Con lo psicologo Giuseppe Riva raccontiamo in quale modo possiamo indirizzare il futuro etico della tecnologia ed evitare che le macchine prendano il controllo sul nostro mondo.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti ad una nuova puntata di Mondo Complesso, il podcast che parla della complessità del mondo vista, ogni volta, da una nuova prospettiva. Oggi abbiamo con noi Giuseppe Riva, per prima cosa benvenuto Giuseppe.”
Giuseppe Riva: “Ciao, grazie a tutti e buona domenica.”
Joe Casini: “Giuseppe è docente di psicologia presso l’Università Cattolica di Milano, è in particolare direttore di Human Technology Lab e presidente dell’associazione internazionale Cyber psicologi. Quindi oggi in particolare ti vorrei stuzzicare su un tema che è quello del transumanesimo, parleremo di psicologia, e come la tecnologia ci sfida da un punto di vista evolutivo. Partiamo con la domanda semplice: cos’è il transumanesimo?
Giuseppe Riva: “Questa domanda è complessa di per sé, con il termine transumanesimo si indica questa corrente nata prevalentemente nel mondo della California del Nord all’interno della Silicon Valley in cui diciamo si pensa che a un certo punto, grazie allo sviluppo della tecnologia l’umano potrà diventare diverso, migliore, quindi l’idea è che fino a oggi l’evoluzione dell’uomo sia stata legata al processo evolutivo, al modello darwiniano, in realtà la tecnologia potrebbe diventare lo strumento per far fare un salto all’umano permettendo di superare i classici limiti che sono legati alla nostra fisicità. Da quando è nato l’uomo ha sempre cercato di superare i propri limiti, io ti vedo Joe tu hai gli occhiali e gli occhiali sono strumento che serve per evitare di non vederci e di essere miopi, di non vedere da lontano, ecco la tecnologia in questa visione transumanista diventa qualcosa di più non soltanto un artefatto che in qualche modo potenzia le nostre capacità ma uno strumento per far emergere doti nascoste, potenzialità emergenti, liberandoci dal tema del corpo, perché poi l’altra fissazione del transumanesimo è il tema della corporeità come limite, invecchiamo, diventiamo malati, perdiamo le forze. Grazie alla capacità della tecnologia di superare i limiti della nostra corporeità acuta dagli occhiali, ecco che l’uomo teoricamente potrebbe essere migliore.”
Joe Casini: “L’idea ovviamente è che la tecnologia sostanzialmente migliora le nostre vite, poi si possono fare tante discussioni a riguardo ma il tema è che la tecnologia migliora le nostre vite. è interessante come il transumanesimo sia un concetto limite, posto che è un trend quello che hai descritto, il transumanesimo ci dice…”
Giuseppe Riva: “…liberiamoci dalla nostra corporeità, diventiamo cyborg, perchè poi la parola che spesso viene associata ad un transumanesimo è cyborg, la fusione tra tecnologia e umano, con tutti i problemi del caso. Noi sappiamo che oggi un personaggio complesso come Elon Musk è riuscito ad avere l’autorizzazione dalla Food and Drug Administration per poter impiantare all’interno del cervello umano una serie di sensori che teoricamente dovrebbero migliorare, esattamente a cosa servono non si è capito benissimo, lui dice risolveranno patologie. Quello che noi sappiamo, nella visione del transumanesimo i limiti umani vengono superati con questa fusione della tecnologia. Il nostro occhiale lo mettiamo e lo togliamo, noi siamo diversi dal nostro occhiale, nella visione cyborg la tecnologia si fonde con il sistema cognitivo del soggetto e non si capisce bene dove finisce l’umano e dove inizia la tecnologia.”
Joe Casini: “Sono contento di fare con te questa chiacchierata proprio perchè delle varie prospettive, su un tema così ampio e affascinante, che si possono avere quella psicologica è una prospettiva che mi interessava particolarmente. Passando alla domanda nella domanda, ti volevo chiedere: vogliamo continuare la nostra chiacchierata parlando più di psicologia o più di tecnologia?”
Giuseppe Riva: “Io sono psicologo, quindi secondo me la psicologia è l’ambito che conosco meglio.”
Joe Casini: “Vuoi un taglio un po’ più personale o più professionale?”
