Con Dario Simoncini e Marinella De Simone, cofondatori del Complexity Institute, ci addentriamo in un viaggio nella formazione alla complessità. Cosa significa raccontare il Mondo Complesso, spiegarlo e farlo arrivare anche al grande pubblico.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e ripartiamo oggi con un’altra puntata di questa seconda stagione del podcast di mondo complesso. Oggi è una puntata importantissima per tutta una serie di motivi in parte li ho già spoilerato sui social, uno dei motivi è sicuramente la qualità degli ospiti, qui si parla di complessità, quindi oggi abbiamo degli ospiti che vanno veramente a fagiolo e che vi presento subito, il secondo motivo è che sono ospiti a cui sono particolarmente legato perché parlano di complessità, li seguo e sono anche miei docenti, seguo anche il loro master e quindi oggi mi aspetto una chiacchierata che sono sicuro sarà molto interessante. Vi presento subito gli ospiti che sono Dario Simoncini a Marinella De Simone, benvenuto Dario e benvenuta Marinella. Sono i soci fondatori del complexity institute che molti di voi immagino se seguite mondo complesso già conoscete. Ad ogni modo Marinella è anche presidente e direttore scientifico, oltre che esperta di gestione dei conflitti e di intelligenze relazionali, Dario Simoncini oltre ad essere socio fondatore del complexity institute è anche economista e docente, in particolare specializzato in organizzazione aziendale. Oggi parleremo quindi sicuramente di complessità come facciamo sempre ma oggi in maniera ancora più approfondita e parleremo un pochino anche di dinamiche organizzative e gestione dei conflitti visto le peculiarità di Dario e Marinella. Partiamo subito con la chiacchierata perché credo sarà una puntata molto lunga e piena di spunti, noi in apertura nel podcast abbiamo il momento della domanda semplice vi vorrei domandare: come si insegna la complessità? Visto che voi tra le altre cose fate anche questo.”
Marinella De Simone: “A questa domanda semplice la risposta non è semplice. È una domanda che noi ci continuiamo a fare quindi non è una risposta che vale per sempre, quindi non ha una risposta immediata. Diciamo che si impara a a formare alla complessità o insegnare la complessità facendolo sicuramente, quindi sperimentandolo. facendolo e anche soprattutto io direi in funzione delle persone che hai davanti nel contesto in cui ti trovi, quindi non c’è una risposta che può valere per qualsiasi situazione, ma veramente capire in che modalità sei. Già anche banalmente, che non è banale, distinguere fra una formazione in presenza è una formazione on-line c’è una differenza radicale. Quello che secondo me è un po’ un esperimento che noi facciamo e prendiamolo come tale, è una prova, qualcosa che continua a modificare in funzione di quello che vedi e che accade è quello di creare un’intelaiatura, almeno questa è la modalità che usiamo noi, creare una sorta di schema, di forma che rispecchia una modalità complessa e quindi che sia interdipendente, che riprenda più volte i temi, che sia ridondante. Rispecchiare proprio alcuni principi di complessità, quindi questo è lo schema, la forma che cerchiamo di dare e poi in funzione di quello che realmente accade rivedere le cose. Quindi in funzione di come le persone stanno interagendo, in funzione di come stanno capendo meno sul momento di crisi che c’è iniziale che è scontato. Tutto questo è incluso e va continuamente monitorato, quindi direi applicare i principi della complessità nel fare formazione. Poi sentiamo Dario cosa ha da dire su questo.”
Dario Simoncini: “Intanto ringrazio Joe, sono molto felice anche emozionata di questo incontro perché è bello che una persona con la quale si lavora, perché stiamo lavorando insieme, possa continuare a esplorare anche scoprirci attraverso questo podcast. Il mio punto di vista è aggiuntivo rispetto a Marinella perché col fatto che io insegno all’università e tra l’altro ho una cattedra che si chiama proprio management della complessità, ti posso dare velocemente la mia metodologia, almeno per quello che riguarda l’università: è quella del riportare gli studenti continuamente alla loro vita quotidiana, in realtà io cosa faccio? Faccio emergere dalle loro riflessioni, che io ovviamente stimolo, quali sono quelle esperienze che loro individuano come compresse e da questo ovviamente un tentativo, un innesco si direbbe per poter aiutare a modificare il loro mindset, il loro schema mentale rispetto alla loro quotidianità. Diverso è per gli studenti, ad esempio base e magistrale diversa per PhD perché quando si insegna invece PhD la complessità tu la leghi molto ai loro processi di ricerca, quindi la metodologia diventa più impegnativa, però la cosa importante è che la complessità come diceva Mari, io la chiamo Mari perché in realtà io e Marinella siamo marito e moglie da un sacco di anni, è il processo di apprendimento che è un processo di apprendimento complesso e cioè viene costruito dalle persone, sono le persone che in realtà costruiscono il loro apprendimento noi siamo dei facilitatori, magari bravi, mi auguro, ma dei facilitatori. Ecco quindi questo per me è molto importante.”
