, c’è la crisi legata alla guerra, mentre in realtà queste crisi sono interconnesse. Ne parlavamo anche in una delle puntate precedenti a proposito di scuola con Antonello Giannelli. Quanto, in questo senso, la questione del reddito è una questione che si va a legare a come vengono gestite le varie crisi tra di loro? Mi spiego meglio: viviamo in un momento in cui abbiamo avuto una crisi sanitaria, ora un questione legata alle questioni economiche per l’approvvigionamento del gas e così via. Quanto il fatto di avere una popolazione spesso fortemente stressata dal punto di vista economico poi incide, secondo te, nel mondo in cui riusciamo ad affrontare a livello sistemico la situazione?”
Alessandro Sahebi: “Due risposte: poco e tanto. «Poco» perché da una parte alcuni economisti tra cui Thomas Piketty, anche nel suo ultimo lavoro, ci dimostrano che il potere del reddito rispetto al patrimonio è sempre minore. Cosa vuol dire questo? che se negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta una persona anche provenendo da classi poco abbienti poteva sperare con il proprio lavoro di migliorare la propria condizione. Oggi sappiamo che il reddito da lavoro, quindi quello fondamentalmente di quando andiamo a fare la nostra mansione e il nostro mestiere, ci permette sempre di meno di emanciparci, di autodeterminarci, a discapito del patrimonio. Il patrimonio è un concetto molto ampio, sicuramente sono molto grossolano nel definirlo, però si parla della ricchezza come può essere il possedere delle case, ottenere una grossa eredità, ottenere rendite finanziarie che possono essere definite «patrimonio». In questo senso per chi viene appunto delle classi inferiori è sempre più difficile riuscire a salire su questo ascensore sociale, non a caso si dice che l’ascensore sociale si è rotto. «Tanto» perché ovviamente per queste persone qui, legate alle catene del «bisogno-necessità» e che hanno come unica fonte di ricchezza il reddito, il reddito è tutto. Quindi non riuscire ad avere uno stipendio dignitoso e uno stipendio non solo a livello materiale, ma anche che materialmente possa riconoscere il lavoro che ho fatto, crea una serie di problemi sia strettamente connessi alla scarsità – quindi la «non capacità» di pagare le bollette, la non capacità di pagare il mutuo o l’affitto, la sempre maggiore difficoltà che gli italiani hanno a consumare, banalmente – sia alcune conseguenze immateriali come l’ansia, la depressione, il senso di frustrazione che abbiamo nell’andare tutto il giorno al lavoro e spendere tanto del nostro tempo… per cosa? Per arrivare giusti giusti alla fine del mese, per non riuscire neanche a mettere via i soldi. E se dovesse capitare un imprevisto cosa faccio? Questa condizione di precarietà è sempre più ampia tra le fasce della popolazione e, va detto, soprattutto tra i giovani che entrano in un mondo del lavoro in una società che non tutela gli individui, come ho detto prima, in una società che implicitamente sta strappando il tessuto sociale e noi sappiamo che quando il tessuto sociale si strappa diamo spazio poi a forme politiche pericolose.”
Joe Casini: “Ora mi è venuto in mente, visto che ti seguo sui social, un argomento sul quale mi sembra torni spesso che è il reddito di cittadinanza. Tu che opinione hai del reddito di cittadinanza? Che effetti possa avere a livello sistemico, perché nella società poi spesso la questione viene liquidata in due fazioni. Chi non ne ha bisogno dice che porta la gente ad «impigrirsi», si parla di quanto la gente poi va a cercare lavori, lavori spesso sottopagati. Cosa ne pensi?”