Giuseppe Riva: “Forse professionale perchè è più vicino a quello che sperimento tutti i giorni.”
Joe Casini: “C’è una cosa che mi affascina moltissimo ed è tutti i campi di applicazione che la psicologia ha al di là dell’ambito clinico che è quello che viene associato principalmente alla psicologia. è un tema su cui insisto molto quando ne ho la possibilità. Ci sono delle praterie, per chi è psicologo, per poter portare le proprie competenze in giro, anche grazie a internet e alle nuove tecnologie, però al tempo stesso nelle aziende si fa fatica a portare la psicologia e a unire psicologia e tecnologica, portarla in contesti o su domande che non sono quelli tradizionali. Quello che ti volevo chiedere è: dal tuo punto di vista stiamo facendo ancora un po’ fatica in questo e perché?”
Giuseppe Riva: “La domanda è molto interessante perché è un tema che mi tocca da vicino, io in questo momento insegno all’Università Cattolica di Milano all’interno di una laurea magistrale che abbiamo creato recentemente che si chiama ‘psicologia del benessere e delle tecnologie positive’ che ha come obiettivo proprio fare quello che dici tu. Noi ci siamo resi conto che esiste al di là dell’ambito clinico una capacità della tecnologia di intervenire su meccanismi di benessere. Quando pensiamo alla tecnologia, pensiamo a qualcosa che ci fa star male, che ci crea dipendenza, che crea stress, in realtà gli studi che abbiamo fatto all’interno del nostro laboratorio hanno mostrato chiaramente come la tecnologia possa migliorare il benessere, il problema è come comunicare queste potenzialità all’esterno perché di solito lo psicologo, soprattutto in Italia, viene visto come una figura clinica che aiuta il malato, ‘io non sono malato perché devo andare dallo psicologo?’, questo lo sappiamo bene per cui c’è anche l’idea che se vado dallo psicologo sono debole, diciamo che c’è uno stigma negativo. La maggior parte dei miei laureati, infatti, non si presentano come ‘psicologi’ ma come ‘wellbeing specialist’ come specialisti del benessere e in effetti le aziende li accolgono meglio semplicemente perchè hanno un’etichetta diversa, perché poi quando provano il potenziale delle tecnologie, in particolare le tecnologie simulative, la realtà virtuale e la realtà aumentata, che oggi sono anche sulla bocca di tutti perché la Apple e Meta stanno investendo un sacco di soldi in questi temi, queste tecnologie hanno la potenzialità di modificare significamente l’esperienza umana e sicuramente vanno a toccare una dimensione che è quella più tipica della dimensione intuitiva. Come ci ha insegnato Kahneman all’interno del nostro del nostro cervello non abbiamo una dimensione razionale e una intuitiva, sono due modi completamente diversi di funzionare del nostro cervello, il linguaggio serve per andare a modificare la dimensione razionale, il problema è che il linguaggio non va a modificare la dimensione intuitiva ma per modificarla dobbiamo guardare sull’esperienza e il problema è che creare esperienze è difficile, non posso facilmente gestire e creare una situazione in cui io posso controllare tutto. Le tecnologie simulative in realtà virtuale e in realtà aumentata lo permettono e questo consente di modificare la dimensione intuitiva provando, faccio un esempio pratico: insegnare ad un cassiere come gestire una rapina in banca è difficile, è qualcosa che ti posso raccontare su un libro, dimensione razionale, ma un’altra cosa è essere lì e vedersi una pistola puntata davanti a te, e allora quello che ho trovato nel libro di sicuro non me lo ricordo. Se io invece potessi sperimentare prima quest’esperienza le cose cambiano, aver provato prima che cosa mi succede nel momento in cui mi trovo davanti a un rapinatore mi permette di gestire queste esperienze e lavorare su questa dimensione intuitiva che è difficile da cambiare. Per cui, in realtà, oggi la psicologia ha uno strumento potentissimo per andare a lavorare quei meccanismi intuitivi che poi sono quelli che creano più problemi grazie alla creazione di esperienze, che ti fanno essere diverso e ti fanno capire cosa vuol dire essere diverso.”
