Recentemente ho avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con Daniel Goleman, un autore e psicologo di fama mondiale, raccontandogli quella che era la mia esperienza con il podcast di Mondo Complesso. A un certo punto gli ho domandato quale secondo lui fosse il tema più importante di cui parlare oggi con le persone, e in risposta mi ha detto che era molto colpito dalla paura crescente che l’intelligenza artificiale sta suscitando. Goleman sostiene che è essenziale affrontare questo tema perché la paura, se non gestita, può influenzare in modo significativo la nostra percezione e le decisioni che prendiamo.
Questa apprensione nei confronti dell’AI non è senza conseguenze, ma influisce sul modo in cui individui e organizzazioni percepiscono e adottano nuove tecnologie. Spesso, le nostre paure sono alimentate non dalla realtà, ma dalla nostra mancanza di comprensione. Nel cuore di queste paure, troviamo un’incertezza diffusa e un senso di perdita di controllo, ma proprio qui è fondamentale riconoscere che l’incertezza fa parte della natura umana.
Abbracciare l’incertezza, invece di cercare risposte definitive e assolute, può aiutare ad adottare un approccio più flessibile e aperto nei confronti dell’AI. Questo implica riconoscere che l’AI può offrire soluzioni innovative, ma anche accettare che ci saranno sempre elementi di rischio e di imprevisto. Un dialogo aperto e una maggiore educazione digitale è quindi essenziale per mitigare queste paure, fornendo una visione più chiara e realistica del ruolo dell’AI nella società moderna.
Intendiamoci, l’AI è una tecnologia che sta avendo (e sempre più avrà) una pervasività enorme nelle nostre società, e dobbiamo assolutamente portare avanti riflessioni profonde su questo tema, anche con una sana dose di preoccupazione per gli impatti che avrà sulla vita delle persone. Ma contrariamente alle paure diffuse, l’AI non è destinata a sostituire completamente il lavoro umano in tutti i campi. Come ho sostenuto in molteplici occasioni, l’AI non è una forza esterna che minaccia di soppiantarci, ma piuttosto un’estensione delle nostre capacità intellettuali e creative. È una continuazione del nostro viaggio evolutivo, un percorso che amplia le nostre possibilità anziché limitarle.
Nel contesto lavorativo, la questione non è quindi se l’AI sostituirà i lavori umani, ma piuttosto come e dove. L’AI può automatizzare alcuni compiti, ma ci sono aspetti del lavoro, in particolare quelli che richiedono creatività, empatia e comprensione umana, dove il suo ruolo rimarrà complementare.
In settori come il customer care, uno dei primi tra l’altro nel quale l’AI è stata applicata, essa può fornire assistenza e migliorare l’efficienza, ma difficilmente potrà eguagliare la complessità dell’intelligenza emotiva umana. Esempi di questo sono i chatbot che gestiscono richieste standard, lasciando agli operatori umani i compiti più complessi e basati sulla relazione. Anche in molti altri settori l’AI ha già dimostrato di poter migliorare l’efficienza senza eliminare i posti di lavoro. Nel campo sanitario, ad esempio, sistemi di AI assistono nei processi diagnostici, ma la decisione finale e il giudizio clinico rimangono prerogativa del medico. Questo dimostra come l’AI possa essere un complemento, piuttosto che un sostituto, dell’intelligenza umana.
Ecco che allora la relazione tra umani e tecnologia diventa un punto focale in questa discussione. Siamo ormai immersi in un’era dove le nostre vite sono intrecciate con il digitale, in cui si pone la questione di come queste interazioni influenzino il nostro benessere emotivo. In questo contesto, è essenziale considerare come l’AI possa influenzare il modo in cui interagiamo, comunicando e costruendo relazioni. Per esempio, in ambienti lavorativi dove l’AI viene utilizzata per gestire compiti ripetitivi, sorge la questione di come questo possa liberare tempo e risorse per interazioni umane più significative e gratificanti. Da questo punto di vista, prepararsi per un futuro con l’AI non è solo necessario, ma emozionante.
Stiamo entrando in un’era in cui le possibilità sono illimitate e l’apprendimento continuo è essenziale. Questa è un’opportunità per abbracciare il cambiamento – non per temerlo – e per quanto la paura sia comprensibile, è importante affrontarla con un atteggiamento informato ed equilibrato. Perché l’AI può essere una minaccia, ma anche un invito a riflettere su cosa significa essere umani nell’era digitale e ad esplorare nuovi orizzonti di ciò che possiamo diventare come specie. Offrendoci l’opportunità di liberarci dai compiti monotoni e ripetitivi, e permettendoci di concentrarci su ciò che rende veramente felici: le relazioni, la creatività e la crescita personale. La vera sfida quindi non è l’AI stessa, ma la nostra reazione ad essa.