Joe Casini: “Ma questo assolutamente, tra l’altro da partecipante al master questa cosa arriva moltissimo, c’è proprio quest’idea di esplorare e costruirsi la mappa strada facendo, si ha una direzione sia nel tipo di contributi tra docenti e chi partecipa quindi c’è questo caleidoscopio di prospettive sui temi che è bellissimo, ma c’è proprio una forte reciprocità nell’aula che sia fisica o virtuale, questa esplorazione che si fa insieme è strepitosa. Ora c’è il momento quello che chiamiamo ask yourself ovvero la possibilità di un pochino aggiustarsi la domanda, quindi vi domando vorreste che mi facessi una domanda che vada più sul versante delle dinamiche di gruppo, dimensione organizzativa aziendale il business o vorreste più una domanda che vada su una dimensione un po’ più individuale?”
Marinella De Simone: “Io partirei dal gruppo e poi dopo passerei poi se verrà alla parte individuale.”
Joe Casini: “Quindi è una domanda più in ottica business, gruppo. Vorreste che la domanda avesse un taglio più personale e individuale o più su una dimensione di coppia?”
Dario Simoncini: “Qua scelgo io. Assolutamente dimensione di coppia.”
Joe Casini: “Come ha detto Dario voi siete una coppia, lavorate insieme e questa è una cosa che in realtà poi in Italia è una cosa abbastanza frequente. La domanda che vi volevo dare è: questo tipo di dinamiche, in ottica di complessità, nel momento in cui però si deve gestire l’azienda pone tutta una serie di sfide diverse e diventa più un elemento sfidante o facilitatore? Le dimensioni delle relazioni diventano più complesse e quindi bisogna avere gli strumenti per gestirle o al contrario diventa qualcosa che, in realtà, le facilita?”
Dario Simoncini: “Almeno per quello che riguarda Marinella e me lavoriamo insieme da moltissimo tempo, da quando ci siamo conosciuti. Il punto fondamentale è questo: c’è qualcosa che ti appartiene per il quale sei portato, quindi le nostre esperienze autobiografiche hanno teso a incontrarsi immediatamente e questo già è un punto essenziale di partenza. Vedi tantissime coppie che, anche se lavorano insieme, non hanno questo feeling iniziale, invece questo fra noi c’è sempre stato, dall’altro lato la complessità all’approccio complesso ci ha aiutato moltissimo perché ci ha permesso di comprendere come noi agivamo e quindi di renderlo una conoscenza esplicita, c’è qualcosa che apparteneva ai nostri corpi noi abbiamo avuto la possibilità e la capacità di descriverla e quindi di lavorarci. Il consiglio che do a tutti è proprio questo per poter assolutamente migliorare, rendere piacevole un rapporto lavorativo di coppia è bene conoscere la complessità perché la complessità ti dà queste strade interpretative del quotidiano che ti soddisfano molto perché ti fanno sentire molto felice, molto appagato di quello che fai anche se comporta a volte il rielaborare il te stesso in maniera molto più a disposizione della coppia. Chiedo a Marinella cosa ne pensa.”
