Con il giornalista Nicolas Lozito raccontiamo come cambia l’informazione al tempo della crisi climatica, tra digitalizzazione, nuove opportunità e sfide sempre più complesse.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti a questa nuova puntata di Mondo Complesso il podcast in cui parliamo della complessità del mondo, oggi ne parliamo con Nicolas Lozito, quindi benvenuto Nicolas
Nicolas Lozito: “Buongiorno a tutti!”
Joe Casini: “Nicolas per chi non lo conoscesse è giornalista, scrive per La Stampa, è un collega podcaster, ha un podcast che vi consiglio che è ’verde speranza’ e ha anche una newsletter che si chiama ‘il colore verde’. Oggi parleremo in qualche modo di giornalismo ambientale. Partiamo subito con la domanda semplice: negli ultimi anni il giornalismo ambientale si è evoluto rispetto a come la società ha cambiato atteggiamento rispetto alla tematica?”
Nicolas Lozito: “Ha cambiato sicuramente pelle, parto dalla fine della tua domanda, e lo faccio con un esempio: una volta quando si parlava di questioni ambientali o questioni climatiche sui giornali si faceva un’operazione molto alla vecchia scuola e quindi si dava una notizia e poi si sentiva chi diceva A e chi diceva il contrario di A, l’altra campana. Si parlava di cambiamenti climatici? C’era l’intervista al climatologo e poi necessariamente, proprio come funzione di vita, si doveva trovare chi diceva l’esatto contrario perchè così si fa in quasi tutto il resto delle notizie, pensiamo alla politica che si fa esattamente così: tesi e antitesi. Adesso con il clima e con il fatto che la scienza ha reso inequivocabile i principi del cambiamento climatico e le responsabilità dell’essere umano, grazie al cielo iniziamo a non farlo più, però ci è voluto tanto per cambiare proprio muscolatura al giornalismo e trasformare quello che era una branca del giornalismo in un nuovo mestiere ovvero quello del giornalista ambientale e giornalista climatico, quindi una persona capace di avere un bagaglio culturale tecnico-scientifico e anche un filtro rispetto a chi può dire che cosa su quell’argomento per cui non tutti gli scienziati sono uguali non tutti i politici sono uguali, non tutti sono preparati allo stesso modo e il giornalismo deve fare anche questo non può restare neutrale sempre e fare l’arbitro e dire ma vediamo chi ha ragione e tiriamo la moneta.”
Joe Casini: “Su questo mi viene in mente l’aneddoto di un giornalista americano che diceva che se ci sono due persone in una stanza e dicono una che fuori è bel tempo e una che piove, il tuo compito non è dire che uno dice una cosa e uno un’altra ma aprire la finestra e vedere se effettivamente piove o no.”
Nicolas Lozito: “è proprio l’esempio perfetto per far capire come il ruolo non sia dare voce e basta ma dare voce in maniera informata, preparata e fare i compiti a casa.”
Joe Casini: “Siamo entrati subito a bomba sull’argomento e quindi per andare avanti la cosa che ti propongo è la domanda nella domanda. Preferiresti parlare di informazione o di sostenibilità?”
Nicolas Lozito: “Di informazione perchè mi piace molto il metalinguaggio, il parlare di cose che si fanno.”
Joe Casini: “Sei nel posto giusto per farlo. Vuoi una domanda con un taglio più personale o un taglio più professionale?”
Nicolas Lozito: “Professionale.”
Joe Casini: “è curioso come, quasi sempre, quando ci sono grandi scandali nel mondo sportivo quei pezzi vengono scritti non dai giornalisti sportivi ma dai giornalisti che si occupano di cronaca, economia o di altre cose. Ti volevo fare una domanda sul tema della specializzazione, come viene affrontata la specializzazione nel giornalismo? Come ti muovi tra l’essere molto verticale su un tema ma al tempo stesso avere un punto di vista più esteso?”
