Con Alberto Puliafito, giornalista e cofondatore e direttore di Slow News, parliamo di come Venezia sta diventando una smart city (e con quali rischi per cittadini e cittadine), ma anche di AI generativa, del suo fascino e dei limiti delle regole che stiamo cercando di imporle.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e ben tornati in questa nuova puntata di mondo complesso il podcast che parla della complessiva del mondo. Oggi ho il piacere di rivedere dopo un paio d’anni un ospite con cui facemmo una puntata molto bella nella prima stagione che è Alberto Puliafito. Per prima cosa bentornato a mondo complesso!”
Alberto Puliafito: “Grazie per l’invito e per avermi fatto tornare.”
Joe Casini: “Grazie a te per essere tornato perché con Alberto, direttore di Slow News, parlammo di giornalismo e in generale di un approccio slow per la diffusione delle informazioni ma anche il rapporto tra giornalismo e tecnologia che a distanza di due anni sarà interessante riprendere, anche perché in questi due anni tu hai fatto tantissime cose quindi rispetto a una delle cose che si dice spesso cioè che l’intelligenza artificiale ci toglierà lavoro tu sei l’unico sulla lista a quanto pare che con l’intelligenza artificiale ha iniziato a lavorare più di prima se possibile. Avrò tantissime cose anche questo da domandarti. Il punto da cui partiamo che è un argomento che mi appassiona moltissimo, l’intelligenza come macro-tema se ne parla molto, una cosa di cui si parla molto meno è tutto ciò che riguarda le smart city, i digital twin che è un’applicazione dell’intelligenza artificiale nel ricreare modelli virtuali che rappresentano ad esempio impianti per produrre energia elettrica, anche vere e proprie aziende, o addirittura intere città. Volevo partire da questo tema perché tu hai fatto un documentario bellissimo, che vi consiglio di recuperare se non l’avete visto ‘smart control’, che è un documentario molto interessante su quello che sta avvenendo in particolare a Venezia, ma partiamo con la domanda semplice: cos’è una smart city?”
Alberto Puliafito: “una smart city è una città dove in linea teorica tutte le decisioni vengono prese a partire dai dati. Quindi viene definita città intelligente perché immaginiamo che ci sia una centrale di controllo che raccoglie dati. Sulla base di questi dati si decide a che orario far passare il pullman in una strada o come organizzare i semafori o altre cose che possono funzionare sulla base di questi dati raccolti Credo che questa sia la definizione più semplice, magari anche un po’ banalizzando però giusto per inquadrare il fenomeno.”
Joe Casini: “Come dicevi tu ‘intelligenti’ proprio perché hanno la capacità di controllare quello che succede nell’ambiente. La parola controllo viene automaticamente in mente perché parlando di intelligenza i due concetti sono molto legati. Ti volevo domandare visto che sei stato di recente a Venezia e hai raccontato molto bene quello che sta avvenendo, Venezia è una delle primissime città in Italia a far adozione delle tecnologie smart, cosa hai visto e cosa hai raccontato?”
