Con la giurista e autrice Roberta Covelli forniamo una chiave di lettura per capire il mondo del lavoro che cambia, dei diritti persi e di quelli ritrovati e di come nel mondo complesso i diritti di alcuni garantiscono benessere a tutti.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti ad una nuova puntata di Mondo Complesso il podcast in cui, come sempre, parliamo di complessità, navighiamo la complessità sotto ogni aspetto e lo facciamo grazie a dei compagni di viaggio ogni volta nuovi. Oggi abbiamo con noi Roberta Covelli, quindi intanto benvenuta!”
Roberta Covelli: “Bentrovato e Grazie per avermi invitato.”
Joe Casini: “Roberta, per chi non la conoscesse, è giurista, esperta del diritto del lavoro, ma scrive moltissimo, su Fanpage, su Valigia blu, è molto attiva su Instagram. Per cominciare abbiamo il momento della domanda semplice: come vedi il mondo del lavoro in Italia? Dalla tua prospettiva privilegiata, essendo un’osservatrice attenta, come sintentizzeresti la situazione lavorativa nel nostro Paese?”
Roberta Covelli: “è una domanda semplice ma la risposta ovviamente è complessa, nonostante ciò mi sembra coerente in questa occasione di chiacchierata. Nel senso che quando parliamo di mercato del lavoro o del lavoro in generale, in Italia o anche nel resto del mondo, stiamo parlando di una realtà che si è modificata moltissimo negli ultimi decenni e che si trasforma anche nel giro di pochi mesi e questo significa che, per chi come me guarda il diritto del lavoro, quindi da un punto di vista giuridico, la realtà è spesso costretta a correre dietro una realtà che cambia. Questa è perfettamente normale, appunto perché il diritto serve a regolare qualcosa che cambia a prescindere dalle regole che ci diamo. Talvolta però dovremmo ricordarci, e spesso non lo facciamo, che alla base di tutto questo abbiamo posto dei diritti, dei diritti di base, di dignità che spesso vengono tralasciati per lasciar regolare tutto al mercato e questo se è abbastanza naturale da certi punti di vista lo è meno dal punto di vista dei lavoratori che in un sistema di legge della giungla sono quelli che vengono mangiati. Quindi il mercato del lavoro ora in Italia è un mercato in cui spesso non si è consapevoli dei propri diritti e sarebbe il caso di conoscerli meglio e di essere, per quanto possibile, in grado di rivendicarli.”
Joe Casini: “Hai toccato due temi su cui siamo tornati spesso nelle varie puntate. Il bisogno che abbiamo di normare il mondo in cui viviamo, sia da un punto di vista legislativo ma in generale avere delle regole sia in azienda, ma anche nella vita. Abbiamo bisogno di avere dei punti di riferimento e standardizzare un mondo che cambia per definizione e che ultimamente tende a farlo sempre più spesso. Un’altra cosa che hai toccato è quella delle asimmetrie, nel momento in cui si vanno a negoziare anche le relazioni i rapporti lavorativi, anche nelle reti si creano degli agenti che hanno un potere maggiore e questo orienta il comportamento della rete. Una delle domande che ti farò più avanti è su questo tema. Per andare avanti, il format prevede un ingresso un po’ graduale, quindi abbiamo la domanda nella domanda. Vorresti una domanda più sul tema dei diritti o più sul mondo del lavoro?”
Roberta Covelli: “Posso avvalermi della facoltà di non rispondere o è vietato?”
Joe Casini: “Saresti la prima e sarebbe una cosa interessante, se vuoi scelgo io.”
Roberta Covelli: “Sì, scegli te.”
Joe Casini: “Però preferisci un taglio più personale o un taglio più professionale?”
Roberta Covelli: “Personale, perché trovo sia il modo più efficace per passare messaggi.”
Joe Casini: “C’è un diritto al quale sei particolarmente legata e che ti fa anche un po’ incazzare quando lo vedi negato?”