Nicolas Lozito: “Ti rispondo ad una domanda professionale con un aneddoto personale. Io lavoro nelle redazioni, adesso sono alla stampa, ho fatto anche tre anni al Messaggero a Roma, stanno dentro le relazioni ogni giorno tutto il giorno possibilmente 10-12 ore e la passione e l’interesse che ti da tutto l’oggetto di ricerca giornalistica è tale che poi ti appassioni a tanti argomenti e cerchi di avere anche una sorta di ruolo di uccello su tutti i temi. Una frase che si dice spesso in redazione ed è un po’ un modo per cavarsela nei momenti difficili è che il giornalista deve saper scrivere di ciò che non sa, che è vero perchè tante volte ti ritrovi a scrivere delle cose o preparare dei lavori in poche ore su temi o persone di cui non si è preparati. Come si fa ad essere verticali senza dimenticare l’orizzontalità? Quello è un po’ un mix da trovare su se stesso. Io mi sono appassionato al clima perché venivo da studi all’università e poi lavori che avevo fatto prima di entrare nei giornali che avevano a che fare con la complessità e quindi nelle brutte notizie trovavo un certo fascino nel fatto che prendessero tanti argomenti diversi. Il clima fa sì che devi e puoi parlare di economia, scienza, psicologia, strategie e quindi soluzioni e problemi. Questa complessità ti affascina e ti rende conto ogni giorno che non sei preparato abbastanza nonostante tu sia preparato su quell’argomento e scopri da un giorno all’altro di doverti occupare, per esempio, di moda senza saperlo. L’obiettivo non è scavare troppo una propria fossa ma quanto riuscire ad essere profondi senza però perdersi di vista l’obiettivo, cioè quello di riuscire ad essere sempre pronti di fronte alle notizie.”
Joe Casini: “Ora stiamo entrando nel vivo e il prossimo step è quello della domanda dal pubblico. Abbiamo dato la possibilità sui social agli ascoltatori di lasciarti delle domande e te ne riporto una proprio sul giornalismo: quanto incidono le sponsorizzazioni delle aziende inquinanti sulla libertà di stampa?”
Nicolas Lozito: “è un’ottima domanda che ha a che fare con il fatto che l’editoria in Italia è molto ibrida, vive di zone grigie dove gli editori e chi mette la pubblicità su quei progetti editoriali sono spesso interconnessi. Una cosa che io voglio dire con molta trasparenza è che molto spesso l’indipendenza giornalistica è totale, noi possiamo scrivere e dire quello che vogliamo, quello che invece influenza maggiormente secondo me l’output giornalistico, e quindi quello che scriviamo, è proprio la preparazione del singolo giornalista. Noi abbiamo tante redazioni in Italia che sono fatte di giornalisti cresciuti in altri tempi dove, per esempio, la questione climatica non era né studiata né così importante e quindi per tanti anni molti giornalisti non ne hanno scritto e si ritrovano ora ad essere la classe dirigente di un giornale e magari guardano la questione climatica con un occhio più disincantato rispetto ai temi politici con i quali sono cresciuti, sportivi, società e sui quali hanno formato il loro bagaglio culturale e lavorativo. Quindi non c’è una pressione o almeno non l’ho mai vista in tutti questi anni che ho lavorato nei giornali, ci sono giornali con identità e dna diversi, con più interessi politici, linee editoriali che vanno verso certi campi rispetto ad altri, fatto salvo i giornali di opinione dove lì non c’entra né la sponsorizzazione né l’editore ma solo la linea editoriale alla fine c’è molta trasparenza e libertà. Un altro discorso dobbiamo farlo sui progetti editoriali direttamente sponsorizzati, quindi un prodotto che nasce come serie di interviste prodotta da un marchio, a quel punto lì, essendo un prodotto nuovo ed ibrido, il controllo editoriale viene fatto diversamente.”
Joe Casini: “Quando è uscito fuori il fenomeno del greenwashing ha fatto un po’ da camera di risonanza. Ti volevo domandare: come vedi questo fenomeno? dal tuo punto di vista è meglio un’azienda che fa poco o un’azienda che piuttosto non fa nulla? cioè chi fa greenwashing in senso stretto, tu la vedi come qualcosa ipocrita o comunque meglio di niente?”