Marinella De Simone: “Tu Joe hai chiesto se il fatto che si sia in coppia nel gestire delle attività insieme, che possono essere di tanti tipi, sia sfidante o facilitante. Io direi entrambe sicuramente ed è anche certamente più complesso. Cosa significa? Significa che è sicuramente una sfida, cioè lavorare insieme non è necessariamente facilitante diventa facilitante quando affronti le sfide che hai davanti, altrimenti può essere estremamente bloccante. Anche noi conosciamo tante coppie che lavorano insieme ma lavorare insieme oppure fare delle attività insieme può mettere in crisi la relazione d’amore tra queste persone, quindi è sicuramente una sfida che affronti ogni volta e rende anche la relazione più complessa sicuramente, e per me questo è il premio che puoi ricevere in termini di comprensione e in termini di capire e questo fa parte del capire la complessità e cominciare a sentirla un po’ di più e questa complessità aumenta ed è una ricchezza perché ti dà più sorpresa, ti da punti di vista diversi, dove non arrivi tu può arrivare l’altro, dove tu dai una cosa per scontato l’altro non la da affatto e quindi diciamo è una continua lavorazione. Io quello che ho trovato come ricchezza costante nonostante le mille attività che abbiamo fatto di tutti i tipi, quindi oggi stiamo facendo queste cose, ma 20 anni fa facevo tutt’altro e 30 anni tutt’altro ancora, però quello che c’era di comune era questo nostro bisogno, che io trovo una ricchezza incredibile, di prenderci, come appunto sai che stamattina anche abbiamo fatto, un’ora tutte le mattine di camminare all’aria e di parlare di quello che stiamo facendo. Noi siamo mai d’accordo, abbiamo due caratteri estremamente diverse due modi di pensare molto diversi di sentire diversi, però la ricchezza è che dove uno magari ha una difficoltà l’altro ci mette il suo e viceversa e quindi costruiamo insieme progetti, affrontiamo insieme le difficoltà, io credo che da sola non so se sarei mai riuscita a fare quello che abbiamo fatto fino ad oggi, sicuramente l’avrei fatto in maniera diversa, sicuramente si riesce lo stesso, non sto dicendo che è questa l’unica strada assolutamente, però certamente è più complessa, quindi hai dei vantaggi e degli svantaggi dell’essere più complessa.”
Joe Casini: “Nei momenti di crisi chiaramente diventa più complicato a quel punto arginarla e contingentarla e circoscriverla, come si fa in modo che allora una crisi magari che nasce in ambito lavorativo non diventi magari una crisi sistemica, non entri proprio in crisi tutto il sistema?”
Marinella De Simone: “Secondo me qui andiamo già a toccare un tema che è quello dei conflitti possibili. Il tema è che nei momenti di crisi è la relazione che ti consente di superarli, quindi se hai una relazione solida che sia il tuo compagno o compagna di vita, che sia il tuo collega, che sia il tuo responsabile, o i tuoi collaboratori non ha importanza, ma se da un punto di vista relazionale sei riuscita a costruire qualcosa di solido che è una fiducia reciproca la crisi si riesce a superare, altrimenti diventa sistemica. Ma cosa significa che diventa sistemica? Significa che si allarga la relazione, significa che vai a cercare il capro espiatorio per cercare chi è che ha sbagliato e vai a cercare la colpa. Quindi non è l’errore in sé che non va cercato o cercato, il tema è come cerchi quell’errore, che non si ribatte sulla persona, non è una valutazione della persona ma è un’azione che puoi aver sbagliato, una previsione che non sei riuscito a fare, a volte anche perché proprio il contesto non ti consente di farla, però al di là di questo se la relazione è solida, puoi attraversare infinite crisi, io e Dario abbiamo attraversato infinite crisi, situazione difficilissime però la forza era proprio in quei momenti, cioè quei momenti credo di non aver mai sentito che fosse in crisi la nostra relazione personale, cioè l’altro, non era mai colpa dell’altro era capire insieme come affrontare quella crisi e quando avevamo tante persone che lavoravano con noi idem, non era colpa di qualcuno, tante volte era insieme con gli altri che abbiamo superato delle crisi. Quindi secondo me questo vale in senso proprio profondo e questo quando lo studio sui conflitti è chiarissimo che i conflitti li superi e in realtà non sono nemmeno conflitti, persino la parola è sbagliata, quando non attacchi la relazione, quando la relazione è solida, cioè la fiducia non viene tolta mai non è nemmeno un conflitto.”
Dario Simoncini: “In questo senso, mi viene immediato un tema ovvero quello del potere. In questo tipo di coppia tu scegli che il tuo potere sia nella relazione e cioè sia nell’immagine, nella reputazione, nella credibilità che ha la nostra coppia, però qui c’è un problema di potere, tu pensa come questo lo puoi trasferire alle organizzazioni dove invece il conflitto o lo sviluppo di organizzazione emerge da conflitti di potere, da posizioni di potere che sono poteri individuali o di cordata, dove non c’è una questione di rispetto e di campo di fiducia della reazione, quindi io ho scelto di vivere il mio potere come potere di coppia. Quindi per me è fondamentale curare Marinella, essere al suo servizio perché so che lei fa egualmente con me e questo ti fa accogliere la tua persona com’è frutto-fiore all’interno della relazione. Questo è fondamentale per le organizzazioni, per qualunque tipo di strategia, per qualunque tipo di operatività è questo il mindset diverso che poi tu riscontri nella quotidianità. Quindi un concetto di potere, come tu vivi il potere, questo è molto molto rilevante.”