Roberta Covelli: “Sì, in realtà questa è la risposta semplice perché noi abbiamo un articolo della Costituzione che è l’architrave che in origine era l’articolo 1 ma poi è diventato l’articolo 3 comma 2, che spiega che la Repubblica ha il dovere di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale e questo è un impegno da un punto di vista sociale. Qui la risposta diventa un po’ più complessa perché ci sono vari tipi di diritti e ci sono alcuni diritti un po’ più semplici da garantire, che sono i diritti di libertà e quindi che sono garantiti semplicemente nel momento in cui nessuno li nega e poi ci sono diritti più complessi che sono i Diritti Sociali per i quali non basta che il diritto non venga negato, ma occorre che venga attivato che ci sia proprio un attivismo, o dello Stato o di altri gli attori sociali, che garantiscano l’esercizio di quel diritto. Il comma secondo dell’articolo 3 ci pone un’uguaglianza sostanziale, cioè ci dice che non basta dire che siamo tutti uguali e che le diversità devono essere tutelate anche valorizzate senza che si trasformino in discriminazioni ma che queste queste diversità non devono nemmeno tradursi in disuguaglianze e questo richiede un impegno attivo per l’appunto. Mi fa piuttosto arrabbiare quando, non solo questo impegno non viene garantito, molto spesso per ragioni di mancanza di fondi, molto spesso sono scelte politiche su cosa finanziare e che cosa no, ma anche quando pensiamo appunto che non sia un diritto il vedersi porre davanti le stesse opportunità. L’uguaglianza sostanziale è l’impegno che tutti come comunità abbiamo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale e questa rimozione è essenziale sia da un punto di vista individuale sia da un punto di vista collettivo. Infatti sempre quell’articolo meraviglioso della Costituzione ci dice che la rimozione degli ostacoli serve per il pieno sviluppo della persona umana, quindi sul piano individuale, ma anche per l’effettiva partecipazione dei lavoratori alla vita della comunità. Questa rimozione ci serve sia per svilupparci come individui sia per svilupparci come comunità e partecipare a questa comunità.”
Joe Casini: “C’è anche il tema di quanto diventa abilitante in questo senso la cultura, la formazione, dare gli strumenti alla persone per poter effettivamente essere efficaci, saper gestire momenti di crisi personale, tutele a livello, welfare, tutele a livello culturale. Spesso quando si parla di salute si parla di quanto effettivamente le condizioni socio-economiche, poi si ribaltano sulle patologie di cui soffriamo, la qualità di vita che abbiamo. Ecco tu questo in questo senso, questa seconda parte così bella di quest’articolo in che misura le vedi attuata?”
Roberta Covelli: “In diversi diritti che vengono smantellati vedo come erano garantiti. La seconda parte dell’articolo 3 è molto bella anche per il fatto che viene ricalcata in altri articoli. Quindi quando vediamo l’articolo 4 sul diritto al lavoro, stiamo vedendo una declinazione specifica di quel diritto così come sul diritto alla scuola pubblica di qualità o sul diritto alla salute, quando al contrario si vede, banalmente chiamando un call center per prenotare una visita, vedersi proporre una data a un anno e mezzo e subito dopo la data a una settimana nel circuito privato, si vede come in realtà con gli ostacoli non sono stati rimossi, anche se in parte un tempo pur nell’imperfezione di uno Stato probabilmente più pover quei diritti erano garantiti in un certo senso. Quindi la garanzia c’è in tutta la politica sociale e c’è anche in politica sociale che magari può essere usata anche retoricamente quindi quando sentiamo parlare di questi immigrati che non pagano le cose, non pagano la mensa e ogni volta vorrei soffermarmi su quei commenti e dire ‘un momento non pagano la mensa in che senso?’ Nel senso che abbiamo un sistema di welfare per cui sotto una determinata soglia di reddito i bambini hanno diritto di mangiare insieme agli altri senza che le loro famiglie debbano rivolgersi agli strozzini? Questo è una attuazione dell’articolo 3 comma 2 che vale per gli italiani, che vale per gli stranieri, che vale per tutti, per il fatto che nel momento in cui noi neghiamo un diritto sociale a qualcuno, lo stiamo buttando nell’invisibilità e se lo buttiamo nell’invisibilità lo rendiamo sempre più ricattabile e questo non è solo un problema della dignità di chi viene escluso, ma è anche un problema di chi è incluso e si trova in una società che è ingiusta e che non è degna di essere vissuta.”
Joe Casini: “Siamo tutti interconnessi, quindi poi alla fine c’è questo aspetto reciproco che è importante sottolineare, siamo tutti sullo stesso destino in qualche modo. Abbiamo cominciato parlando di diritti, ora passiamo alla parte lavoro grazie alla domanda dal pubblico. Noi diamo la possibilità al pubblico di mandare le domande in vista della puntata e abbiamo selezionato questa domanda che credo sintetizzi uno dei nodi quando parliamo di lavoro: siamo sicuri che in Italia il diritto del lavoro tuteli di più il lavoratore e non il datore?”