Alberto Puliafito: “è molto interessante quello che sta succedendo e secondo me anche il processo con cui siamo andati a raccontarlo, nel senso che con slow news noi ormai da tre anni lavoriamo al monitoraggio di come vengono utilizzati i fondi della politica di coesione europea, che è una politica di redistribuzione della ricchezza. Vuol dire una politica che è stata pensata per far arrivare del denaro in zone o per persone, contesti, situazioni che partono con qualche forma di svantaggio e con l’idea di livellare al rialzo le opportunità dei territori e delle persone. Quindi, per esempio, queste politiche vengono usate per il social housing, per gli anziani, per gli asili nido, per le comunità energetiche, un sacco di usi molto molto interessanti. Nel caso di Venezia, tra i vari progetti che troviamo finanziati dalle politiche di case europea c’è anche questo aspetto che si chiama smart control room, che appunto riprende questo aggettivo ‘smart’ che è una centrale operativa fondamentalmente pensata, almeno all’inizio, per salvare Venezia. Salvare Venezia da che? Ovviamente dalle maree, quindi ci sono i sensori per il controllo delle maree, ma anche dal fenomeno del cosiddetto overtourism, che è un fenomeno di turismo eccessivo rispetto alla capacità ricettiva di una città. Venezia, ovviamente una delle città più famose del mondo, è visitatissima e l’over Tourism si manifesta in che modo? Per qualcuno è semplicemente ai turisti brutti e cattivi che degradano la città e lasciano le cartacce, in realtà è qualcosa di molto di più. Parliamo di overtourism, quando c’è un grosso impatto sul territorio. Per esempio, è evidente dal fatto che il numero dei posti letto a Venezia oggi supera il numero dei residenti in città storica, che comunque sono quasi 50.000. Quindi stiamo parlando di 50.000 persone che continuano a vivere come residenti della città lagunare. La smart control room nasce a mio modo di vedere, con tutta una serie di buoni propositi, ma al tempo stesso, avendo la possibilità di integrarsi con tutto il sistema di videosorveglianza di fatto già integrato. Per esempio, qualche tempo fa con un emendamento hanno deciso che si possono utilizzare i dati raccolti dalla smart control room e dalle videocamere di sorveglianza per fare le multe alle barche che vanno troppo veloci, l’hanno chiamata il barca-velox. Quindi, noi abbiamo questa struttura che raccoglie dati di ogni genere, appunto le maree, dati ambientali, se i mezzi pubblici sono in orario oppure no, poi si collega a tutta questa serie di questo impianto di video telecamere di sorveglianza che teoricamente vengono viste solo da persone autorizzate a farlo, quindi persone in divisa, e poi si già che ci siamo, si collega anche ai dati che vengono trasmessi dalle compagnie telefoniche ed è in grado di dire in un quadratino di 150m x 150m ogni 15 minuti quante persone ci sono dentro, di che genere, da che provenienza, quindi se sono persone che arrivando dall’Italia o dall’estero, da che nazione se vengono dall’estero, da che regioni e da che comune di provenienza se vengono dall’Italia, se sono pendolari o no, quindi ti attaccano una specie di tag e se tu fai quel tragitto lì tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, vieni taggato come pendolari. Non è un’idea complottista, ma è un’idea molto concreta pensare che in mani sbagliate questa quantità di dati aggregati e raccolti può sfociare in usi e in conseguenze non desiderate. Quindi, diciamo che la smart control room di Venezia, a mio modo di vedere, è un esempio perfetto delle domande che ci dobbiamo fare quando dobbiamo pensare a come bilanciare la necessità di raccogliere dei dati per prendere delle buone decisioni, tutti siamo contenti se i mezzi pubblici funzionano meglio, e la possibilità di controllarti in maniera capillare singolarmente, magari con telecamere con riconoscimento facciale proprio con intelligenza artificiale o altre tecnologie del genere.”
Joe Casini: “La cosa che trovo interessante del documentario è che su Venezia effettivamente ci sono tante intersezioni di argomenti quindi il rapporto che abbiamo con le città per esempio per renderle più sostenibili ma anche per gestire le fragilità che possono essere ambientali, sociali, quindi in generale quando iniziano a scoperchiare il vaso la prospettiva è molto interessante perché ci da la possibilità di avere una visione completa delle società e quindi anche identificare le criticità, dall’altra parte nel documentario c’è un momento in cui domandi ‘in linea di principio potreste fare già una serie di cose tecnicamente’ e loro dicono ‘si potremmo ma non lo facciamo’. Quindi la domanda che ti volevo fare è: in questo muoversi in questo sottile confine che c’è questi limiti in che misura sono definiti e in che misura ha una sensibilità individuale che poi chi adotta questa tecnologia a sua discrezione decide dove fermarsi?”