Alessandro Sahebi: “È un rapporto difficile, sono tendenzialmente contrario ma non per la litania tipica, per cui renderebbe le persone più pigre o si presterebbe alle furberie… che poi dico sempre dobbiamo deciderci: o il reddito di cittadinanza ci rende pigri o non ho capito perché ci lamentiamo che poi le persone facciano anche un secondo lavoro. Siamo pigri o vogliamo di più e siamo ingordi? Non si riesce mai a capire qual è la lamentela vera! Ci sono alcuni limiti strutturali, ovviamente analizzarle tutte adesso sarebbe problematico però io la inserisco in quelle che vengono definite «poor laws» ovvero leggi fatte per i poveri. Di solito sono le leggi un po’ tampone, tante volte neanche sufficiente, nei confronti della povertà senza porsi il problema di cosa sia la povertà. La povertà è una sbagliata e ingiusta distribuzione della ricchezza a livello globale, quindi fare delle leggi solo per la povertà senza rimettere in discussione la ricchezza è, secondo me, di principio estremamente sbagliato.Prendere il reddito cittadinanza vuol dire autodenunciarsi di fronte alla società, essere soggetto a una serie di controlli prima, durante e anche dopo il rapporto che hai avuto con lo Stato in termini di reddito cittadinanza e significa implicitamente affermare «tu sei un lavoratore insufficiente», tu non hai lavoro perché non ti sei impegnato abbastanza, tu non hai lavoro perché non ti sei formato abbastanza. Chiaramente le persone si umiliano ancora di più, cominciano a credere ancora di meno nelle loro capacità e quindi finiscono in un vortice, un circolo vizioso negativo, per cui dalla povertà fanno fatica ad uscire. Dobbiamo avere un rapporto ben diverso con il fenomeno. Il fenomeno, come ho già detto, non è semplicemente inscrivibile nella responsabilità dell’individuo… a volte sì, a volte è vero che è colpa delle persone, ma il più delle volte il contesto in cui viviamo fa la differenza. Non a caso il reddito di cittadinanza ha molte più richieste in modo estremamente squilibrato al Sud Italia dove sappiamo esiste un contesto socio-economico molto particolare.”
Joe Casini: “Non so tu come la vedi, ma secondo me in questi ultimi trent’anni c’è stato l’assunto dopo la caduta del muro di Berlino che la diffusione del capitalismo si sarebbe accompagnata a una maggiore democratizzazione. Da dieci anni a questa parte vediamo come ci sono sistemi autoritari, ad esempio la Cina ma anche la Russia, che invece vanno a braccetto con il capitalismo e che sono tutt’altro che democratici. Quindi la prima cosa che ti volevo chiedere è se secondo te il capitalismo è effettivamente un motore che ha la capacità non solo di democratizzare, ma anche di promuovere la crescita individuale. La seconda domanda è: come vedi questa fase che stiamo vivendo a livello globale come società e quanta capacità abbiamo noi di cambiarle queste regole.”
Alessandro Sahebi: “Allora diciamo che ci vorrebbe innanzitutto una sana conoscenza del concetto di democrazia. Ritorno alle polis greche antiche: democrazia voleva dire di fatto potere dei molti anche in confronto dei pochi, cioè la capacità dei molti di determinare la traiettoria politica. Tutti i più grandi pensatori di economia e di politica affermavano questo: non è necessaria la democrazia per un sistema capitalista. Però voglio provare ad analizzare con voi quella che è la traiettoria che noi stiamo prendendo anche in modo grossolano, noi Occidente o noi paesi di capitalismo maturo. Se noi assumiamo che la democrazia dovrebbe essere il potere dei molti rispetto e pochi stiamo assistendo a un processo che è esattamente il contrario, cioè i pochi, l’élite soprattutto economiche – che ormai non si parla più di élite nazionali ma di élite internazionali organizzate – assumono sempre più potere e l’impressione dei cittadini è quella di poter sempre meno determinare le decisioni politiche. Io penso che l’alto tasso di astensionismo abbia radici anche in questo e questo processo di accentramento delle ricchezze e, come ho detto prima, di accentramento di potere sta avvenendo tutti i giorni in modo esponenziale. Chiaro che non siamo ancora all’oligarchia, un po’ come quella storiella della rana nella pentola che sta per bollire e non se ne rende conto fino a quando è troppo tardi. Noi siamo in questa fase qui. Bisogna cominciare a evidenziare quelle che sono le contraddizioni e cercare un rimedio, poi chiaramente dipende come la si pensa, però io non credo si possa dare troppa fiducia al capitalismo, se per capitalismo intendiamo un sistema economico governato dai mercati. Io lo dico sempre: se dovessimo dare fiducia cieca ai mercati dovremmo legalizzare la vendita di organi o di bambini per pedofili, perché domanda e offerta rispondono perfettamente a quelle che sono le necessità, invece ci sono dei limiti morali al mercato. Io penso che uno dei limiti morali che noi possiamo porre sicuramente è quello dell’eccessivo accentramento di ricchezza da parte di alcuni individui proprio per tutelare il principio democratico. In questo senso una visione più socialista, dico io, riprendendo anche dei termini che esistono e non bisogna inventarsi niente, ci aiuterebbe ad essere ancora più democratici.”