Joe Casini: “Stiamo cominciando questa domenica mattina, per chi non vi conosceva, con una delle cose che per me vi contraddistingue ovvero riuscire a portare tutta questa parte contenutistica e teorica con un aspetto umano meraviglioso quindi poi alla fine queste chiacchierate che abbiamo la possibilità di farsi oggi qui nel podcast sono bellissime, perché poi porta un argomento che spesso viene percepito anche un po’ distante, che un po’ spaventa, lo porta in realtà proprio una dimensione molto quotidiana anche intima. Tra l’altro cavalcando un po’ questa scia passiamo alla domanda dal pubblico. La domanda è: voi avete molta esperienza con le organizzazioni, la pubblica amministrazione, aziende private, grandi e piccole aziende, vedete un atteggiamento variabile o ci sono delle costanti, c’è un atteggiamento magari di maggiore chiusura in alcuni casi, maggior apertura in altri, dipende veramente dal tipo di interlocutore referente che avete, si parte magari sempre con maggiori resistenze, ma poi si superano subito, cioè in generale quando si porta il tema della complessità che può magari spaventare all’interno di un’organizzazione che quasi per definizione tende un po’ ad adattarsi all’ambiente fosse per lei l’organizzazione rimarrebbe sempre la stessa. Andare a portare questo tipo di approccio in azienda come funziona?”
Dario Simoncini: “Anche questo è un tema molto vasto che cerchiamo di contenere. Sicuramente la questione che tu hai posto esiste e cioè la complessità spaventa e spaventa le organizzazioni, perché? Un approccio complesso richiede un approccio esplorativo che richiede l’accogliere nel momento in cui tu esplori la possibilità di avere sorprese trasformazioni e cambiamenti, in realtà la complessità è di per sé un processo permanentemente trasformativo dove, e questo molte delle persone che ci vedranno e ascolteranno non lo sanno, il risultato si manifesta cammin facendo e non c’è mai neanche un risultato definitivo perché tu sei parte di questo percorso. Quindi detto questo, quali sono i due atteggiamenti che ti potrei segnalare come focalizzazione l’atteggiamento della dell’illuminato chiamiamolo così il quale decide di far accedere la propria organizzazione o il proprio team a questi temi e in questo caso ovviamente accoglie in sé col gruppo tutto quello che può avvenire e non è sempre facile perché anche quando c’è questo entri un’azienda, come è capitato a noi, di grandi dimensioni, grandi obiettivi di Corporation, dove alle spalle ci sono grandi capitali che hanno bisogno di trovare la loro adeguata remunerazione, questo è molto impegnativo, che significa trasformazioni molto robuste. Quindi anche dove c’è l’illuminato non è sempre facile, dall’altro lato quello che abbiamo potuto evidenziare è che quando tu porti la complessità a gruppi di lavoro le persone si entusiasmano perché vedono rispecchiare la complessità con quello che loro fanno tutti i giorni e questa è la cosa splendida che quando tu porti la complessità questi gruppi o queste persone ci si riconoscono e questo può creare, a volte, qualche diciamo complicazione perché nel momento in cui poi dopo provano ad applicare nelle loro attività lavorative possono avere dei blocchi allo sviluppo, quindi ci sono più sistemi con i quali interagire. Mari cosa ne pensi?”
Marinella De Simone: “quello che dici tu è vero, ovviamente anch’io ho trovato la stessa sensazione. Sai che io sono quella che crea schemi un po’ più ordinante, secondo me ci sono due modalità fondamentali quando lavori con un’azienda: quella in cui viene chiamato ad entrare in azienda e hai al tavolo tutti manager, responsabile o top manager dell’azienda ed è una modalità molto particolare e quindi ha degli schemi di funzionamento strani, ma che rispecchiano quel tipo di interlocuzione, l’altra invece è quando l’azienda paga alcune persone che vengono a fare qualcosa che tu stai organizzando. Sono due cose completamente diverse, però c’è sempre l’azienda che sta agendo in un modo diretto in un verso, in modo indiretto nell’altro. Adesso riprendo quello che ha detto Dario cioè le persone si entusiasmano, questo è più facile che lo trovi nella seconda modalità, cioè quando le persone escono dalla loro azienda vengono dentro un contesto, che a volte anche se ci sono altre persone dell’azienda non è più la loro, e lì al di là di una difficoltà iniziale che la complessità porta sempre con sé, che ovviamente metti in conto, però appena comincia a sciogliersi un po’ il ghiaccio la fase due è quella dell’entusiasmo in linea di massima. Poi c’è qualcuno che non si scioglie neanche dopo perché proprio aspetta che ci sia una modalità molto analitica la formuletta che tu gli da applicare in ogni situazione cosa che la complessità non da ovviamente ma più perché tiene conto della contingenza, quindi non può darti una regola valida, non è uno strumento applicativo che applichi tu. In linea di massima gli esperimenti che abbiamo fatto in tanti anni anche quelle con le summer school, i