Roberta Covelli: “Il diritto del lavoro storicamente nasce per tutelare i lavoratori per il discorso che dicevamo all’inizio sull’ asimmetria, esistono dei rapporti dominanti e il rapporto di lavoro si qualifica proprio come un rapporto in cui non c’è una democrazia, non è una tesi mia ma di Romagnoli, grande giurista, che sosteneva appunto che l’impresa fosse per definizione autoritaria e ci sono dei momenti non è monarchica ma repubblicana, comunque la disparità di potere è insita nel suo modo di essere. Per questa ragione, come in realtà per tutto il diritto, noi pensiamo a delle leggi che riequilibrano questo rapporto per la ragione che dicevamo prima, cioè una società troppo diseguale è una società che non va bene né a chi è l’oppresso né a chi è l’oppressore in realtà a lungo andare, appunto per questo esisteva questo sistema di riequilibrio. C’è da dire che molto spesso il diritto, soprattutto negli ultimi 30 anni, ha rincorso invece la trasformazione della società senza interrogarsi sul suo ruolo di riequilibrio delle storture e delle disuguaglianze nella società, cioè ha smesso di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, limitandosi magari a garantire un livello minimo di dignità che però è sufficiente per evitare di finire nella schiavitù, ma non abbastanza per poter definire una società veramente giusta.”
Joe Casini: “Scusa se ti interrompo ma questo è un aspetto che mi interessa molto. Quindi stai dicendo che è come se avessimo perso l’idea di determinare il modo in cui la società si sviluppa e ci siamo un po’ rassegnati più che altro a descrivere quello che è già accaduto, ad adattarci a quello che sono le evoluzioni della società.”
Roberta Covelli: “A mio modo di vedere sì.”
Joe Casini: “Mi interessava approfondire un po’. Come la vedi questa dinamica, posto che mi ritrovo moltissimo in quello che dici, ne abbiamo avuto un caso recentissimo a proposito di Guido Scorza con il caso di Chat GPT ‘ah vuoi fermare il progresso’, tra l’altro mi è piaciuto tantissimo l’articolo che hai scritto per Fanpage.it, invece è un voler affermare un mio diritto. Tu questa dinamica come la vedi?”
Roberta Covelli: “Diciamo che da un lato questa tendenza è una scelta politica, quindi non possiamo aspettarci da chi guadagna dalla mancata redistribuzione che faccia gli interesse dei più poveri dall’altro c’è una tendenza che è quella l’internazionalizzazione che è un elemento importante, ma comunque problematico. Leggevo qualche giorno fa un testo di Vera Zamagni storica, storica dell’economia, che appunto parlava delle naturali esternalità negative della globalizzazione che sono anche di estraniamento della democrazia per il semplice fatto che mancano, e a livello di diritto è abbastanza naturale, delle istituzioni realmente incisive sul piano internazionale, e questo fa sì che le B corporation o comunque le grandi multinazionali possono fare i propri interessi sia comprimendo i costi, calpestando i diritti dei lavoratori, sia delocalizzando nei luoghi più poveri, sia anche non pagando per quelle esternalità negative, quindi quei danni che vengono addossati alla società e che vengono socializzati, quindi una socializzazione delle perdite mentre i profitti restano in capo a chi guadagna di più. Da questo punto di vista un po’ è una struttura obbligata dall’altro c’è anche l’abbandono della lotta di classe intesa anche come elaborazione di classe. Ci troviamo molto spesso in un contesto di perenni contrapposizioni che perdono di vista, sto facendo un discorso forse un po’ marxista, la struttura, guardano molto alla sovrastruttura che pure è importante in alcuni casi, ma perdono di vista quello che c’è sotto che è sempre quella simmetria di potere che fa sì che i diritti possano essere calpestati. Nel senso che molto spesso noi pretendiamo giustamente una parità salariale perdendo di vista il fatto che la precarietà per tutti è un problema e va contro le persone più vulnerabili.”