Joe Casini: “C’è un tema che è quello un po’ della global tax, cioè come nel mondo i sistemi politici possono riacquisire potere nel momento in cui le ricchezze sono sempre più dematerializzate. Parlandone tempo fa con un mio amico olandese, lui diceva «ma se io sono un paese che per qualche motivo è in grado di essere maggiormente attrattivo anche facendo dumping fiscale, perché me lo posso permettere, perché magari ho avuto una gestione più parsimoniosa delle mie finanze pubbliche… perché non potrei doverlo fare? Perchè non posso sfruttare, ad esempio, la leva fiscale»? Ne parlavamo un pochino anche qualche puntata fa con Marco Bentivogli, ex segretario della Fim Cisl, a proposito del sindacato e del bisogno che sempre più c’è di riorganizzare il sindacato internazionale perché ormai alcune tematiche non le puoi affrontare se a livello globale. Ecco, secondo te come si potrebbe andare ad arginare e a regolamentare questi grandi spostamenti di capitale, ma anche di organizzazione poi di lavoro, di persone che devono lavorare.”
Alessandro Sahebi: “Innanzitutto risponderei al tuo amico dicendo che c’è sempre un’altra Olanda, c’è sempre un altro paradiso fiscale. Quello a cui assistiamo a livello globale è un’asta al ribasso sulle tasse in cui ci sono alcuni paesi che paradossalmente chiedono quasi zero oramai di tassazione. È proprio questo: un’asta al ribasso in cui ovviamente ci perdono i cittadini, ci perdono i paesi che ospitano le multinazionali che generano ricchezza. Noi sappiamo che ogni ricchezza crea delle esternalità ed è importante che quando un’azienda crea di fatto della ricchezza, ridistribuire qualcosa ai cittadini a cui ha generato anche dei danni a livello ambientale, a livello sociale. Permettendo la piena libertà di capitali all’interno del globo questa dinamica non dico «virtuosa», ma almeno compensativa viene meno e possiamo finire in una situazione in cui paradossalmente le multinazionali non pagano tasse, ma sottraggono risorse ai paesi. Certo che si può, perché le leggi lo permettono. Certo che si può, perché dal punto di vista aziendale è perfettamente coerente. Ma dal punto di vista politico dobbiamo porci una questione di stampo morale. Per quanto riguarda invece le questioni pratiche, come si fa? Io lo dico sempre: la disuguaglianza è la seconda più grande sfida a cui siamo chiamati. La prima è quella del cambiamento climatico, possiamo legittimamente pensare che da solo l’Italia possa risolvere il cambiamento climatico? Sì, possiamo pensarlo, ma sarebbe stupido. Possiamo pensare che la sola Unione Europea possa fare da capofila e risolvere il problema del cambiamento climatico? Possiamo pensarlo, ma sarebbe stupido. L’unico modo per farlo è un coordinamento internazionale
che può essere possibile solo se a livello cognitivo, a livello narrativo, le persone – quindi coloro che poi eleggono e legittimano i governi – cominciano a ritenere giusto che una tassazione più equa sia necessaria. In questo senso c’è un grosso lavoro culturale da fare, però si può assolutamente. Alcune proposte sono state avanzate, alcune sono state anche introdotto penso alla global minimum tax… non è vero che è quasi impossibile, si tratta di cambiare leggi che però, ricordo, non sono leggi che ci sono state donate da Dio sul Sinai: sono leggi umane e quindi possono essere cambiate. Si può sbagliare, bisogna darsi la possibilità di sbagliare. Devono essere provate, se entriamo nella logica disfattista del «non si può», «è troppo difficile», questo è il miglior modo per non fare niente. Diciamo che è un realismo che in qualche modo opprima il cambiamento.”
Joe Casini: “Allora Alessandro stiamo andando verso la parte conclusiva del podcast però visto che hai tirato in ballo la questione dell’emergenza climatica mi viene inevitabilmente da farti un’altra domanda! Ci sono dei grandi motori che alimentano dei temi di cui sembra si parli molto ma in realtà, secondo me, quando se ne parla se ne parla in maniera molto superficiale… quindi alla fine è come non parlarne. La domanda è: abbiamo parlato tanto di globalizzazione, soprattutto in Italia si tende spesso a soffermarci sull’immigrazione e si parla molto meno invece dell’emigrazione, che ancora c’è per esempio quando si parla di fuga di cervelli. Sono un po’ le due facce della stessa medaglia, abbiamo una marea di ragazzi che sono stati formati e vanno all’estero a cercare opportunità. Tu come vedi la questione in una società globalizzata? Secondo te porta più opportunità, porta più insidie o difficoltà quando queste disuguaglianze entrano in contatto? Come vedi la situazione dal punto di vista degli scambi, dei movimenti, delle popolazioni?”