winter o piuttosto adesso con i master o anche in altre situazioni quando viene la persona fuori dall’azienda in qualche modo il problema è inverso, cioè che nel nuovo contesto si trova bene però allo stesso tempo poi ha il problema, come diceva Dario, di riportare questo dentro l’azienda perché se il proprio responsabile o comunque la struttura rimane come era prima rischi di sentirti spaesato. Questo è l’altro tema che ovviamente c’è, quindi bisogna che siano più persone cosa che spesso abbiamo sollecitato ed è anche avvenuta, più persone di quell’azienda che vengono per cui creo una rete che poi, in qualche modo, si riconnette e può portare un cambiamento dentro l’azienda. Quindi non è che sia buono o cattivo. L’importante è che non sia una persona singola perché altri il rischio è questo, perché veramente è un cambio di pensiero quasi paradigmatico. Quindi a seconda dei livelli a cui fai la complessità è ovvio che se ti entusiasma e dopo vorresti portare questo entusiasmo azienda ma se non hai delle altre persone che sono come te su quel tipo di pensiero, quel tipo di azione, rischi di sentirti ancora peggio di prima. L’altro, invece, è quando tu vai in un team, cosa che abbiamo vissuto più volte, spesso top manager allora il discorso è diverso perché puoi avere risposte molto diverse, cioè puoi avere un atteggiamento difensivo, molto forte da parte di alcuni e un atteggiamento invece di altri che si aprono a questa cosa. Quindi se non ti trovi veramente, come diceva Dario, una struttura già in qualche modo illuminata nel top management puoi trovare un altro tipo di difficoltà, cioè che alcuni seguono e altre invece quasi si mettono sulla difensiva. Quindi le aziende, tu chiedevi ‘ma possono avere delle risposte di paura?’ Assolutamente sì la complessità spaventa perché mette in crisi un modo che è molto standardizzato, io parlo di aziende importanti con delle strutture manageriali, quindi non piccole aziende che invece il discorso è completamente diverso, se tu vai in una big company e vai a toccare comunque con la complessità non semplicemente gli aspetti più scientifici, ma anche gli aspetti relazionali, metti un po’ in crisi, anche in modo radicale, alcuni aspetti relazioni e lì devi essere disposto a farlo sennò diventa una difficoltà che non è arricchente per nessuna delle parti.”
Joe Casini: “Ora la domanda del filo del rasoio: ognuno di noi, in qualche modo, nel momento in cui deve essere efficace sull’ambiente, che si vendere qualcosa all’azienda, che sia fare un’attività di comunicazione, che sia una riorganizzazione aziendale, una questione personale, si trova in questo paradosso di scegliere se ottenere un risultato nel breve/brevissimo termini, quindi se è più importante essere efficace subito o se, al contrario, perseguire un obiettivo più a lungo termine e queste cose idealmente vanno d’accordo ma spesso e volentieri no. Ad esempio ora parlavamo di portare la complessità nell’azienda nel momento in cui parte un progetto all’interno dell’azienda anche lì immagino, quindi la domanda che vi faccio è se è vero, se si verifica e come in caso la interpretare e la gestite? Anche per voi si crea un po’ questo cortocircuito cioè da una parte c’è un obiettivo che segue una logica a lungo termine, dall’altra chiaramente l’azienda paga magari si aspetta di trovare risultati subito, un pochino gli si va incontro, far vedere che dopo i primissimi incontri qualcosa cambia e questa roba un po’ è in contraddizione l’una con l’altra o no?”
Marinella De Simone: “Direi assolutamente di sì cioè è difficile che non lo sia poi se sei fortunato può essere che tu raggiungere un’efficacia a breve e anche a lungo, però può anche essere che non è così e lì devi scegliere, come sempre, quindi se tu come azienda hai bisogno di mettere un cerotto, diciamo ‘lascia perdere’, nel senso che sono tante cose che si possono fare magari con questa strategia a breve termine, però diciamo non è una visione a lungo. Se invece l’obiettivo è una situazione di Change Management, voglio veramente cambiare un po’ la cultura aziendale, voglio cambiare il modo di procedere, mi rendo conto che quello che funzionava tre anni fa oggi non funziona per niente o mi ostino a voler mettere i cerotti, ma è ovvio che sto rinunciando io a una prospettiva a medio termine, per io intendo l’azienda, oppure devo cominciare a farmi delle domande diverse. Se comincio a farmi delle domande diverse, secondo me, non si può non avere una prospettiva di complessità. Io direi che è proprio stupido, cioè è una stupidità collettiva non farlo oggi non parli più di efficaciam dimentichiamo la parola efficace, allora lì la scelta che fa priori il gruppo, l’azienda, l’organizzazione, adesso possono essere anche non aziende, possono essere anche delle organizzazioni no profit, ma oggi capire il contesto in cui siamo che è complesso è una condizione sine qua non, proprio non capisco come mai ancora questa cosa non sia proprio diventata più evidente e palese per tanti.”
