Esiste un fenomeno naturale e inevitabile nei sistemi complessi e interconnessi, l’effetto San Matteo – ovvero il principio per cui “a chi ha, sarà dato; a chi non ha, sarà tolto”.
Questo effetto non è solo un’anomalia, ma un meccanismo autoregolante, che si auto-alimenta e si perpetua, creando una struttura sociale stratificata. È la logica stessa del sistema che, attraverso una serie di feedback positivi, amplifica piccole differenze iniziali, portando a un accumulo di risorse per alcuni e a una crescente marginalizzazione per altri.
Nell’era delle reti e della tecnologia, chi possiede capitale sociale e accesso a piattaforme potenti moltiplica il proprio vantaggio. Le reti sociali, in questo contesto, diventano luoghi di privilegio e di rendita: i “legami deboli” consentono a chi è già integrato di accedere a maggiori opportunità, escludendo chi non ha la possibilità di intrecciare queste connessioni.
Si instaura così una società del network che non collega, ma separa; che non unisce, ma stratifica. Questa interdipendenza rafforza chi ha già risorse, permettendogli di accumulare capitale sociale, economico, e culturale, in un ciclo che esclude e marginalizza.
Nel tempo, queste reti e i vantaggi che esse offrono si consolidano e cristallizzano in istituzioni, che assegnano status e privilegi come se fossero “naturali”.
Le ideologie e le norme sociali legittimano e giustificano l’accumulo di potere come se fosse il risultato di un merito individuale, nascondendo la natura sistemica della disuguaglianza. Così, le élite che già detengono risorse possono perpetuare il loro status attraverso il linguaggio e i simboli culturali, che controllano e manipolano per rafforzare la propria posizione.
Questo perché il potere è, prima di tutto, una questione di controllo dei significati: chi possiede le risorse simboliche può definire ciò che è legittimo e ciò che non lo è, costruendo un ordine sociale che esclude gli altri.
Questo ordine sociale è continuamente instabile, poiché si fonda su una dialettica tra inclusione ed esclusione, tra privilegiati e marginalizzati. Chi possiede potere tende a proteggere i propri spazi in “bolle sociali”, difendendo i propri privilegi e mantenendo fuori chi non ne fa parte. Questi spazi di esclusione alimentano un disordine latente che genera tensioni.
La sostenibilità richiede un equilibrio nella distribuzione delle risorse, una redistribuzione che possa stabilizzare l’intero sistema. Quando una società permette che le risorse si concentrino in modo sproporzionato, non solo crea disuguaglianze ma mina la propria stessa resilienza e coesione.
Riconoscere le dinamiche interdipendenti del potere e del privilegio ci aiuta a comprendere come il successo spesso è semplicemente il risultato di un sistema complesso che premia i già privilegiati, piuttosto che una possibilità per tutti. Ma il fatto che la disequità sia una tendenza strutturale non la rende un destino ineluttabile, e di certo non la rende giusta.