Alessandro Sahebi: “Stiamo assistendo a un’immigrazione o un’emigrazione che ritengo essere il prodotto di processi ingiusti. Io non metto in questione il diritto a emigrare, fosse per me aprirei – uso uno slogan – tutti i porti e tutte le frontiere e permetterei a chiunque di cercare una traiettoria esistenziale migliore. Però attenzione, dobbiamo innanzitutto pensare a come garantire il diritto a non emigrare. Spesso le persone sono spinti dal bisogno, dalla necessità, a volte da situazioni drammatiche, da guerre, carestie, a dover lasciare la propria casa, la proprio a terra in un mindset che non è dei migliori. Non vengono in Italia perché hanno voglia di vivere in Italia, perché sono innamorati della cultura italiana: è perché non hanno scelta. Sicuramente il modello globale mondiale per come è stato settato a livello economico e a livello politico oggi condanna miliardi di persone in tutto il mondo a l’emigrazione. È moralmente sbagliato, però come giustamente ricordavi tu, anche in Italia dovremmo cominciare a ragionare anche solo a livello nazionale con il medesimo ragionamento. Di fatto ci sono dei flussi migratori da sud verso nord, ci sono flussi migratori che vanno dall’Italia al nord Europa. Anche i paesi che noi tanto pensiamo possano offrirci delle grandi opportunità – come la Germania, la Svezia, la Danimarca e l’Olanda stessa – è vero che oggi godono di condizioni molto migliori sotto certi punti di vista rispetto al nostro paese, però è vero che anche loro hanno preso quella traiettoria di decrescita con la traiettoria di rallentamento che ovviamente rischia di essere pericolosa e portarci a dei vicoli ciechi. Quindi la domanda che dobbiamo farci ancora una volta è di tipo globale e sistemico.”
Joe Casini: “Siamo arrivati alla parte conclusiva della puntata ed è la parte in cui diamo la possibilità agli ospiti di farsi delle domande tra di loro. Hai una domanda che ti aspetta da parte degli ospiti della puntata precedente – ovvero Le Sex en Rose – e ti chiederò poi di lasciare una domanda per l’ospite della prossima puntata che è Ami Fall, meglio conosciuta su Instagram come Pecuniami. Con Le Sex en Rose nella scorsa puntata abbiamo parlato di sessualità e ti hanno chiesto di fare una riflessione su quanto sia difficile e se è possibile non farsi fagocitare dalla grande macchina del capitalismo. In qualche modo siamo tutti costretti a fare i conti con le dinamiche capitalistiche, poi c’è chi è in grado in qualche modo di sublimare e trovare degli spazi nei quale riuscire ad esprimersi all’interno di queste logiche e in alcuni casi, invece, queste dinamiche arrivano a schiacciarci. Com’è possibile ritagliarsi dei propri spazi anche per esempio creando spazi non solo online, ma anche offline nella nostra società?”
Alessandro Sahebi: “Si può ritagliare uno spazio, si può andare sulla cima dell’Appennino, coltivare le proprie patate e vivere come un eremita. Diversamente negli spazi in cui viviamo, il capitalismo è un sistema produttivo ed economico che governa il reale e che come diceva Marx attraverso la sovrastruttura arriva a governare la morale, la cultura, i sistemi cognitivi, l’ideologia eccetera eccetera. Quindi è quasi impossibile – se non del tutto impossibile – uscirne e in questo senso ovviamente bisogna accettare che si può essere anche non perfettamente coerenti. Questo fa parte sicuramente del gioco.