Joe Casini: “Dario secondo te come mai non è diventata più palese? Cioè tu parla di organizzazione aziendale anche lì spesso uno deve dire ‘ok faccio una riorganizzazione che raggiunga degli obiettivi a medio lungo termine ma che al tempo stesso vede anche delle logiche di breve termine’.”
Dario Simoncini: “Io sotto questo punto di vista ce l’ho abbastanza chiaro. In realtà nella maggior parte delle organizzazioni non c’è la consapevolezza del fatto che loro non conoscono la complessità, cioè non sanno di non sapere, se tu non sei consapevole di non sapere per te deve essere qualcosa veramente di nuovo, quindi sotto un certo punto di vista in realtà, tutte le persone che si occupano di complessità portiamo nelle organizzazioni sociali, qualunque esse siano, un punto di vista che non hanno mai preso in considerazione le persone allora capisci che è veramente destructive, dirompente, dal nostro punto di vista. Portare la complessità nelle organizzazioni significa portargli un punto di vista diverso sul mondo, abbiamo idea di quale conseguenze, mettiamoci nei punti di vista degli altri significa cambiare completamente il concetto di performance, cambiare completamente la modalità, ti faccio 2 ore di formazione, 3 ore di formazione mentre parli mentre telefoni, fai un team building per andarti a mangiare due spaghetti. La complessità non è questo, la complessità ti chiede un modo diverso di guardare il mondo con tutto quello che ne consegue. Quante aziende per esempio fanno scelte di ‘voglio fare la B corp, voglio fare la Benefit’, io su questo ho un po’ di tensione perché in realtà poi dopo quando tu vai a verificare come si comportano a livello organizzativo ed operativo ti rendi conto che da una parte sono B Corp e sono certificate dall’altro, però funzionano male perché in realtà non funzionare con la solita metodologia top down, non cambia nulla, quindi non c’è coerenza. Allora quello che dici tu breve e lungo significa anche questo che nel momento in cui non ho un approccio complesso, io non ho una strategia complessa, mentre se io ho un approccio complesso ho una strategia complessa, dove breve medio e lungo termine diventano per forza coerenti perché sono le persone le relazioni che lo rendono coerenti, quindi la cosa è impegnativa, però si può fare.”
Joe Casini: “C’è un penultimo step prima di arrivare alla parte conclusiva che è la cosiddetta domanda della birra di troppo. La domanda che vi volevo fare parte da un ragionamento abbiamo fatto una riflessione in particolare sui bias. Stavamo riflettendo un po’ su quali bias ci portiamo dietro nel fare questa attività, quindi nel momento in cui costruiamo la puntata quali bias mettiamo in gioco, nel momento in cui scriviamo la newsletter qual bias mettiamo in gioco, e ci siamo domandati a volte capita che uno si appassiona più alla ricerca della soluzione che a trovare la soluzione. Anche noi parlando di complessità cerchiamo la complessità in ogni cosa e forse questa cosa ti fa perdere di vista la dimensione. Quindi, la domanda che vi volevo fare è: questa cosa a voi capita? Anche nell’attività che fate, anche nella formazione, il fatto di parlare di complessità vi porta a cercarla, non dico oltremodo ma si pone un po’ la questione ci si appassiona tanto alla complessità ma magari si perde di vista il problema.”