Nicolas Lozito: “Io credo che il discrimine sia tra il dividere il valore assoluto di un’operazione verde e invece guardo dal punto di vista relativo, per cui una piccola-media azienda che inizia ad investire sul verde e inizia a pubblicare quella svolta che le è costata tanto perchè ha dovuto rivedere tutti i sistemi produttivi, ha dovuto fare assunzioni ed evidentemente ha un piccolo impatto ma messa in proporzione rispetto al fatturato o alla sua dimensione ci fa capire la serietà, il percorso intrapreso, è tutto in prospettiva. Se abbiamo una grande azienda, un holding che contiene dentro di sé tanti altri marchi, e vediamo come racconta perchè il problema del greenwashing è la diversa prospettiva tra il racconto che facciamo di una nostra operazione verde e l’effettiva quantità di quel verde che è riuscito a pervadere tutta l’azienda. Quindi se io racconto per l’80% nelle mie pubblicità le mie operazioni verdi ma poi le mie operazioni verdi rappresentano solo l’8% del fatturato allora quell’enorme divario diventa il problema. Il problema sta proprio lì, non sta nel ho fatto o non ho fatto abbastanza ma sta ‘ho fatto abbastanza in prospettiva di quello che poi realmente sono’. Succede la stessa cosa con noi, se sono corretto con gli amici solo quando ci sono le telecamere allora diventa un problema di rappresentazione di me stesso che è totalmente falsa. Ecco bisogna stare attenti a queste con il greenwashing, se vediamo il grande marchio di bevande che ci presenta la sua svolta verde, ma poi sappiamo che tutto il resto del business è fatto in un modo allora si deve venire qualche sospetto, se lo vediamo con la piccola-media azienda , e in Italia sono tante quelle che stanno provando a farlo, e mi sento di difenderle, perché poi è difficile anche trovare le persone giuste con cui parlare per confrontarsi e dire ‘proviamo a fare un prodotto verde senza cadere nel greenwashing’ e lì ti devi fidare di chi ha già provato, però sono ancora poche le aziende che lo fanno quindi è un percorso e dipende se il primo passo lo facciamo volontariamente o sapere se ci hanno punzecchiato.”
Joe Casini: “Mi interessava il riferimento che facevi alle aziende virtuose perché poi uno cerca per raccontare non soltanto gli aspetti negativi i casi da stigmatizzare ma magari anche i casi virtuosi. Volevo farti una domanda rispetto alla polarizzazione: nella narrazione che si fa on-line, questo è un fenomeno che diventa fortemente polarizzante, tu vedi che c’è questa polarizzazione e quindi chi cerca questo tipo di informazione cerca il nemico da combattere, la grande azienda da stigmatizzare o c’è un interesse sincero anche da parte nostra a cercare aziende virtuose, i casi positivi a essere dei consumatori critici e quindi essere proattivi in questo processo di cambiamento?”
Nicolas Lozito: “Due cose mi vengono in mente la prima che effettivamente c’è una narrazione che sta andando verso il bianco e nero, io dico sempre una cosa che è un po’ Naif, però la dico spesso, per l’occhio umano il verde è il colore con più sfumature, c’entra quando eravamo ominidi e ci siamo evoluti piano piano e siamo arrivati a diventare Homo Sapiens perché avevamo bisogno di capire se quel verde che avevamo di fronte era un posto sicuro, potevamo nasconderci, potevamo mangiarlo, etc e quindi io credo che nel racconto dobbiamo fare in modo che tutte quelle sfaccettature di verde vengono fuori esattamente come le vediamo con gli occhi, dobbiamo essere capaci di individuarle nella ambientalismo. è anche vero la comunicazione è cambiata molto, c’entrano i social, c’entra persino la pandemia perché è diventata molto performativa perché le persone vanno di fretta, hanno poco tempo, però hanno dei canali dove poter emergere. Mentre una volta dovevi aspettare che la TV ti chiamasse, la radio ti chiamasse, ti chiedessero di scrivere un libro, adesso puoi emergere, però per emergere devi essere super performativo, devi avere pronta la cosa da dire in 30 secondi e fare breccia. E ripeto c’entra anche la pandemia perché con essa abbiamo scoperto che la partecipazione, basta pensare al friday for future, è diminuita e la collettività diventa un po’ meno interessante e invece emergono i singoli. Se pensi all’attivismo oggi è più arrabbiato e molto più performativo: le zuppe sui quadri, l’imbrattamento di statue ed edifici. Riuscire poi ad essere mediatori, che è un po’ il mio obiettivo, e trasformare quell’argomento in un dibattito culturale dove valgono anche le contraddizioni, secondo me, è una sfida interessante e una battaglia persa però è divertente stare lì perchè io mi sento personalmente meglio, poi purtroppo le cose che vanno meglio quando scrivo su instagram sono quelle dove dire una cosa sola e la dico anche in maniera esagerata.”