Oggi sui social ci sono tante battaglie che sono importantissime e che ovviamente io difendo, pensiamo ai diritti LGBTQ+, pensiamo ai diritti di genere… si interfacciano, come diceva Fischer, sempre nei confronti di un grande padre maligno da eliminare: l’omofobo, il razzista, il misogeno e quant’altro. Quando si parla invece del capitalismo non vi è un grande padre maligno da eliminare, perché il capitalismo siamo anche noi, perché il capitalismo fa di noi dei meccanismi. Quindi non bisogna ritagliarsi spazi, bisogna riempire gli spazi, comprendere le dinamiche che ci governano e lì rimetterle in discussione. E poi bisogna essere in grado di costruire una visione non a cinque mesi, non a cinque anni, non a cinquanta, ma a cinquecento anni in cui diciamo qual è il ruolo dell’essere umano sulla storia? Quindi rifare quello che un tempo viene chiamato ideologia. Se abbiamo un’ideologia di fondo, allora saremo in grado anche di superare quello che poi è solo un momento storico. Il capitalismo inteso nel suo modo liberale e industriale sono quattrocento anni su oltre duecentomila di storia di Sapiens, quindi chiaramente non si tratta di capire se mai il capitalismo verrà superato ma come. Ovviamente bisogna fare delle riflessioni molto profonde, se vogliamo molto più difficile rispetto a tante altre battaglie e quindi rimettersi in gioco in questo senso ma non si può isolarsi. Isolarsi significherebbe fare quella che si definisce false politic, cioè tutte quelle pratiche di quasi riserva indiana in cui le persone si chiudono e rinunciano quelle che sono le dinamiche che ci governano… ma non si sconfigge così.”
Joe Casini: “Mi viene da chiederti, seguendo la tua risposta, tu dici pensare a cinquecento anni: in un mondo sempre più rapido e veloce come quello in cui viviamo, fatto appunto di social e battaglie che si risolvono spesso nel giro di poche ore, secondo te i nostri sistemi politici hanno ancora la capacità di ragionare su intervalli di tempo così ampi?”
Alessandro Sahebi: “I nostri sistemi politici sicuramente no! Vi invito domani mattina a comprare un qualsiasi quotidiano e a prendere le prime tre dichiarazione dei nostri politici, vi rendete conto che non arrivano oltre un anno e questo è il grande dramma. Prendendo antichi giornali, se vogliamo da Berlinguer a De Gasperi o anche Almirante, anche di quelli che non sono i miei riferimenti politici, vi era la capacità di raccontare alle persone quale era l’idea del mondo sul lungo termine. Chiaro che Berlinguer non ti parlava del 2500, però nelle sue parole riuscivi a riconoscere quantomeno la capacità di avere una visione. Oggi siamo tutti, e ovviamente non è colpa solo della politica, in una miopia generale. Non lo so se siamo in grado, forse abbiamo smesso di sperare di poter essere in grado. Provarci ha senso secondo me, provarci ne vale la pena. Ce la faremo? Non lo so però chiaramente darci almeno una possibilità è importante. Diversamente rimaniamo nello stagno e nello, come diceva Hegel, tutto muore.”
Joe Casini: “Tocca a te lasciare la domanda, se vuoi, per l’ospite della prossima puntata che è Ami Fall. Ami si occupa di divulgazione finanziaria, in particolare su Instagram. Ha esperienza nell’ambito bancario, quindi affronta questi temi soprattutto parlando molto di empowerment femminile e gender gap. In qualche modo le questioni di accesso al credito o comunque le questioni finanziarie poi si vanno a legare a tematiche di natura sociale. C’è una domanda Alessandro che vorresti lasciare ad Ami Fall che ci possa magari dare lo spunto per portare avanti la chiacchierata nella prossima puntata?”
Alessandro Sahebi: “Immaginando di poter implementare una legge, qual è la legge impensabile che lei metterebbe in campo da oggi per cambiare le cose? Però deve essere impensabile, non una riforma così tanto per, qualcosa di veramente rivoluzionario!”
Joe Casini: “Fantastica, allora cercheremo di essere ancora più disruptive nella chiacchierata con Ami Fall grazie al tuo spunto! La puntata è finita, quindi Alessandro ti ringrazio moltissimo per essere stato qui con noi oggi.”
Alessandro Sahebi: “Grazie a voi è stato un piacere!”
Joe Casini: “Grazie e ringrazio tutti voi che ci avete ascoltato anche questa domenica su Mondo Complesso, vi ricordo che oltre le puntate del podcast che trovate in tutte le principali piattaforme c’è anche una newsletter per la quale trovate maggiori informazioni su www.mondocomplesso.it. Io come al solito vi auguro buona domenica e vi do appuntamento alla prossima puntata.”