Joe Casini: “Come da tradizione noi abbiamo lanciato il box delle domande per gli ospiti e sono arrivate diverse domande sul tema del transumanesimo, ne ho selezionata una che coglie un tema interessante. La domanda che hanno fatto è: la tecnologia non rischia di essere un fenomeno soltanto per ricchi? Ed è un tema molto interessante perché in realtà mette in luce un aspetto sul quale torniamo spesso che è il tema della prospettiva dalla quale vediamo il fenomeno e anche come magari la prospettiva che abbiamo è condizionata da i nostri privilegi. Prima tu dicevi che la tecnologia ci da la possibilità di superare delle malattie o delle situazioni come può essere il caso di Neuralink, è chiaro che il giudizio che io formulo sulla tecnologia di questo tipo è diverso se io ho questo tipo di patologie o ho vicino persone che hanno questo tipo di patologie piuttosto se ho la possibilità economica di accedere a queste tecnologie o al contrario se mi sento escluso da questo sviluppo tecnologico, quindi vedo aggravarsi ancora di più la mia condizione di disagio economico e sociale. La domanda che ti volevo fare riprendendo lo spunto che ci hanno dato gli amici che ci seguono è: in questa evoluzione quanto incide la prospettiva dalla quale si guarda e cosa possiamo fare per superare questo perchè può essere un fattore critico?”
Giuseppe Riva: “Io sono d’accordo su questa visione, è chiaro che la tecnologia costa e non sempre questa tecnologia è alla portata di tutti. Io distinguerei 2 livelli: un primo livello, che è quello della patologia, in generale quando c’è da affrontare una patologia e all’interno della patologia può essere utile una tecnologia, quello che succede di solito è che questa tecnologia, prima o poi, diventa disponibile, grazie al sistema sanitario nazionale, all’abbattimento di costi possibile e così via. è diverso, invece, per tutte quelle tecnologie che non vanno a risolvere un problema specifico ma hanno l’obiettivo di renderti diverso, più potente, più intelligente, delle Smart Drug, l’impianto tecnologico addirittura la criostasi, in questo secondo mondo, quello del potenziamento, è chiaro che c’è un Digital divide, chi ha soldi chi non ha i soldi la differenza la fa. È vero però che in questo secondo mondo le soluzioni non sono ancora così certificate da un punto di vista scientifico, quindi il costo della tecnologia è una barriera all’entrata, però abbiamo visto che il tempo e la disponibilità alla fine tende ad abbassarsi. Qualche anno fa nessuno pensava che tutti avrebbero avuto un telefono cellulare, negli anni 80 i telefoni cellulari erano con le valigette, satellitari, avevano dei posti assurdi. Oggi sappiamo che invece il cellulare è diventato la tecnologia più diffusa e lo stesso potrebbe valere per la realtà virtuale oggi c’è tanta polemica per i device della Apple che costa 3500$, potrebbe essere che tra 10 anni quello strumento sarà lo strumento più utilizzato, sarà inglobato in degli occhiali molto più usabili e probabilmente sarà alla portata dei nostri figli.”
Joe Casini: “Proprio su questo mi veniva in mente un famoso esperimento filosofico, la nave di Teseo, ovvero ho una nave inizio piano piano a togliere e sostituire un pezzo per volta della nave e quella resta la nave di Teseo, anche se inizio a cambiare un’asse per volta fino a quando ho cambiato tutte le assi della nave e la domanda è: è ancora la nave di Teseo? E spingendoci ancora oltre se io utilizzo le assi che ho tolto per costruire una seconda nave è anche quella la nave di Teseo? E quale delle due è la nave di Teseo? In questa logica la domanda che ti volevo fare per giocare un po’ sul filo del rasoio è: la tecnologia ci permette da una parte di essere più efficaci sull’ambiente e il rapporto che abbiamo avuto con la tecnologia è stato di dare in outsourcing le nostre capacità, quindi abbiamo dato la memoria quando abbiamo cominciato a scrivere, la forza fisica, e ora stiamo dando in outsourcing la capacità di dare un significato alle informazioni e interpretare le informazioni. Secondo te c’è qualcosa che ci definisce in quanto esseri umani che non potremo e non dovremo mai dare in outsourcing? Quindi in questa logica di transumanesimo che ha questa dimensione trans, di andare oltre, qual è quell’oltre secondi te?”
