Mauro Ceruti è il maggior filosofo italiano della complessità. Abbiamo parlato della sua vita, delle sue idee e della società in cui viviamo. Davvero la politica e la scuola sono pronte al mondo nuovo?
Joe Casini: “Buongiorno, buongiorno e buona domenica a tutti. Oggi è domenica 16 gennaio e questa è la prima puntata del podcast Mondo Complesso. Un podcast che vuole raccontare un po’ quelle che sono le complessità del mondo e cercare di farlo ogni due settimane sulle principali piattaforme quindi Spotify, iTunes e Business+. Oltre al podcast verrà affiancata anche una newsletter sempre con cadenza bisettimanale. Trovate tutte le informazioni e la possibilità di iscrivervi sul sito di Zwan. Oggi inauguriamo il podcast nel migliore dei modi insieme al professor Mauro Ceruti, filosofo e una persona a cui sono personalmente molto grato perché, questo forse lui non lo sa, ma è uno dei principali colpevoli del perché questo podcast esiste visto che il suo lavoro per me negli anni è sempre stato fonte di grande ispirazione e quindi non potevamo cominciare meglio di così, quindi per prima cosa nell’iniziare vorrei ringraziare il professor Ceruti per aver dato la disponibilità per questa prima puntata. Grazie, professore e benvenuto.”
Mauro Ceruti: “Grazie, grazie, grazie tanto a lei anche di questo vostro progetto.”
Joe Casini: “Grazie, allora come dicevo, il suo lavoro è stato negli anni per me fonte di ispirazione e in particolare c’è una sua frase che le ho sentito pronunciare qualche anno fa, che è stato per me l’effetto wow, come si dice, è una frase che mi ha veramente aperto gli occhi e più o meno recitava così, diceva: “abbiamo bisogno di un nuovo paio di lenti attraverso il quale guardare il mondo”. Ecco, quindi la prima domanda con la quale vorrei aprire questo podcast è domandarle quali sono queste nuovo paio di lenti col quale dobbiamo guardare il mondo?”
Mauro Ceruti: “Sono le lenti del pensiero complesso e cambiare gli elementi vuol dire cambiare il nostro sguardo per potere comprendere il nuovo mondo. Vede, io sono di una generazione che è nata, è stata formata in un mondo, è stata formata bene e nel mezzo di cammin della mia vita mi sono trovato a vivere in un altro mondo, in un mondo completamente diverso e, quindi, si è posto per me praticamente quasi subito dopo la laurea la necessità, come a tanti della mia generazione, tanti ricercatori, giornalisti, eccetera eccetera, di cambiare le lenti, di cambiare gli occhiali per essere in grado di percepire problemi di tipo nuovo. La tentazione era quella di trovare soluzioni migliori a problemi consolidati. Ciò che emergeva era invece la necessità di riconoscere che i problemi erano cambiati e quindi ci si doveva apprestare a riformulare i problemi prima di trovare soluzioni. Questo vuole dire cambiare le lenti. Del resto, anche Albert Einstein ebbe modo, in uno dei suoi aforismi folgoranti, una volta di dire “è il pensiero che ha formulato e ha prodotto una crisi, non sarà in grado di affrontare questa crisi” cioè bisogna cambiare il modo di pensare e questa è la sfida della complessità.”
Joe Casini: “Questo che lei racconta ha avuto un significato per me molto particolare. Io, per esempio, ho avuto un percorso formativo e anche professionale non esattamente lineare. Ho preso una prima laurea in economia, una in psicologia. In realtà il mio percorso è un percorso simile a quello che poi molti miei coetanei o molti giovani oggi fanno. Quindi un’esperienza, comunque, di vita non lineare come poteva essere delle generazioni precedenti. È il tema della complessità, quindi per me a un certo punto è stato anche un modo per guardare tutto in una prospettiva coerente e unica, anche laddove magari questa diversità un po’ mi spaventava. Le volevo chiedere quindi se nella sua esperienza, insomma, per lei questo tema, che poi al quale ha dedicato gran parte attiva professionale ha anche acquisito un significato speciale in qualche modo, proprio perché la capacità che ha di farci integrare esperienze di vita in modi di guardare il mondo anche molto diversi, quindi non andando in maniera lineare su una lettura del mondo, ma cercando il più possibile di integrare aspetti diversi. Ecco, se per lei questo in qualche modo poi ha avuto anche un carattere personale, oltre che insomma ovviamente scientifico.”