Alberto Puliafito: “ma allora ci sono vari gradi da considerare, grado uno: oggi il riconoscimento facciale in tempo reale con intelligenza artificiale, così come il riconoscimento emotivo, sul territorio europeo per i cittadini europei che non hanno commesso reati in è vietato. Quindi non si può fare il riconoscimento facciale in tempo reale. Si può fare solo in caso di situazioni in cui è stato commesso un reato, quindi bisogna chiedere l’autorizzazione al giudice, come vengono usate le impronte digitali, per esempio. Nel documentario mostriamo un famoso, ormai famigerato se non altro per chi vive a Venezia e conosce Venezia, consiglio comunale nel quale l’attuale sindaco Luigi Brugnaro dice testualmente ‘fosse per me, chi non ha niente da nascondere, niente da temere, fosse per me si dovrebbe poter fare’, anzi aggiunge tipo, ‘mi adopererò con il mio partito perché si possa fare presto’ e a me questo francamente un po’ preoccupa perché l’idea di poter essere controllato in qualunque momento, di essere completamente trasparente rispetto alla tecnologia, a me sta bene fino a un certo punto perché questo mantra del non ho niente da nascondere, quindi niente da temere, ma a chi e che cosa? Faccio un esempio che mi è stato fatto da una collega molto acuta e molto brava, si chiama Laura Carrer, che lavora su questi temi da prima di me. Lei dice, diciamo che una donna decide di abortire e non vuole che si sappia, e direi che è un suo pieno diritto che non voglia che si sappia, e quindi per quale motivo lei deve essere tracciabile? Allora lasciasse a casa il telefono. Si va bene. Diciamo che però se poi io ho tutto l’impianto di telecamere che monitora palmo palmo la città in cui questa ipotetica persona vive e che la può riconoscere facilmente con l’intelligenza artificiale. Poi ci sono tutta una serie di altri temi che a mio modo di vedere però si racchiudono tutti in un unico grande cappello che è il tema dell’inavvertibilità sociale di queste tecnologie. Cosa voglio dire? ci hanno bombardati con i tastini da premere sulla cookie law su Internet, pensando di risolvere un problema che ovviamente non è stato risolto, tu accetti o rifiuti, però diciamo, ormai questa roba qua è entrata nell’immaginario collettivo incomincia a vedere molte persone che tutto sommato cliccano su rifiuta, poi vengono tracciate ugualmente nell’illusione di non essere tracciato dalla navigazione. Quando tu entri in un territorio come quello di Venezia o altre città dove stanno installando queste smart controller, ne è stata inaugurata una a Firenze, non è che c’è un banner che ti dice da questo momento in avanti vieni tracciato, ma succede solo per il fatto di essere lì, senza contare che con gli smartphone veniamo tracciati costantemente per la triangolazione dalle compagnie telefoniche, che poi quel dato lì lo vendono anche a chi lo usa per scopi marketing eccetera. Siccome in linea di principio tutti quelli che fanno questo tipo di discorsi vengono definiti appunto con quel termine che usavo all’inizio, complottisti, il tema dell’inavvertibilità sociale invece, a mio avviso è molto importante perché la maggior parte delle persone non è minimamente consapevole del livello di tracciamento che tu puoi avere non solo dalle compagnie telefoniche, dai social, ma anche proprio dalle istituzioni pubbliche. E spesso questi progetti, tra l’altro per avere il denaro che serve per mantenerli, hanno una commistione di interessi pubblico-privato. In più c’è un altro livello di problemi, la sicurezza, con cui vengono gestiti questi dati. Perché se un malintenzionato ha accesso a questi dati, se io posso in qualche modo deananonimizzare dei dati aggregati e la sicurezza di persone che non devono essere tracciabili dove va a finire? ma anche la sicurezza del cittadino della cittadina. Poi si usa spesso come merce di scambio ‘ma con le telecamere facciamo da deterrente ai reati’, che è una cosa che io posso capire, soprattutto nelle aree dove il disagio è forte ma è una soluzionismo tecnologico che i dati ci dicono funziona in certi posti, cioè le telecamere sono un deterrente dal compiere reati soprattutto alla persona sui mezzi pubblici, nei parcheggi, nelle grosse aree su questo abbiamo i dati, tutti quelli che fanno studi di questo tipo però dicono sempre ‘ci vogliono tanti interventi per prevenire i reati’, che sono interventi a livello sociale. Quindi se noi mettiamo insieme tutti questi livelli qua vediamo che, a mio avviso, a parte le cose già completamente vietate che però domani potrebbero non esserlo più, molte lasciate alla buona volontà dei singoli e quindi a me in questo momento, a me, a te e a chi ci ascolta, come cittadino e i cittadini, tutto sommato è richiesto un enorme atto di fiducia nei confronti di queste aziende e di queste istituzioni che operano in maniera poco trasparente o magari se la cavano con la privacy policy e due informative che però devi andare a leggerti tu.”