Giuseppe Riva: “L’oltre secondo me è la coscienza, quello che i filosofi chiamano la capacità di sentire, abbiamo questa dimensione esperienziale che è irriducibile e che non è simulabile con la tecnologia, nessuna tecnologia è in grado di trasformare i segnali elettrici in esperienze, questo è un punto su cui tutti gli studiosi di tecnologia sono consapevoli. Questa visione che è stata molto popolare qualche anno fa legata al lavoro di Ray Kurzweil, ricercatore americano, che diceva secondo lui ad un certo punto la tecnologia evolverà e ci sarà un momento di singolarità e questa tecnologia diventerà pensante, il problema è che non c’è un modo per trasformare un segnale elettrico che è il meccanismo con cui funziona anche oggi l’intelligenza artificiale in un’esperienza, quindi diciamo questa dimensione della coscienza su cui tra l’altro anche la scienza non ha ancora trovato una risposta: dove nasce la coscienza? nasce all’interno dei neuroni o al di fuori? Ecco qui, c’è tutta una discussione molto aperta, ci sono due scuole di pensiero: chi dice che la coscienza sia un processo, diciamo di tipo biologico che nasce quindi all’interno del cervello, chi invece lo considera un fenomeno quantistico. Ecco in realtà, noi non lo sappiamo al momento, non c’è un modo per verificare dove nasca la coscienza, se all’interno o all’esterno del soggetto, però secondo me è proprio la coscienza e soprattutto il suo effetto l’esperienza che è quello che è la chiave, soprattutto anche nella dimensione psicologica, le nostre esperienze sono quelle che ci formano e che ci permettono di capire che siamo, che poi è un po’ la sfida dell’uomo.”
Joe Casini: “Mentre parli mi si accendono tantissime lampadine, per esempio ora mi veniva in mente quella sensazione che abbiamo nell’interagire con qualcosa che sembra umano ma non lo è. Da un punto di vista psicologico nel relazionarsi con la tecnologia, anche in base all’esperienza che hai tu, come approcciamo alla tecnologia? Che sensazione ci attiva?”
Giuseppe Riva: “Sappiamo che all’interno del nostro cervello ci sono tutta una serie di meccanismi che hanno come obiettivo quello di simulare l’esperienza degli altri. I neuroni specchio, sono neuroni famosissimi che sono stati scoperti da un neuroscienziato italiano, il professor Rizzolatti che ci segnalano come all’interno del nostro meccanismo automatico che permetta di vedere l’altro direttamente e di riprodurre, all’interno del cervello, gli stati che il soggetto che stiamo osservando sperimenta. Questo è un meccanismo fortissimo che funziona bene ed è il motivo per cui le serie televisive e i film funzionano così bene, vedendo l’attore che soffre io mi immedesimo nell’attore che vince, che perde, che lotta. Il problema è che questi meccanismi biologici di sintonizzazione, di sincronizzazione che sono la chiave della socialità, la socialità passa attraverso tutti questi meccanismi di sintonizzazione con l’altro, la tecnologia non riesce a riprodurli molto bene, anzi molto spesso li elimina del tutto e noi sappiamo che quando questi meccanismi vengono spenti o eliminati l’esperienza sociale diventa monca. L’abbiamo sperimentato tutti durante la pandemia o quando facciamo delle esperienze di telelavoro, quando non possiamo vedere il volto dell’altro, non possiamo vedere i suoi comportamenti al massimo ci sentiamo la sua voce, il livello di creazione della comunità scende molto. Questo vale anche per la tecnologia, cioè cerca di riprodurre la dimensione sociale, cerca di illudere il soggetto di avere davanti un’altra persona, quando la tecnologia non ci riesce la sensazione è che c’è qualcosa che manca, la mia esperienza cambia e mi accorgo che non funziona. Quando noi abbiamo all’interno della nostra vita diversi robot umanoidi li abbiamo usati per comunicare con gli studenti per cercare, per esempio, di aiutarli a trovare informazioni all’interno dell’università. Il problema è che all’inizio questa comunicazione quando sono domande molto semplici funziona molto bene, quando cominciamo a lavorare su temi complessi l’uncanny valley colpisce subito ed è un problema della robotica anche nel mondo professionale, quando un robot deve interagire con l’umano l’incapacità di riprodurre i meccanismi della società entra in gioco.”
Joe Casini: “Questo potrebbe essere un altro campo dove gli psicologi possono lavorare.”