Dario Simoncini: “Sì e no, intanto a noi piace sempre immaginare che il mondo funziona sia in modo complicato sia in modo complesso e cioè ci sono delle situazioni che esigono azioni complicare e situazione, invece, che esigono comportamenti o atteggiamenti di tipo complesso. Il mondo di per sé non lo dobbiamo vedere sempre come situazioni complesse perché sennò accadrebbe assolutamente quello che dici tu, però come siamo facilitati in questo? Almeno dal mio punto di vista, non so se Marinella la pensa così, siamo facilitati dal fatto che noi viviamo in un mondo prevalentemente complicato, cioè dove le persone si comportano in maniera complicata e cioè puntano all’obiettivo, puntano all’efficienza più che all’efficacia, puntano al breve termine, quindi che cosa succede? Che per noi che lavoriamo da anni per assumere un mindset diverso e azioni coerente con questo mindset in realtà è come se fossimo ancorati ad una realtà complicata che ci impegna comunque a risolvere questioni tutti i giorni, per fartela in poche parole noi abbiamo avuto un’azienda anche con un buon numero di dipendenti, noi abbiamo dovuto contemporaneamente affrontare questioni molto pratiche giorno per giorno come quelle di un imprenditore, ma contemporaneamente inserire tutto ciò in una strategia di complessità. Quindi, secondo me, il tuo bias può essere solo nella prima fase cioè quando per esempio si approccia per la prima volta la complessità la si incomincia a imparare, ma pian piano quando la complessità diventa parte del tuo corpo e delle tue scelte quotidiane questo discernimento sarà molto naturale. Quindi secondo me è un bias temporaneo di apprendimento.”
Joe Casini: “Mari, invece a te, capita di appassionarti più alla ricerca della complessità che alla risoluzione del problema?”
Marinella De Simone: “Assolutamente sì, perché fa parte della mia natura, cioè a me piace proprio cercare di capire anche stanotte mi sono svegliata e la mia testa ha cominciato già a scrivere delle cose sulla situazione che stiamo vivendo che globalmente sta prendendo una direzione assolutamente disastrosa per comportamenti locali. Quindi il mio modo di pensare in modo di vedere le cose è sicuramente appassionato e portato a guardare quello che accade a livello complesso sui singoli comportamenti locali. è anche vero che poi quando vado nella vita quotidiana, cioè quando finisco la fase del pensiero dentro la fase operativa, lascio un po’ perdere questo aspetto e vado più sulle cose così come sono, affrontandole come sono. Quindi certamente ho questa modalità di essere che mi contraddistingue. Però l’altra cosa che penso sul fatto dei bias che dicevi è soprattutto quello della ricerca e della conferma delle proprie informazioni, cioè noi cerchiamo là dove abbiamo imparato qualcosa e facciamo fatica ad esplorare. Questo è un po’ il tema che credo sia il bias per cui è fondamentale che abbiamo un po’ tutti che ci porta anche rifiutare la complessità proprio perché anche se capiamo che non funzionano, classico esempio delle chiavi sotto al lampione, anche se le chiavi non le trovo continuo a cercarle sotto al lampione, quindi con la complessità è un po’ questo bias che diciamo è abbastanza diffuso per cui perché devo smettere di cercare sotto al lampione qualcosa, perché devo guardare dove c’è buio. Ecco questo è un tema che ha a che vedere con il nostro modo di apprendere, ne abbiamo proprio bisogno di sviluppare, dal mio punto di vista, intelligenza percettiva, a proposito di intelligenza relazione, cioè capire meglio il contesto in cui siamo anche laddove lo sguardo non va, soprattutto dove lo sguardo non va che è legato a tanti aspetti da quelli dei pregiudizi personali a qualcosa a cui non siamo abituati a vedere e così via. Però un’altra cosa che aggiungo brevissima è questa cioè che quello che cerchiamo poi di insegnare, di portare, proprio l’approccio situazionale è distinguere le situazioni. La complessità ti aiuta a distinguere ciò che è complicato da ciò che è complesso, se invece io non conosco la complessità porto il bias della complicazione dappertutto, se mi si rompe un pezzo di un computer io non ho bisogno di applicare un approccio complesso, perdono una montagna di tempo, uso quello complicato, cambia ciò che si è rotto, però questo la complessità ti aiuta a capire quando non è un problema di computer ma è un problema sistemico. Ecco questo secondo me è veramente la differenza per cui è importante avere questo doppio sguardo.”
Joe Casini: “Siamo in chiusura è stata una chiacchierata lunga, ma piena di spunti. Nella liturgia di questo podcast c’è l’ultimo momento che è il momento un po’ della domanda tra gli ospiti in questa nuova stagione del podcast l’abbiamo un po’ rinominato il momento Secret Santa. Allora oggi vi propongo tre ospiti dal quale scegliere a sorpresa, ovviamente voi la domanda non la conoscete ma conoscete soltanto l’ospite che vi propongo; il primo che vi propongo in realtà lo conoscete molto bene ed è Enrico Cerni che è uno scrittore e si occupa in particolare di eichar in una multinazionale, il secondo è Alessandro Sahebi che è un giornalista che si occupa in particolare del tema della ricchezza e quindi dell’equità e della distribuzione della ricchezza nelle nostre società e il terzo ospite sono le sex en rose che sono una coppia che fanno sui social divulgazione sui temi della sessualità, cultura body positive. Dei tre quale vi incuriosisce di più?”