Joe Casini: “Mi interessa la tua opinione dato che hai citato friday for future, c’è tutto il tema dell’attivismo che anche qui viene infarcito di retorica, da questo punto di vista coma la vedi? Ha secondo te un valore particolare il fatto che una nuova generazione, anche cercando di fare clamore sulle proprie istanze, punti il dito sul tema?”
Nicolas Lozito: “Fa capire come in pochi anni la speranza che c’era nel 2019 quando solo in Italia friday for future portava in piazza 1 milione quasi 2 di persone si sia trasformata non solo in rabbia, quando viene deluso dalla politica, ma soprattutto in disperazione quasi che sfocia in certi attivisti giovani con cui parli di nichilismo perché il cambiamento climatico era un fenomeno che ci avrebbe coinvolto in futuro. Greta Thunberg diceva ‘che mondo ci lascerete?’ ‘noi dovremo sistemare tutti i vostri pasticci’. Poi nemmeno con la pandemia siamo migliorati come specie umana e soprattutto con il fatto che il cambiamento climatico fosse là fuori a quel punto scatta una roba nel cervello per cui non puoi più fare filosofia del cambiamento climatico ma devi fare azione, i governi non lo fanno e ti senti totalmente preso alla sprovvista, indifeso e mentre pochi si arrabbiano tanti altri navigano in questo mare di eco ansia, delusione, disfattismo dove è difficile trovare una soluzione perché nel sistema economico che abbiamo le soluzioni sfociano nel greenwashing, nel fare poco, nelle azioni individuali che contano solo se le racconti e a quel punto arriva quell’ondata forte di impotenza oppure voglia di spaccare tutto. Non lo sto dicendo con giudizi di valore, non sto dicendo che è giusto o sbagliato, però dal punto di vista di narrazione dell’evoluzione dell’umanità siamo arrivati al punto in cui quella roba non è più ’adesso ci aiutiamo’ o ‘adesso con la nostra forza di giovani chiediamo alla politica’ adesso è proprio li mando a quel paese.”
Joe Casini: “Secondo te è giusto o sbagliato?”
Nicolas Lozito: “La protesta non sarà mai legittimata dall’universo mondo. Io sono stato pubblicamente molto contrario alle azioni performative che hanno a che fare con le opere d’arte, con statue ed edifici, quindi tutto ciò che ha a che fare con la vernice perchè mi sembra narrativamente poco funzionale e poco diretto perchè se te la prendi con una cosa bella per denunciare una cosa cattiva è un po’ come se, faccio un esempio con il signore degli anelli, Frodo che vuole sconfiggere Sauron e si girasse a tirare una sberla agli elfi che sono tanto belli. Quindi quella roba funziona poco. Black lives matter un po’ di anni fa quando imbrattano le statue dei colonizzatori, degli schiavisti, lì il messaggio era diretto, potevi essere d’accordo o non d’accordo però lo capivi. Me la prendo con la statua perché rappresenta un mondo che non voglio più nella mia città, narrativamente è immediato poi puoi parlare e la strategia mediatica del purché se ne parli funziona sempre, da sempre un carico mediatico molto importante rispetto a scendere in piazza in 100 invece che in 100.000, quindi bisogna trovare delle forme di comunicazione delle proprie azioni che siano sempre coerenti e super comprensibili. Loro dicono, giustamente, guardate il dito e non la luna però se il dito è molto verniciato è evidente che ci attrae perché siamo fatti così, siamo persone semplici, che guardiamo tutto come buoni o cattivi, mentre i personaggi di Ultima Generazione forse stanno meglio in una serie tipo Game of Thrones dove non sai esattamente chi è buono e chi è cattivo e questo è complicato perchè devi spiegarlo a tantissime persone e quelle persone sappiamo bene che alla fine vogliono le cose semplici.”