Giuseppe Riva: “Assolutamente, tutto il mondo dell’usabilità, dell’ergonomia, dell’user experience è una delle aree che oggi all’interno della psicologia sono emergenti e danno molte possibilità lavorative, paradossalmente di più di quelle che tu avresti facendo lo psicologo clinico.”
Joe Casini: “La chiacchierata sta volando, siamo al momento della domanda della birra di troppo. In questi giorni è stato approvato l’AI Act al Parlamento Europeo sulla regolamentazione della tecnologia. Secondo te come normiamo la tecnologia mettendo al centro l’essere umano?”
Giuseppe Riva: “Partiamo da una situazione attuale dove in realtà siamo in una deregolamentazione selvaggia oggi chiunque può formare il suo modello di intelligenza artificiale generativa senza nessuna regola e senza nessun meccanismo, è giusto o sbagliato? Secondo me è sbagliato e sono convinto che una regolamentazione serva perché in effetti l’intelligenza artificiale generativa è molto diversa dalle forme di intelligenza artificiale esistenti precedentemente. In pratica l’intelligenza artificiale generativa è in grado di costruire rappresentazioni complesse di campi semantici, praticamente a differenza dei sistemi intelligenti precedenti Chat GPT ha sicuramente costruito al proprio interno una capacità di rappresentare la realtà. Alcuni psicologi si chiedevano ‘ma come si fa a rappresentare la realtà se non c’è la realtà?’ la risposta l’ha data un linguista, De Saussure, che ha detto ‘si può costruire una semantica completamente slegata dal mondo reale costruendo un sistema di significati che mette a confronto tra di loro le parole’. Quindi io posso creare un sistema semantico basato sul sistema linguistico che rappresenta la realtà e oggi Chat GPT lo fa con un livello di precisione molto elevato che consente tutta una serie di applicazioni che prima non erano pensabili. Quali siano queste applicazioni e quale impatto possano avere non lo sappiamo e questo è il problema vero, cosa vuol dire avere un sistema semantico che essendo stato addestrato su tutto lo scibile umano ha acquisito una capacità di rappresentazione della realtà? Una realtà che chiaramente si è costruito dai dati, non è la nostra realtà, ma proprio perché è una realtà diversa dalla nostra che cosa si può fare poi di quella realtà? Quello che emerge è che in realtà si può fare tanto, quello che stupisce di Chat GPT è che grazie a questa capacità semantica costruita dall’analisi di miliardi di testi riesce a rappresentare la realtà e a rispondere a una serie di domande molto complicate, è come se avessimo il potere di una biblioteca, ma attivo. Mentre la biblioteca è passiva, Chat GPT è in grado di utilizzare questa conoscenza che è passiva e stava nei libri e di trasformarla in qualcosa di molto potente e quando abbiamo in mano qualcosa di molto potente il rischio è che questa potenza possa essere usata contro di noi. Io penso che sia possibile, è chiaro che finora l’intelligenza artificiale non ha un contatto con la realtà perché sta da qualche parte su un server ma se io la metto in contatto con la realtà e uso le informazioni della realtà per rafforzare e strutturare questa conoscenza semantica molto molto avanzato, superiore a quella che potrebbe avere un single umano, il rischio di avere a disposizione uno strumento in grado di fare quasi tutto, diventa importante capire e secondo me l’AI Act è un punto di partenza non di arrivo perché probabilmente le cose cambieranno molto. In questi 7-8 mesi che sono sono passati da quando è stato presentato Chat GPT, il 30 novembre 2022, ad oggi c’è stata un’evoluzione dell’intelligenza artificiale ad una velocità che non c’è mai stata nello sviluppo tecnologico. Per cui è chiaro che in questo contesto diventa importante porre delle regole perché altrimenti il rischio che ci sia qualcuno che la utilizzi per fare il proprio interesse non interesse della comunità.”