Joe Casini: “Il capitalismo credo abbia questa capacità di essere, come direbbe Taleb, antifragile ed effettivamente tutto ciò che in qualche modo poi potrebbe andare contro il capitalismo ha la capacità di farlo proprio. Anche tutte queste dinamiche di contrapposizione tra i gruppi che dovrebbero avere delle istanze comuni verso i poteri forti, poi ci si ritrova in quella logica di polarizzazione che diventa engagement. Alla fine anche il dibattito si trova su delle contrapposizioni a livello di sovrastruttura e poi perdiamo di vista quello che c’è sotto. Da questo punto di vista, a proposito di engagement, tu sei molto attiva sui social e ti volevo fare una domanda su questa dimensione. Ho visto che spesso hai un rapporto con i follower d’amore, ma a volte arrivano anche i cosiddetti hater, la domanda che ti volevo fare è: c’è una linea di confine? qual è, come la senti e che tipo di rapporto hai? come gestisci il fatto di parlare non soltanto di questioni tecniche ma di unirci anche un aspetto personale salvaguardando però una parte di vita personale?”
Roberta Covelli: “Innanzitutto condivido solo quello che ho veramente voglia di condividere, a volte non condivido cose che vorrei condividere perché empatizzo nei confronti degli altri. Esempio: ho una mamma splendida, un papà splendida, un fratello splendido ma per la festa del papà o per la festa della mamma festeggio a casa mia perché so che ho degli amici anche vicini che non hanno la possibilità di farlo perché hanno magari avuto un lutto negli anni precedenti e la mia felicità, che posso vivere senza problemi, nel momento in cui viene condivisa smette di essere una reale felicità e diventa una fonte di infelicità per altri senza che questo possa essere un elemento educativo. Se io volessi fare un pensiero sulla genitorialità prendendo spunto dalla festa della mamma questo non colpirebbe il lutto di altri o se lo colpisse sarebbe comunque riequilibrato dal messaggio che voglio passare, viceversa se devo dire quanto meravigliosa sia la mia famiglia, questo può colpire altre persone che questa fortuna non ce l’hanno. Quindi da un lato c’è anche una parsimonia in quello che ti si condivide e una consapevolezza del fatto che molto spesso condividiamo i lati positivi dalle nostre vite e non quelli negativi e questo già vizia un po’ quello che vediamo e condividiamo sui social. Per quanto riguarda invece il discorso d’odio io sono piuttosto esistenzialista, dal punto di vista di Sartre, credo nell’individualismo dal punto di vista dell’azione e quindi so di poter agire solo sul mio modo di comunicare eventualmente dando un esempio ma non potendo pretendere altro che quello che faccio io attraverso la mia azione, la mia comunicazione. è qualcosa che in realtà si prova a tentativi, talvolta si sbaglia io fino a qualche anno fa correggere gli errori di grammatica delle persone e ora ho smesso di farlo, perché non so cosa devi un errore di grammatica, se derivi da una posizione di ignoranza incolpevole, se derivi da una difficoltà di apprendimento e la mia pedanteria può diventare una forma di violenza, anche se magari lo sto facendo contro un razzista e sto dicendo prima l’italiano, non so perché questa persona non padroneggi bene l’italiano e non voglio essere la parte violenta di un rapporto comunicativo.”
Joe Casini: “Questo è molto interessante, ti facevo la domanda su Instagram perchè uno degli aspetti più interessanti dei social quando uno inizia ad avere un profilo pubblico è che ci danno la possibilità di guardarci da un’altra prospettiva, anche guardare il modo in cui ci relazioniamo. Quando ti chiedevo i linguaggi d’odio che raccontavi ora mi veniva in mente il discorso che facevamo all’inizio su come siamo tutti interconnessi e il modo in cui stiamo insieme, ad esempio abitiamo una piazza di un social network, c’è un discorso di mettere le persone in condizione di utilizzare gli strumenti, gli spazi, sapersi porre la domanda sull’errore piuttosto che sul perchè arriva un certo messaggio, avere la capacità di diventare un contatto empatico o di avere un momento di esitazione, dubbio, è uno spazio di crescita enorme nella misura in cui però anche come individui abbiamo la possibilità di concederci quel momento di esitazione o quello spazio. La domanda che ti volevo fare è: dal punto di vista dei diritti che diventano abilitanti quanto effettivamente secondo te veniamo messi in condizione di utilizzare questi strumenti e questi spazi in maniera consapevole? Siamo un po’ travolti da queste piattaforme oppure c’è un tema di cittadinanza anche su queste piattaforme?”