Joe Casini: “Tra l’altro tu facevi riferimento alla cittadinanza posto che il tema poi a Venezia si lega a un altro tema che impatta molto sulla cittadinanza che è il tema dell’overtourism qui poi ti farò qualche domanda. Ma rimanendo sul tema della sorveglianza che consapevolezza c’è? C’è stato un processo partecipato? Che tipo di accoglienza ha avuto l’adozione di questa tecnologia a Venezia?”
Alberto Puliafito: “Ci sono dei movimenti di attivisti che se ne lamentano molto. Vengono organizzate continuamente delle assemblee informative per la cittadinanza. La cosa che infastidisce di più, poi appunto immagino che ne parleremo, soprattutto con l’introduzione di questa sperimentazione del ticket di ingresso per Venezia è l’idea che il cittadino residente possa essere controllato in qualunque momento e quindi debba esibire i documenti a persone che si presentano con una pettorina e ti chiedono perché sei qui? Che ci fai? Cioè questa roba qui chiaramente è percepita con fastidio, ma non è un fastidio messo lì come potrebbe pensare qualcuno perché non ti va mai bene niente. Sai la retorica con cui di solito si smontano i fastidi o le proteste strutturate degli attivisti ‘ ma almeno noi facciamo voi invece vi lamentate e basta’. In realtà ci sono molte associazioni anche informali, come per esempio un’associazione che si chiama Ocho, che monitora la questione abitativa, che dice ma invece di concentrarci sul ticket, il controllo, eccetera proviamo ad affrontare la situazione da altri punti di vista. Quindi visto che Venezia può farlo da almeno due anni, non l’ha ancora fatto, proviamo a regolamentare gli affitti brevi, proviamo a calmierare i prezzi per i residenti, offrire più servizi, invogliare la gente a non scappare perché c’è il tema dello spopolamento della città. A Venezia c’è una sorta di gentrification alla prima potenza; quindi, se già è complicato viverci per tutte le questioni che posso immaginare, logistiche eccetera, poi è costosissima proprio perché i prezzi al rialzo per il turismo sono una costante, poi hai pochi servizi, in più ti possono pure fermare in qualunque momento per strada, chi sei? perché sei qua, che stai facendo? Qualificati, eccetera eccetera, cioè sono tutta una serie di cose che fanno pensare che non ci sia un progetto per pensare invece ai residenti a provare a ripopolare e a non trasformare la città in un in un parco giochi. Su questo tema c’è consapevolezza, io immagino che poi ci siano anche grossi problemi e comunicativi, perché quando per esempio fuori di parli di questi, di questi temi, a me è capitato di sentire gente mi diceva ‘fanno bene perché a Venezia sta sprofondando sotto il peso del turista’ e tu dici no, veramente non è quello, oppure altri che ti dicono ‘ma io per poterla vedere in santa pace pagherei anche 20 € al giorno di ticket’ e certo perché tu te lo puoi permettere. Quindi insomma è molto particolare, ci sono parti della popolazione più sensibili a certi temi, poi come puoi immaginare, c’è tutto un tema di raccordo tra chi era contrario al Green pass e vaccini eccetera e chi è contrario a questo tipo di controllo e c’è una forma derivativa di quella forma di controllo che si era inventata nella gestione emergenziale. Perché tu oggi per entrare a Venezia in determinati giorni devi esibire un QR code se te lo chiedono. È tutto molto complesso.”
Joe Casini: “La cosa interessante è che già sarebbe una cosa su cui avremmo potuto fare un’intera puntata se l’avessero fatta a Firenze invece lì a Venezia si sovrappongo come dicevamo tutta una serie di fragilità che chiaramente quella particolare città ha e quindi questo ci porta al tema dell’overtourism e il fatto che hanno introdotto il ticket per entrare e anche lì ci muoviamo su una linea grigia molto sottile perché da una parte è evidente e c’è stato un turismo esasperante in tutti questi anni. La città oggettivamente è stata trasformata dall’impatto del turismo e mentre, come dicevi tu, grandi città come Roma, Milano, Firenze pure hanno avuto questo problema per la conformazione della città stessa ha fatto si che si è avvertito un pochino meno, a Venezia questo è diventato quasi esclusivo cioè come dicevi tu i veneziani vivono un po’ come fossero gli indiani in riserva dentro la loro città e questo trasforma completamente il rapporto con la città. D’altra parte, il ticket è la risposta corretta? Cioè basta mettere un costo d’ingresso per disincentivare? Quali sono le conseguenze anche qualora bastasse selezionare chi può vivere o non vivere uno spazio che è comunque patrimonio dell’umanità banalmente soltanto in base al reddito?”