Mauro Ceruti: “Sì, sì, beh, in qualche modo l’urgenza che mi ha portato ad avvicinarmi alle nascenti scienze della complessità e alle riflessioni filosofiche sul pensiero della complessità è stata una necessità di tipo esistenziale, direi anche emotivo. Nel mio percorso universitario, beh, anch’io non ho avuto un percorso lineare, ho studiato la filosofia, però mi sono appassionato alla filosofia della scienza e il professore con cui mi sono laureato, un grande maestro, all’ora il professor Ludovico Geymonat mi obbligò a studiare parallelamente le discipline scientifiche e questa è stata un’opportunità straordinaria per sviluppare una visione binoculare che mi consentisse di vedere in profondità, illuminare i fatti con delle teorie, nello stesso tempo, riflettere sul significato delle teorie attraverso la prospettiva filosofica ed epistemologica. E non riuscivo, pur cercando di prendere posizione, a far entrare con il calzascarpe dei piedi che mi servivano per camminare nel mondo che erano diventati fuori misura. Mi sforzavo però capivo che, appunto, bisognava cambiare le scarpe, oltre che gli occhiali. Quindi è stato un tentativo posto proprio dalla necessità esistenziale di dare una qualche coerenza, una formulazione nuova all’insieme di problemi che sembravano di contraddirsi. Insomma, passare da un atteggiamento aut-aut che pensava per polarità, per esempio nella scienza, o il caso, o la necessità o la prevedibilità o l’imprevedibilità o la razionalità o l’irrazionalità ad un atteggiamento et-et, un atteggiamento che cercasse di mettere insieme ciò che nella tradizione filosofico-scientifica moderna era stato pensato per opposizione. Ecco, questa è stata una secondo aspetto che mi ha portato a raccogliere la sfida della complessità e per questo mi sono messo a studiare sotto il banco quasi di nascosto rispetto ai corsi ufficiali grandi scienziati, scienziati filosofi e filosofi scienziati come il premio Nobel Ilya Prigogine, come il sociologo, antropologo e filosofo Edgar Morin, come il biologo Francisco Varela o Humberto Maturana, come i grandi pensatori di quel tempo, affrontavano quella che fu definita allora la scienza nuova, cioè una nuova scienza che, pur nella continuità della scienza galileiana, raccoglieva la sfida della complessità e non solo la sfida della semplificazione.”
Joe Casini: “Spesso mi capita quando chiacchiere, appunto, racconto un po’ quello che faccio, le cose di cui mi appassiono, alle persone, ai clienti, la reazione che ottengo è che è tutto molto interessante, ma poi concretamente quali sono le ricadute concrete nella vita quotidiana di questo approccio e io la prima cosa che dico è sempre per esempio cambiare la nostra capacità di ascolto, migliorare la nostra capacità di ascolto proprio per superare quello di cui lei parlava ora quindi superare questo atteggiamento di contrapposizione, come poi se nella dialettica, in qualche modo, dovesse necessariamente una posizione prevalere sull’altra, invece, trovare un momento di integrazione. Mi colpiva molto, pure lei parlava appunto, di queste nuove lenti attraverso le quali vedere il mondo anche un po’ su superare o integrare, appunto il principio di causalità lineare che è il principio per cui ovviamente ad A necessariamente deve seguire B. Ed è un po’ il principio sul quale si basa la scienza tradizionale. Ecco, pensare invece in termini complessi e quindi, andare oltre, anche in termini proprio della vita quotidiana, quindi per chiunque ci ascolta, come si traduce? Cioè cosa vuol dire pensare la complessità, pensare in termini complessi?”