Joe Casini: “Hai toccato un tema che veramente è cruciale, siamo in una fase di estrema accelerazione. Spesso quando intercetti conversazioni sull’intelligenza artificiale si vede subito chi la utilizza e chi no perché tendenzialmente chi non la utilizza pone delle questioni che per chi la utilizza sono questioni superate perché si viaggia ad una velocità pazzesca. Stai toccando un tema che poi è quello che per contro mette pressione dal punto di vista normativo, dobbiamo effettivamente iniziare a mettere qualche paletto subito piuttosto di andare a normare il singolo caso d’uso specifico che probabilmente tra un anno sarà obsoleto. Il tempo è volato, siamo arrivati al momento di chiusura che è il Secret Santa. I tre ospiti che ti propongo sono Franca Maino, esperta e docente sui sistemi di Welfare. Bruno Mastroianni, filosofo e si occupa in particolare di tutto ciò che è l’utilizzo di media e social media e il modo in cui li usiamo per discutere e confrontarci. Mafe De Baggis, esperta di comunicazione, abbiamo parlato di comunicazione e brand a livello personale e come si usano, anche qui, le nuove tecnologie come impattano nel modo in cui comunichiamo. Quale ti incuriosisce di più?”
Giuseppe Riva: “Bruno Mastroianni, questo mondo social che è un’altra dimensione complessa dell’esperienza tecnologica.”
Joe Casini: “La domanda che ha lasciato Bruno è: secondo te conoscere noi stessi è più facile o più difficile in una società iperconnessa come quella in cui viviamo ora?”
Giuseppe Riva: “è più difficile perché noi capiamo chi siamo in due modi: o analizzando il nostro comportamento, quello che sentiamo e proviamo, dandogli un significato o vedendo come gli altri ci considerano e ci valuta. Ecco quello che è successo con i social media è che questa seconda componente è di fatto diventata un processo quotidiano, qualunque cosa noi facciamo nei social media, schiacciamo un like, mettiamo un post, mettiamo una storia qualunque cosa noi facciamo diventa un meccanismo di confronto sociale anche quando non lo vogliamo perché qualunque cosa facciamo avremo dei like, dei follower, succederà qualcosa che ci porterà a pensare qualcosa di noi stessi in realtà per capire chi siamo dobbiamo ogni tanto essere nel vuoto dobbiamo riuscire a metterci lì e sentire quello che viene da dentro, non solo quello che viene da fuori. Solo che con il rumore dei like, il bing che arriva veramente, farlo sicuramente è molto più difficile oggi.
Joe Casini: “A questo punto Giuseppe tocca a te, se vuoi lasciare una domanda.”
Giuseppe Riva: “Io punterei su questo mondo della tecnologia positiva. è facile parlare della tecnologia in maniera negativa, cioè dire fa male, crea dipendenza, ci crea un sacco di problemi, ma quale può essere, nell’esperienza di chi verrà poi intervistato, uno o due momenti di tecnologia positiva, ma tecnologia positiva in grado di aiutare l’altro a stare meglio perché è lì che dobbiamo giocarci partita con la tecnologia, non solo risolvere i problemi che questa crea ma cercare di sfruttare le opportunità per farci diventare migliori.”
Joe Casini: “Assolutamente, grazie intanto per la domanda sposo pienamente il mood. Mentre parlavi stavo mettendo a fuoco per la prima volta una cosa che in queste ormai queste due stagioni del podcast, in maniera del tutto casuale, tutte le persone che sono intervenute hanno sempre tenuto a sottolineare gli aspetti positivi e anche tu oggi l’hai fatto.”
Giuseppe Riva: “Perchè secondo me è lì la sfida, la tecnologia c’è e rimarrà, non possiamo farla sparire. Il problema è fare in modo che ci renderà la vita migliore, paradossalmente questo enorme sviluppo tecnologico non ha portato a un pari ritorno in qualità della vita, se tu pensi anche a Chat GPT, una delle tecnologie più avanzate mai esistenti, a che serve? Per aumentare la produttività, ma in fondo a chi interessa aumentare la produttività? Alle aziende e questo ti da l’idea di come in effetti riuscire ad usare la tecnologia per farci stare meglio oggi sia ancora una sfida molto aperta e su cui gli psicologi possono dire molto.”
Joe Casini: “Non potevamo chiudere con un messaggio più potente, sono assolutamente d’accordo su questa riflessione e soprattutto mi sembra un ottimo punto con il quale chiudere la puntata e lasciare gli ascoltatori portare avanti le proprie riflessioni. Ti ringrazio tantissimo per essere stato con noi.”
Giuseppe Riva: “Grazie a tutti e buona domenica.”
Joe Casini: “Do appuntamento a tutti voi tra due settimane con la nuova puntata del podcast. Buona domenica.”