Marinella De Simone: “Andrei su Alessandro perché non lo conosco quindi sono curiosa di sapere la domanda che ha lasciato e anche il tema della ricchezza è un tema che mi piace molto.”
Joe Casini: “Io intanto vi faccio la domanda di Alessandro che è bellissima e forse tra le domande fatte nel podcast è tra le più belle se non la più bella, dal mio punto di vista ovviamente, la domanda che ha lasciato è: qual è una legge impensabile che attueresti oggi?”
Dario Simoncini: “L’obbligo per le scuole a partire dalle elementari di introdurre un approccio complesso agli studi. è una legge impensabile e che però, secondo me, cambierebbe il mondo.”
Marinella De Simone: “E cosa c’entra con la ricchezza?”
Dario Simoncini: “Tutto perché migliorerebbe un concetto di ricchezza che non è solo economico, un concetto di performance del mondo che cambierebbe totalmente, in comincerebbe a far capire alle persone cosa significa ricchezza non è solo una ricchezza economica ma non entriamo in questa discussione perché credo sia chiaro a tutti un concetto di ricchezza diverso. Significherebbe avere fin da piccoli consapevolezza della ricchezza delle relazioni di ciò che porta l’amore e il rispetto, è tutto un altro mondo, cambieremmo il mondo non sono io a doverlo dire questo, ed è assolutamente impensabile, completamente fuori da qualunque tipo di schema che ha agito negli ultimi secoli.”
Marinella De Simone: “Ci devo pensare a questa questa legge impensabile. Però quello che mi viene è molto diverso da quello che propone Dario e potremmo proporre di introdurre tutte e due queste leggi impensabili insieme ed è questa. Io sarei per proporre una legge che va a attaccare, dal punto di vista economico-finanziario, i patrimoni, quindi l’eredità, non una patrimoniale sull’esistente ma dei passaggi ereditari importante perché credo che altrimenti la famosa legge di Pareto 80-20 che ormai è diventata 90-10 non farà che, proprio per un principio di complessità, un feedback positivo di auto rinforzo, quindi non fa che rinforzare i ricchi e farli diventare sempre più ricchi e aumentare la massa di povertà. Quindi io sarei per una legge impensabile perché non questo momento assolutamente antiliberista di lasciare una piccolissima parte come eredità proprio per creare una condizione di partenza molto più eque tra le persone questa parte però in qualche modo coinvolgere nell’utilizzo l’aspetto dei beni comuni. Quindi coinvolgere l’aspetto dei beni comuni, quindi una legge sui beni comuni, insieme all’eredità e questo credo che sia assolutamente impensabile. Quindi mettere insieme due mondi che in questo momento stanno viaggiando assolutamente indipendenti, chi parla di beni comuni non riesce a metterlo a terra proprio perché manca questa disponibilità ad aprirsi rispetto all’utilizzo comune di un patrimonio collettivo.”
Joe Casini: “A questo punto tocca a voi, vi rigiro la sfida, lasciare la domanda per gli ospiti delle prossime puntate.”
Marinella De Simone: “io farei una domanda sulla percezione, perché è un tema che può essere affrontato da ciascuno, come fare per portare la nostro modalità di percepire a un livello più consapevole e a sentire che noi creiamo ciò che percepiamo, cioè che la percezione non è un atto passivo ma un atto attivo. Come fare per portare questa sensibilità, rispetto alla percezione, tra le persone?”
Joe Casini: ““Dario, vuoi aggiungere qualcosa o ti sta bene la domanda che ha proposto Marinella?
Dario Simoncini: “No, no, ma va benissimo. Meglio che ne facciamo una, così va bene.”
Joe Casini: “Siamo arrivati purtroppo alla conclusione di questa chiacchierata e io vi ringrazio ovviamente per essere stati con noi. Quindi grazie mille per aver passato questa domenica mattina insieme.”
Marinella De Simone: “Grazie a te Joe è veramente bello ed esuberante anche come modalità, mi è piaciuto molto, grazie.
Dario Simoncini: “Io avrei continuato veramente però visto che non si può continuare va bene lo stesso, bellissimo.”
Joe Casini: “Un saluto a tutti quelli che ci ascoltano come sempre, buona domenica e ci vediamo domenica prossima con la newsletter e fra due settimane con la nuova puntata del podcast di mondo complesso.”