Mauro Ceruti: “Beh guardi, lei ha toccato proprio il cuore del problema, perché la grande categoria il grande concetto, insomma, su cui si è fondata la tradizione scientifica è il concetto di causa però declinato come causalità lineare. Una causa un effetto. Ciò che emerge oggi anche nella nostra esperienza quotidiana, pensiamo alla pandemia che rivela la complessità del nostro tempo, cioè il fatto che nel nostro tempo tutti i problemi sono connessi gli uni con gli altri e la crisi stessa, che certo è una crisi sanitaria, però la nostra crisi è anche una crisi biologica, è una crisi economica, è una crisi sociale, una crisi antropologica, è una crisi, quella che stiamo vivendo, psicologica, esistenziale, una crisi religiosa e una crisi in cui tutte queste dimensioni interagiscono le une con le altre. Se si tocca una dimensione, la dimensione sociale, la dimensione del lavoro si influisce sulla dimensione sanitaria. Se si tocca sulla dimensione sanitaria e si influisce sulla dimensione psicologica, si influisce sulla dimensione economica. Insomma, tutto è in relazione, tutto è connesso, e allora la questione della causalità lineare, a cui lei faceva riferimento in modo così chiaro, è la questione cruciale. Bisogna concepire l’idea complessa che tutto è in relazione e questo cosa significa? Significa che dobbiamo cambiare gli occhiali per liberarci dell’idea semplice e meccanica di causa-effetto lineare. Insomma, mentre tradizionalmente si cercava di espellere da una spiegazione razionale domande del tipo “è nato prima l’uovo o la gallina?”, oggi noi sappiamo che ogni nostro pensiero, per essere adeguato, cioè adeguato alla complessità del mondo in cui viviamo, deve accettare che non c’è un bandolo unitario della matassa, ma l’uovo e la gallina in qualche modo si sono dati e si continuano a dare vita ricorsivamente gli uni con gli altri. A questo noi dobbiamo educarci oggi, a questo ci sfida anche la possibilità di affrontare la crisi della pandemia che sarà una delle tante e quotidiane crisi che dovremo affrontare. Quindi trasformare la crisi nell’opportunità di una metamorfosi della nostra cultura e quindi delle nostre Istituzioni, a partire dalle istituzioni educative, peraltro, che non stanno formando al nuovo mondo, ma stanno continuando a formare al vecchio mondo.”
Joe Casini: “Una delle costanti proprio del modo in cui si organizzano i sistemi complessi è quello di adattarsi ed evolversi per padroneggiare gradi sempre maggiori di complessità ambientale e, laddove questo processo non vada a buon fine, entra in una fase instabile e caotica che li può portare nella peggiore ipotesi a disgregarsi in sottocomponenti più semplice. Per fare un esempio, un po’ come, mi verrebbe da dire, una coppia che ognuno ha la propria storia, poi nel mettersi insieme si costruisce una storia comune, gli eventi della vita possono creare difficoltà che, laddove mettano in crisi la coppia, possano riportare il sistema nei suoi sottocomponenti stabili, ovvero le due persone separate. Ecco facendo una riflessione su quello che sta succedendo e quindi anche sulla riflessione che faceva insieme al professor Morin sull’Unione Europea. Lei come vede il contesto politico, in particolare quello Europeo negli ultimi anni? Penso ad esempio al tema dei populismi, ma insomma, anche ovviamente a quello che sta succedendo legato alla pandemia, come vede i nostri sistemi politici?”
Mauro Ceruti: “In una crisi profonda, perché prigionieri di un principio di semplificazione. Innanzitutto, i nostri sistemi politici non sono più sulla scala dei problemi e, anche le democrazie, così gravemente in crisi, vivono di riflesso la crisi dei sistemi politici. Diciamo il 1945 ha segnato un punto di svolta straordinario nella storia d’Europa: l’indebolimento dei confini, il rispetto delle minoranze, il rispetto delle diversità non soltanto fra Stati, ma all’interno degli Stati, la prima costruzione, per quanto embrionale ma progressiva, di istanze metà nazionali e sovranazionali e quindi la costruzione di istituzioni sulla scala dei problemi. Quindi i problemi non rispettano più i confini degli Stati nazionali, neanche su scala globale, però stentano a nascere istanze sovranazionali a livello globale. L’Onu stessa è debole. Questa è la grave crisi che, in qualche modo, è caratterizzata dalla mancanza di uno sviluppo, di un’intelligenza, della complessità da parte della classe dirigente politica e quindi, in qualche modo, dalla mancata implementazione di uno sguardo complesso nella decostruzione e ricostruzione delle istituzioni politiche.”