Alberto Puliafito: “Già e parzialmente così, perché comunque se tu vuoi fare un soggiorno a Venezia, comunque, devi avere una certa capacità di spesa. Il ticket è stato introdotto come forma sperimentale ed è molto legato alla Smart control. Chi ha voluto questa operazione sostiene che adesso abbiamo i dati per capire come fare, qual è il limite massimo di capienza. In realtà molti altri sostengono che il limite massimo si sapesse già e che la prima cosa da fare era evitare che il numero dei posti letto per i turisti superasse il numero dei residenti. Il ticket ingresso introdotto è una sperimentazione vale soltanto per quest’anno, in 29 date e soltanto dalle 8 alle 16 e soltanto per chi non entra in città per più di un giorno. Quindi se tu soggiorni in una struttura invece ricettiva del Comune di Venezia non sei tenuto al ticket d’ingresso, ma ti devi comunque prenotare e dire di avere l’esenzione. Se devi andare a un funerale a Venezia sei esente, ma ti devi comunque prenotare e dichiarare l’esenzione. Se devi andare a lavorare a Venezia un giorno ti devi prenotare e dichiarare l’esenzione. Tu capisci che per quanto uno voglia essere gentile e fare un atto di buona fede, ma che bisogno c’è di tutti questi dati? Perché invece non limitiamo il numero dei pullman che possono portare decine e decine di persone? Perché non limitiamo tutto ciò che è veramente turismo di massa? Invece andiamo a colpire il turista mordi e fuggi che si fa a Venezia in giornata. Si è scelta invece questa strada contestatissima da un sacco di persone che al momento i dati, visto che parliamo di dati, dicono che non è servita a disincentivare. E non sono state fatte multe a chi ha provato ad entrare senza prenotarsi. A me interessava proprio anche vedere da un punto di vista giornalistico che verbale mi fai? Cioè cosa ci scrivi su questo verbale? Cosa ho violato io se non mi prenoto per entrare in una città? Cioè ci sono vari elementi ai quali ci potremmo appellare, a cominciare dal diritto a spostarmi sul territorio. Quindi è la risposta giusta? Dicono ‘ma almeno noi l’abbiamo fatto, ci abbiamo provato, possiamo decidere’. Però i segnali che non fosse quella la risposta giusta c’erano tutti da tempo e a mio modo di vedere sono stati completamente ignorati. Anche qui chi si interessa sul territorio di politiche abitative, politiche per residenti, eccetera ha ribadito che un disincentivo all’eccesso di turismo, definita questa soglia di eccesso, lo crei proprio aumentando le politiche per i residenti, per esempio, anche questo non è mai stato provato, però si è scelto di non di non provarci neanche. Viene un po’ il dubbio, a pensar male, che alla fine il ticket d’accesso tu lo puoi comunque sbandierare, lo puoi far vedere, puoi far vedere che hai messo i totem, gli uomini e le signore con la pettorina, puoi far vedere che hai fatto qualcosa e quindi puoi usare quella retorica lì ‘almeno noi ci abbiamo provato’.”