Roberta Covelli: “Sì, cambio completamente argomento, ma è semplicemente una rincorsa, pensando a quando guardando alle elezioni locali si parla solo delle elezioni di Milano, Roma, Torino, Bologna, grandi città e si perde di vista il fatto che esiste la provincia e infatti la provincia vota in maniera diversa dalla città e tutti si stupiscono un certo punto come se il fatto che a Milano abbia vinto qualcuno renda incredibile che nel resto dell’Italia abbia vinto qualcun altro. è un po’ lo stesso per i social nel senso che a volte argomenti che a me sembrano incredibilmente discussi nella mia bolla sono invece del tutto ignorati dal resto della società, questo è anche un modo per ridimensionare non tanto l’importanza che diamo alle piattaforme che invece hanno un potere importante su cui dovremmo vigilare ma per renderci conto che dobbiamo usare i Social consapevoli che è una frazione della nostra vita e non è l’intera nostra vita. Il discorso sulla cittadinanza digitale è importante perché gli strumenti digitali sono importanti, diciamo la nostra vita sulle piattaforme digitali siano esse Social o siano altre piattaforme più o meno interconnesse con la nostra vita socio-economica è la consapevolezza del fatto che esistono delle connessioni visibili ed esistono delle connessioni nascoste. Questo significa anche per ricollegarmi al discorso di prima che non sempre è necessario condividere tutto e che anche vivere nei social significa essere consapevoli che non si esaurisce tutto nei social. Io non sono un’esperta di Social anche se mi informo, di recente ho letto la newsletter di Vincenzo Marino zio che segnalava ad esempio questi video su Instagram che hanno una sezione con ad esempio Super Mario dei videogiochi su una parte dello schermo. Uno che li usa è Andrew Tate, famoso per essere stato arrestato dopo aver comprato una pizza mentre cercava di blastare Greta Thunberg, e questa cosa è estremamente preoccupante, perché se io mi concentro sulla parte sotto dello schermo e resto attaccata a quella parte sotto dello schermo quello che sento, ad esempio il discorso politico di Andrew Tate, non è qualcosa che sento in maniera del tutto consapevole ma è qualcosa che passa nel mio subconscio e questo significa che magari ho meno strumenti di decodifica. Quindi il consiglio che mi sento di dare viviamo i social perché sono un elemento importante della nostra comunicazione, ma viviamoli con la consapevolezza di una necessità di limitarci e di essere consapevoli quando li utilizziamo.”
Joe Casini: “Il tempo sta volando, avevamo tantissimi argomenti. Andiamo avanti con la prossima domanda che è la domanda delle birra di troppo. Tornando sul mondo del lavoro ti volevo chiedere: se tu avessi la possibilità di fare qualsiasi legge qual è quella che faresti subito?”
Roberta Covelli: “Bella domanda, nel senso che negli ultimi vent’anni ci sono state talmente tante riforme che semplicemente cancellerei e sarebbe molto semplice rispondere in questo modo. Dopo il 2012 cancellerei tutto, però sarebbe un po’ semplicistica come risposta, fermo restando che staremmo alla 4 birra, quindi ci starebbe anche. Tornare al 1970 che è il punto culmine del diritto del lavoro che poi pian piano è riscesa l’esigenza del capitale.”
Joe Casini: “Questo è interessante, posto che abbiamo detto del mondo che cambia tantissimo, tu hai detto già sarebbe un passo in avanti tornare a quello che avevamo immaginato 50 anni fa. Corretto?”
Roberta Covelli: “Noi abbiamo avuto il cosiddetto biennio caldo delle lotte sociali che si sono caratterizzate dall’interconnessione. Viviamo in un’epoca di disintermediazione: il sindacato non rappresenta più le persone, le persone non si sentono rappresentate dal sindacato e non fanno nulla per entrare nel sindacato e quindi ci troviamo in un sistema in cui la persona è un individuo a contatto con un mondo più grande di lui o di lei. Negli anni 60-70 c’era un senso di comunità anche all’interno della lotta e questo ha portato a delle conquiste che sono lo Statuto dei lavoratori e il processo del lavoro che sono due elementi essenziali per rendere effettivi i diritti della Costituzione. Molti dicono che lo Statuto dei lavoratori non è stato votato dai comunisti eccetera, in realtà anche li stiamo vedendo come il conflitto fosse essenziale perché nel momento in cui si pretende tanto si ottiene tanto, anche se non si ottiene quello che si pretendeva di ottenere. Viceversa quando si abbassa il livello quello che si ottiene è una via di mezzo tra il livello iniziale e quello a cui si potrebbe ambire. Quindi 1970-1973 è il momento in cui le promesse sono state messe su carta, dagli anni 70 in poi il mercato sta cambiando c’è l’emergenza e qualunque emergenza diventa un problema sui diritti e man mano questi diritti vengono prima compressi dalle esigenze di mercato e poi il diritto che doveva riequilibrare le esigenze di mercato diventa addirittura il modo in cui quelle esigenze di mercato diventano legge.”