Joe Casini: “Questi fenomeni planetari, potremmo dire, a cui faceva riferimento ovviamente su tutti, appunto, ne abbiamo già parlato, il tema della pandemia. Prima cosa che mi ha colpito, è la difficoltà, ancora a distanza di due anni, che tutti noi, politici, media, ma anche noi cittadini abbiamo nel pensare a questo fenomeno in termini globali. Ancora ragioniamo molto in termini locali il che porta inevitabilmente, collegato alla riflessione con cui abbiamo aperto, cioè al dover trovare il modo di far prevaricare in qualche modo un interesse sull’altro. E questa è la prima cosa che mi ha colpito, che non mi aspettavo, che davanti a un fenomeno così evidentemente globale, poi in realtà facessimo così tanta fatica a pensarlo in termini globali, viene quasi a dire sembra proprio un problema quasi cognitivo. La seconda cosa che mi ha colpito è il sacrificio, anche se il termine è forte, dei più fragili, no? Sin dall’inizio si è detto che è un virus che colpisce soltanto le persone più anziane, piuttosto che abbiamo visto i problemi che ci sono stati nel mondo della scuola, insomma tutte le fasce più vulnerabili che sono quelle che poi più sono state esposte e colpite dalla pandemia e sono state anche quelle che meno sono state tutelate quindi questa difficoltà anche a coniugare appunto l’io con noi, mi verrebbe da dire. Ecco, rispetto a tutto questo lei come vede la situazione? Vede più il bicchiere diciamo pieno, vuoto, un po’ e un po’, come vede la fase che stiamo vivendo?”
Mauro Ceruti: “Penso che la probabilità porta a vedere il bicchiere mezzo vuoto. La probabilità porta verso numerose catastrofi, ma la probabilità non è la necessità. Nei grandi momenti della storia della natura, della storia umana, della storia delle civiltà abbiamo avuto, e oggi la conosciamo in modi abbastanza dettagliati, l’esperienza di metamorfosi improvvise che hanno fatto nascere una nuova umanità, una nuova formulazione del problema. Quando non si riesce a risolvere il problema attraverso il punto di vista dato, lo diceva lei bene prima, o c’è una disgregazione oppure c’è una riformulazione del problema che consente di passare dalla crisalide alla farfalla. La metafora della metamorfosi è molto potente. Qual è il dato principale? Dobbiamo imparare ad abitare la complessità e cioè a raccogliere la sfida di un destino comune. Ciò che la pandemia ha rivelato in modo definitivo è che siamo tutti sulla stessa barca. Siamo tutti sulla stessa barca non vuol dire che ci stiamo tutti ricchi e poveri nello stesso modo, con gli stessi diritti, vuole significare che l’aumento di potenza straordinaria che è accaduto in questi ultimi decenni è l’aumento, altrettanto straordinario, di interconnessione fra tutto e tutto, e fra tutti e tutti sul pianeta Terra, fra tutti gli esseri umani, fra tutti i popoli e fra tutta l’umanità nel suo insieme e tutti gli altri esseri viventi e non viventi sulla Terra, fa sì che dobbiamo affrontare tutti gli stessi pericoli e problemi di vita o di morte. Cioè, per dirla in una battuta, o ci salveremo tutti insieme o ci perderemo tutti insieme. La possibilità di scaricare sui terzi mondi di turno le contraddizioni dei primi mondi non è più plausibile, tutto è connesso al pianeta completamente, come potremmo dire antropizzato e guidato da quella grande potenza della natura che è diventata la specie umana e non consente più queste strategie, ma abbiamo gli strumenti, l’umanità ha la possibilità di cambiare gli occhiali. L’insieme di queste conoscenze con l’insieme dei pericoli a cui siamo confrontati può consentire di vedere anche il bicchiere mezzo pieno, però questo richiede innanzitutto un appello all’educazione, perché lei dice bene, la pandemia ha rivelato la crisi più profonda del nostro tempo. La crisi più profonda del nostro tempo non è quella provocata dal virus, è una crisi cognitiva, è la nostra difficoltà a concepire la complessità della nuova condizione umana, cioè il fatto che tutto è in relazione con tutto. Tutto ciò non riguarda e non passa soltanto attraverso i macro-problemi ma attraverso, anche, le vicende relazionali della nostra vita quotidiana. Per questo, ultima battuta, nel mio ultimo piccolo libricino che si intitola “Il secolo della fraternità” la libertà e l’uguaglianza sono state le due grandi bandiere dell’Ottocento e del Novecento, hanno portato grandi sviluppi, si sono combattute anche fra di loro, dove si è privilegiata la libertà, si è calpestata l’uguaglianza e viceversa. La fraternità è stata così rimossa nell’intimo di qualche coscienza spirituale, di qualche coscienza morale, etica, certo è un sentimento quello della fraternità, però oggi è anche una condizione. Siamo tutti sulla stessa barca. Vuol dire che siamo tutti figli della stessa madre terra. Quindi, tutti i fratelli che si salveranno tutti insieme o si perderanno tutti insieme. Questa, non è soltanto una bandiera, un orizzonte etico è, in qualche modo, una necessità inscritta nella nuova condizione umana prodotta dall’umanità stessa, attraverso l’aumento della sua potenza tecnologica e della sua interconnessione planetaria.”