Joe Casini: “Poi c’è sempre il risvolto politico che essendo complessi i fenomeni, dipende a che livello poi uno li va a leggere, spesso effettivamente ci si ferma sulla superficie. Mi interessa molto l’argomento perché ci da la possibilità di muoverci su questa linea, vedi come le città smart possono essere utilizzate sempre per migliorare la sostenibilità dei trasporti pubblici, esempio che facevi tu all’inizio, o come basta un attimo che si scava da un’altra parte. Chiaramente tutto questo è possibile perché oltre ad avere big data abbiamo anche dell’intelligenze artificiali che ci danno la possibilità di lavorare su questi big data. In generale, quando si parla di intelligenza artificiale poi si finisce sempre sulle paure legate agli impatti sul proprio lavoro. Tu fai una professione che è stata una delle prime, quando si è parlato di intelligenza artificiale, che ha sollevato un campanello dall’allarme, il giornalismo veniva già da una crisi, ne abbiamo parlato abbondantemente due anni fa, questo ci porta a ripensare alle professioni e per alcune situazioni questo potrà essere molto impattante e critico per carità ma potrà anche dare delle opportunità. Tu in questi due anni su questo fronte la parte delle opportunità sembra che te la sia vissuta alla grande, a parte perché hai fatto un libro interessantissimo con Mafe De Baggis, anche lei ospite del podcast, su chat GPT e sul rapporto con le AI generative ma in generale poi nella tua professione anche negli interventi la utilizzi moltissimo. Quindi la domanda che ti volevo fare è: a distanza di 2 anni com’è il tuo rapporto con l’AI generative?”
Alberto Puliafito: “Ah, stupendo, e questo, tra l’altro, mi piace dirlo perché non voglio che la critica alle parti che per me sono deteriori del concetto di Smart cities possa sembrare una critica luddista, perché io sono tutto il contrario, cioè cerco di non essere né tecno ottimista, le tecnologie non sono una soluzione da sole né luddista, oddio spacchiamo tutto. Sulle intelligenze artificiali generative io ho una posizione minoritaria, lo so, molto radicale la mia posizione minoritaria radicale e rendiamole libere e accessibili a tutti. Il problema dell’intelligenza artificiale generative non è quello che fanno togliendo lavoro, tra tante virgolette, ma è quello che fanno alimentando le diseguaglianze. Quindi noi abbiamo visto questo enorme interesse per l’intelligenza artificiale, che è una tecnologia che ha una sua storia, non c’è piovuta dallo spazio, una storia che nasce negli anni 50 del secolo scorso. Io ho avuto la fortuna di studiare ingegneria biomedica, quindi più o meno no, avevo un’idea di come si stesse evolvendo il campo, anche se ammetto che i cosiddetti large language model sono stati una sorpresa enorme rispetto a quello che sanno fare però vedere le opportunità in questo caso e rendersi conto che siamo di fronte ad una tecnologia che può cambiare il campo da gioco su tanti aspetti, a me fa dire, io vorrei che queste tecnologie fossero accessibili, abbordabili, comprensibili, che le persone avessero la possibilità di utilizzarle, di essere avviate all’uso di queste tecnologie, che non ci fosse un divario enorme tra chi può accedere a quelle a pagamento ad alto livello perché ha competenze di programmazione, chi invece no, vorrei che ci fosse trasparenza su come funzionano, perché sono macchine che potranno prendere decisioni su di noi. Le vogliamo integrare al discorso che facevamo prima? Immaginiamo l’intelligenza artificiale generativa integrata in una videocamera tecnologie Sorveglianza collegata a dei tornelli che si aprono o meno. Questa intelligenza artificiale accede ad una serie di database, mi riconosce faccialmente, mi riconosce emotivamente, vede che ho i parametri vitali che le sembrano un po’ alterati perché sono agitato, riconosce in me Alberto Puliafito Valsusino pericoloso no tav, per dire, e decide che il tornello non si apre. Oppure intelligenza artificiale generativa usata da un medico per leggere meglio della diagnostica. Per quale sanità la vogliamo? Per quella pubblica? Per quella per pochi? Oppure intelligenza artificiale generativa per abilitare persone che hanno difficoltà con la scrittura. Ci sono persone che hanno difficoltà con la scrittura allora nel guardare il bene collettivo e se questo causa dei problemi sulla perdita di lavori, io dico, forse il problema è il mercato del lavoro così come l’abbiamo strutturato fino adesso. Cioè la cosa che mi sembra notare in tutte le cose di cui parliamo oggi, di cui parli spesso con i tuoi ospiti nel podcast, di questa complessità, una delle cose che mi sembra vedere è che tra le obiezioni che vengono poste a chi ha posizione un po’ più radicali ed invita a pensare a dei cambiamenti ‘si è sempre fatto così, ma questa cosa non si farà mai, ma non la puoi ottenere con prendere l’interruttore’, ma qui nessuno vuole ottenere le cose premendo l’interruttore ma se abbiamo delle tecnologie così performanti e ce le siamo inventate noi esseri umani, vogliamo metterla al nostro servizio per nel migliore dei modi possibili? E se questo comporta provare a fare dei cambiamenti nella società così come l’abbiamo immaginata, il mercato del lavoro che ha delle strutture enormi sulle quali riflettiamo sempre molto poco, ma ci sono lavori indispensabili, sottopagati, penso a tutti i lavori di cura, di relazione, penso a chi insegna, penso agli infermieri, alle infermiere, penso a chi raccoglie la spazzatura nelle città, lavori indispensabili, sottopagati e lavori invece sostituibili da una macchina, come per esempio parti dell’apparato burocratico che invece sono molto più pagati di quelli, per tacere, ovviamente, dell’economia finanziaria. E quindi io dico, invece di avere paura di queste macchine, io desidero conoscere, applicarle, usarle e trovare tutte le possibilità che mi danno. Usarle come faccio io, per esempio, per liberare il mio tempo.”