Joe Casini: “Una delle domande nella fase conclusiva è quella che chiamiamo della birra di troppo. Volevo farti una domanda che riprende un paio di cose di cui hai parlato tu, da una parte il valore sistemico, la prospettiva sistemica che ci da la sostenibilità e le crisi climatiche e dall’altra parte il fatto dell’interdisciplinarità anche nel giornalismo. La domanda è: il primo step quando si parla di crisi climatica è la questione della morte, ci sono poi le sfumature di cui parlavi tu che fanno sì in realtà ci siano delle crisi che si attivano tra di loro partendo da come una crisi climatica genere crisi geopolitiche, crisi economiche, l’impatto che hanno sui fenomeni migratori, da questo punto di vista forse la narrazione che facciamo paradossalmente è un pochino semplice. L’impressione è che non riusciamo ancora a capire bene che quando parliamo di crisi climatica non parliamo solamente di ambiente e ai limiti ci estingueremo tutti ma vuol dire mettere uno stress pazzesco su tutti i nostri sistemi. Noi tendiamo a vedere questi fenomeni come compartimentati, in questo manca forse un passaggio ulteriore, come la vedi?”
Nicolas Lozito: “Io credo che siamo ancora in una fase in cui questi argomenti per il pubblico vengano semplificati e invece l’operazione da fare è sintetizzarli, quindi prendere una cosa che è 100 trasformarla in una cosa che è 10 a livello di comprensibilità ma che mantiene l’essenza. Il cambiamento climatico è un po’ come quel maggiordomo dei gialli degli anni ‘80 c’entra sempre però non è sempre l’assassino, nel senso che noi adesso abbiamo la tendenza a vedere il mal tempo e dire ‘ah non è mal tempo ma cambiamento climatico’ che è giusta come affermazione ma per convincere, non solo gli ambientalisti ma anche le persone che non sono ancora del tutto convinte, dobbiamo spiegarlo un po’ meglio. Il cambiamento climatico è un moltiplicatore di eventi meteo estremi, ci porta a più siccità a piogge più improvvise e frequenti tutte in un colpo solo, le alluvioni improvvise, è un moltiplicatore di conflitti dove già ci sono, è un moltiplicatore di migrazioni. Quindi se prendi quel moltiplicatore e lo metti in un paese, in uno stato, in un territorio fragile allora agirà in maniera molto intensa se lo metti in un posto dove già ci si è adatti o è meno fragile allora agirà di meno. Per quello veniamo colpiti in maniera diversa dal cambiamento climatico, l’Italia è un paese idrogeologicamente molto fragile e quindi ci rendiamo conto che ci sta colpendo più del previsto però dobbiamo dire queste cose e intendere il cambiamento climatico non come una causa che porta ad un effetto ma come un moltiplicatore che tu inserisci in qualsiasi equazione e ti aumenta il risultato. Una volta che riesci a dare questa chiave qua fai in modo che le persone guardino quell’argomento in maniera critica e razionale e allo stesso tempo non perdano di vista che un giorno gli dici ‘c’è la siccità è colpa del cambiamento climatico’ il giorno dopo dici ‘ha piovuto è colpa del cambiamento climatico’ e la gente, un po’ come le azioni di Ultima Generazione, dice ‘ma com’è possibile che vale tutto?’ vale tutto perché è un per qualcosa che abbiamo messo alla fine dell’equazione”
Joe Casini: “Riprendendo un po’ quello che dicevi tu sugli aspetti di comunicazione degli attivisti, quindi quant’è importante trovare il freaming giusto in modo che chi ti segue coglie bene il significato. A proposito di cambiamento climatico c’è quella frase famosa sul come non parliamo più di crisi climatica ma di cambiamento climatico che sembra anche una cosa positiva, anche qui quindi l’importanza di far arrivare il messaggio, dare la cornice giusta e riuscire a toccare le leve giuste del cambiamento. Il tempo è volato, siamo in chiusura quindi ti faccio l’ultima domanda che è il Secret Santa. Il primo ospite che ti propongo è Paolo Benanti che è un frate che si occupa degli aspetti etici legati alla tecnologia. Il secondo è Alberto Puliafito, direttore di Slow News quindi abbiamo parlato di slow journalism e giornalismo. La terza è Rossella Pivanti, producer in particolare di podcast quindi abbiamo parlato di come i medium che utilizziamo danno la possibilità alle aziende di avere risonanza. Qual è quello che ti incuriosisce di più?”