Joe Casini: “Ci stiamo avviando alla conclusione della puntata, il tempo è veramente volato. Nella prossima puntata del podcast avrò il piacere di ospitare la dott.ssa Luana Valletta che è il vicepresidente dell’ordine degli psicologi dell’Emilia-Romagna e la dott.ssa Danila De Stefano che è la CEO di Uno bravo che è la principale piattaforma/start up per fare terapia online e parleremo appunto un pochino anche inevitabilmente di questo. Le volevo domandare visto che, appunto, l’obiettivo è quello di creare interconnessioni, c’è una domanda che vuole lasciare alle dottoresse Valletta e De Stefano con la quale possiamo aprire la prossima puntata?”
Mauro Ceruti: “La psicologia applicata, la dimensione terapeutica, la cura si occupa di relazione, capire come invece, nell’evoluzione della complessità dei nostri mondi, delle nostre identità, le identità individuali, le identità sociali, sono il prodotto emergente di relazioni in un mondo soprattutto multiculturale. Che cosa significa per lo sviluppo della psicologia, che cos’è la relazione per la psicologia oggi, in un mondo globalizzato e complesso, che ha a che fare per ciò stesso col con l’incertezza, in maniera costitutiva?”
Joe Casini: “La ringrazio per il contributo. Partiremo senz’altro da qui la prossima puntata. La seconda battuta con la quale volevo lasciarla, abbiamo nominato tra i tanti maestri più volte il professor Morin c’è una sua frase molto bella che dice “Vivere è navigare in un oceano di incertezza, aggrappandosi laddove è possibile, facendo rifornimento laddove possibile, nelle poche isole di certezza che abbiamo”. Posto che l’oceano di incertezza non ci manca, le volevo domandare, secondo lei quali sono queste isole di certezza alle quali possiamo fare rifornimento?”
Mauro Ceruti: “Beh queste isole di certezza sono senz’altro quelle isole, quelle oasi dove si sperimenta la capacità di relazione, la capacità di ascolto, la capacità di dialogo. è queste che bisogna presidiare, riaprire, riaprire, riaprire sempre l’ascolto, riaprire, riaprire sempre il dialogo, anche dove non sembra possibile. Anche in questa nostra crisi il rischio è di, in qualche modo, mettere le isole di certezza, isolate le une dalle altre, in contrapposizione le une con le altre. Invece le isole di certezza da presidiare, da curare, da conservare dovrebbero essere e sono quelle isole in cui si sperimenta la capacità di vivere insieme nell’incertezza.”
Joe Casini: “Professore io la ringrazio, non potevamo inaugurare in modo migliore questo podcast, quindi la ringrazio per aver partecipato, ancora grazie per essere stato con noi e diamo appuntamento ovviamente alla prossima puntata che sarà tra due settimane e vi ricordo appunto che oltre al podcast è presente anche la newsletter di Modo Complesso, quindi, qualunque informazione per poterci seguire la trovate sul sito Zwan. Detto ciò, io vi saluto, ringrazio ancora il professor Mauro Ceruti con il quale abbiamo parlato di mondo complesso, grazie professore.”