Joe Casini: “Sul tema della disintermediazione ne abbiamo parlato con Marco Bentivogli, faccio tutti questi input in modo che ci ascolta magari si è perso la puntata è può rinerconnetterle dato che è alla base del format, ma al di là della prospettiva storica ti volevo domandare, considerando che tu riprendi quello che avevamo immaginato 50 anni fa, secondo te c’è anche un tema sulla capacità di immaginazione che abbiamo oggi? Forse 50 anni fa cercavamo di immaginare come sarebbe stato il mondo e lavorare in funzione di un mondo nel medio-lungo termine e forse oggi siamo un po’ troppo immersi in questo breve termismo? Questo si vede anche su come approcciamo al mondo dei diritti del lavoro?”
Roberta Covelli: “Sì, senz’altro. L’immaginazione e l’immaginazione sociologica è ciò che ha reso possibile la Costituzione con promesse altissime e le prime attuazioni della Costituzione. Ad un certo punto abbiamo capito che avevamo raggiunto il massimo e ce lo siamo fatti bastare al punto che adesso ci sembra naturale un livello di redditi medio-basso perché la media dei redditi è oggettivamente bassa, stiamo parlando di €17000 netti all’anno di media che sono pochi per per avere una prospettiva anche alla luce del fatto che il lavoro è più precario in ogni caso, quando parliamo di contratto a tempo indeterminato dopo il contratto a tutele crescenti, stiamo parlando di un contratto a tempo indeterminato finché non si decide che finisca mentre un tempo il contratto a tempo indeterminato era effettivamente a lungo termine, era quasi scelta del lavoratore cambiare o meno, mentre adesso la prospettiva è molto più breve e il punto è che anche la nostra elaborazione e immaginazione è molto più breve. Questo è quello su cui forse dovremmo lavorare di più.”
Joe Casini: “Siamo arrivati al momento conclusivo che è il momento del Secret Santa. Il primo ospite che ti propongo è Vera Gheno, sociolinguista. Il secondo ospite è Guido Scorza, membro del garante della privacy. Il terzo ospite è Massimo Cerulo, sociologo, professore dell’Università Federico II di Napoli e con lui abbiamo parlato in particolare di capitalismo emotivo. Quale di questi tre ospiti ti incuriosisce di più?”
Roberta Covelli: “L’istinto direbbe Vera Gheno però scelgo Massimo Cerulo.”
Joe Casini: “Erano tutte domande complicate, però devo dire quest’ultima non vorrei essere nei tuoi panni. La domanda che Massimo ha lasciato è: cosa significa restare in silenzio nella società digitale? Cioè, secondo te che valore ha il silenzio oggi in una società digitale.”
Roberta Covelli: “Sicuramente sarà più bella la domanda che la risposta. Al liceo ricordo di aver fatto una ricerca sul vuoto e ad un certo punto non sapevo più che cosa scrivere e ho detto ‘lascio al vuoto la definizione di sé’ il modo più semplice per concludere. Dipende moltissimo, da che tipo di silenzio mettiamo in atto può essere un silenzio militante, in quel caso ha un valore, in altri casi c’è quello che credo Ziccardi definisce potere di contro parola, o diritto di contro parola, o ancora dovere di controllare se mi trovo di fronte a una narrazione razzista o una reazione violenta la mia cittadinanza digitale e la mia cittadinanza non digitale mi dovrebbe spingere a prendere le parti, che non significa necessariamente rispondere a chi attacca ma può essere stare in silenzio da un lato, ma usare la mia contro parola da un altro lato. Come tutte le cose, credo che il valore del silenzio dipenda dal valore che diamo a quel silenzio e da come riusciamo a comunicare quel valore anche con i sensi eventualmente.”
Joe Casini: “A questo punto è il tuo turno se vuoi lasciare una domanda per gli ospiti delle prossime puntate.”
Roberta Covelli: “Se si potesse inventare una parola per un concetto che non ha una parola in italiano che concetto vorrebbe definire?”
Joe Casini: “Ti sei vendicata di Massimo ed è una domanda bellissima. Purtroppo siamo arrivati in conclusione della puntata, il tempo è volato, ti ringrazio tantissimo per essere stata con noi.”
Roberta Covelli: “Grazie a voi!”
Joe Casini: “Do appuntamento tra due settimane per la prossima puntata di Mondo Complesso. Buona domenica a tutti.”