Nicolas Lozito: “Io vado su Paolo Benanti perchè fede e tecnologia sono una bella intersezione.”
Joe Casini: “La domanda che ti ha lasciato è: secondo te c’è qualcosa di cui stiamo consumando troppo? Di cosa possiamo fare a meno? C’è una qualche risorsa di qualsiasi tipo della quale stiamo abusando e di cui magari potremmo farne a meno?”
Nicolas Lozito: “Qui è facile, gli idrocarburi in generale: petrolio, gas e carbone. Tante volte non diciamo qual è la colpa del cambiamento climatico di origine antropica ma la colpa è che noi abbiamo generato il nostro progresso per tantissimi anni, dalla rivoluzione industriale ad oggi, grazie agli idrocarburi ad un certo le aziende che li estraevano e producevano hanno capito, gli scienziati e i governi hanno capito, che dobbiamo smettere di usarli e fare il possibile, il problema è che non abbiamo fatto abbastanza. Quindi io non voglio dare la colpa al carbone, al gas e al petrolio di esistere, perchè ripeto ha portato progresso in tutto il mondo e il benessere che abbiamo è grazie a loro, però dobbiamo farne a meno. Un’altra cosa che consumiamo troppo è il tempo online e dovremo iniziare a ribaltare l’equazione dove il tempo online ha ormai superato il tempo là fuori.”
Joe Casini: “Rompo il format perchè la puntata sarebbe dovuta finire qui ma hai acceso un’ultima connessione e quindi ti faccio un’ultima domanda. Abbiamo fatto nella prima stagione una puntata con l’avvocato dell’atomo, abbiamo parlato di nucleare e secondo lui il tema del nucleare rientra nel tema della sostenibilità e dell’ambientalismo, nel senso che dal suo punto di vista un ambientalismo più consapevole andrebbe incontro e promuoverebbe il nucleare. Secondo te quella è parte della soluzione al problema o no?”
Nicolas Lozito: “è parte della soluzione al problema perché noi nel minor tempo possibile dobbiamo dire addio agli idrocarburi, non dico che ogni strada vale però è evidente che nei paesi dove il nucleare c’è già dove è già stato avviato è la soluzione. La Germania spegne i suoi reattori per favorire, non potendo più comprare il gas dalla Russia, le miniere di carbone, lignite e li usa è un errore strategico, loro però hanno paura del nucleare per tutta una serie di ragioni storiche e psicologiche e quindi ne fanno a meno. Così come hanno dei problemi le rinnovabili, non è che sono gratis, quindi è evidente che il nucleare è parte della risposta. Il nucleare in Italia non so se è la risposta perchè non abbiamo abbastanza tempo per svilupparlo e una burocrazia sufficientemente snella per poter arrivare fino a quel punto in cui tra 5/6 anni installiamo la nostra prima centrale nucleare. Detto questo bisogna parlarne, avere un approccio naif o poco informato sta causando un po’ di problemi.”
Joe Casini: “Ti ringrazio per essere stato qui con noi oggi.”
Nicolas Lozito: “Grazie a te Joe, la prossima volta aggiungiamo un’ora.”
Joe Casini: “Un saluto tutti e vi auguro una buona domenica. Ci vediamo tra due settimana con la prossima puntata del podcast e domenica prossima con la newsletter.”