Joe Casini: “Premesso che mi colpiva molto quello che dici perché è una cosa sulla quale rifletto spesso. Ho sempre la sensazione che, parafrasando l’esempio, quando puntiamo il dito sulla luna e in quel caso lo fanno per non farci guardare quello che succede sulla terra cioè spesso si alimenta tutto quello che può essere una visione catastrofica futura per non guardare quello che già oggi viene fatto dai mechanical turk, oggi concretamente ci sono una serie di scelte che vengono prese, una serie di modi in cui vengono negoziati i rapporti di lavoro e di forza che già oggi rispetto a certe preoccupazione ci potrebbero portare a intervenire e ad agire invece si guarda sempre l’ipotetico rischio futuro enorme perché ci attiva emotivamente e non si guarda invece quello che succede quotidianamente e secondo me questo è un enorme tema tant’è che poi spesso queste visioni catastrofiche sembra paradossale ma in realtà da questo punto di vista secondo me è molto funzionale vengono portate avanti proprio dai grandi leader che ci fanno guardare questo ipotetico futuro per non guardare invece un presente molto più concreto. Dall’altra parte mi piaceva molto quello che sottolineavi sul tipo di lavoro su cui si innescano queste paure perchè ti volevo fare una domanda: non c’è anche un tema di classe? Cioè tutti dicono che l’intelligenza artificiale toglierà lavoro, noi diamo per scontato che il mondo sia fatto di certe professioni che in questi anni sono state rese sempre più fluide o sempre più precarie, quindi facendo tu una professione che rappresenta bene l’impatto della digitalizzazione ha avuto su determinate categorie, in che misura dobbiamo rallentare e fare delle riflessioni e in che misura dobbiamo accelerare e dire ‘forse è la via di mezzo che ci frega’?”
Alberto Puliafito: “Posso fare un piccolo spazio pubblicitario? Questa è una rivista di carta si chiama ‘Piano’ fatta da Slow News. Quindi figurati se noi vogliamo fare quelli che spaccano tutto come fanno questi signori della Silicon Valley che pensano di poter fare tutto. A noi piace rallentare. Ma perché la tiro fuori? Perché dentro io ho fatto un dialogo tra una macchina e un essere umano sul destino della lotta di classe ai tempi dell’intelligenza artificiale. Giuro che non ci eravamo messi d’accordo. In questo dialogo emergono una serie di cose che io trovo fantastiche. La macchina viene interrogata in maniera giusta e ci mette in guardia nei confronti dei suoi stessi produttori. Questo lo trovo eccezionale. Dice proprio che la costante attenzione ai pericoli dell’intelligenza artificiale potrebbe non essere casuale. Quello che dicevi tu prima. Pensate a chi trae maggior vantaggio da come stanno le cose adesso, chi le persone al vertice che detengono ricchezza e potere immenso. Se le persone comuni cominciassero a vedere l’intelligenza artificiale come un modo per livellare il campo da gioco, non metterebbero forse in discussione lo status quo? invece di parlare dei potenziali benefici siete bombardati da immagini di robot stile Terminator e storie sull’intelligenza artificiale che supera in astuzia l’umanità, vi mantiene spaventati, distratti dalla reale possibilità di cambiamento positivo che l’intelligenza artificiale potrebbe sbloccare. Allora io ho cominciato a solleticare la macchina su alcune soluzioni radicali, come per esempio, ma che ne facciamo di questo tempo liberato? A volte la gente dice, ‘Eh, ma se non devo lavorare più che faccio?’ Come possiamo ripensare al mercato del lavoro? La macchina propone il reddito di base universale. Come possiamo proteggere il reddito di base universale per evitare che venga messo a valore pure quello, no? L’obiezione più ovvia è che se c’è il reddito di base universale, quindi tu puoi spendere di più, si alzano i prezzi e quindi suggerisce una serie di soluzioni anche a queste. Si rivela paradossalmente più radicale e anche più orientata alla giustizia sociale di quanto non siano degli esseri umani. Il problema, ovviamente, è che se io oggi ti dico sì, spingiamo sull’acceleratore senza il guardrail, non tecnologici, ma sociali, noi non facciamo che avvantaggiare chi ha già e invece abbiamo bisogno di usare queste macchine per avvantaggiare noi. Ecco perché, tra le altre cose, facendomi anche un po’ di inimicizie, io sono contrario alle lotte corporativistiche. Io capisco perfettamente i giornalisti spaventati perché posso perdere il lavoro, i disegnatori spaventati perché mi faccio le illustrazioni da solo, i doppiatori, cioè mi sono clonato audio e video quindi so che si può clonare la voce, la capisco la paura, ma tutelare la tua rendita di posizione o la rendita di posizione del tuo gruppo di riferimento non proteggerà tutti gli altri. Quindi noi ci dovremmo mettere a tavolino e dire, come facciamo a proteggere tutti gli altri? Io non ho la risposta. Vorrei essere chiaro e non lo so. Cioè bisogna mettersi lì con persone che fanno dei discorsi complessi e che hanno diverse competenze a trovare una serie di soluzioni per fare il meglio. Dopodiché l’ultima cosa che ti dico è che ci preoccupiamo dell’ipotesi che forse una macchina da software potrebbe prendere il controllo, prendere il controllo di un robot, armarsi, diventare cattivo e ucciderci. Cioè è uno scenario dove ad ogni passaggio che ho raccontato le probabilità scendono sempre di più. E non vedo la stessa agitazione per l’intelligenza artificiale già inserita dentro alle armi oggi. È una cosa che a me fa uscire completamente di testa.”
Joe Casini: “Premesso che il video a cui facevi riferimento l’ho visto su Instagram, non so se ancora è disponibile ma nel caso consiglio di recuperarlo perché è esilarante, l’idea di come il tuo avatar digitale apriva i lavori dell’evento mentre te facevi beatamente altro. Prima di andare in conclusione c’è un’ultima domanda che volevo farti: qual è la situazione o il tipo di interlocutore che è la tua nemesi?”
Alberto Puliafito: “allora entri in difficoltà con tutto il mondo dei creativi che esalta il concetto di proprietà intellettuale. C’è proprio una linea di demarcazione netta, a mio modo di vedere, tra chi pensa che l’opera d’arte sia sempre comunque collettiva e chi pensa che questa sia un’idiozia. Io mi rendo conto che dire l’opera dell’ingegno è sempre collettiva possa sembrare un’idiozia, perché dici allora Picasso? E allora Maradona? E allora Fleming? E allora Galileo? Vado per ambiti diversi, perché io per opera d’arte intendo veramente tutto, il grande gesto sportivo, la l’illustrazione, il dipinto, la composizione musica, la scoperta scientifica. E io invece penso che sia sempre un fatto collettivo, che quell’unicità che l’artista, lo scienziato, la scienziata, la sportiva, lo sportivo danno al loro gesto, non potesse esistere sia senza di loro sia senza tutto il resto, senza chi è venuto prima, senza chi ti è attorno in quel momento, senza tutta una serie di condizioni. E quindi io mi rendo conto che dire che per me l’opera dell’ingegno è sempre un atto collettivo, a qualcuno fa venire la pelle d’oca perché pensa che io voglia negare l’identità personale, ma figuriamoci. In quel tipo di discussione mi rendo conto che sono in difficoltà perché a un certo punto le tue argomentazioni vanno a cozzare l’una contro l’altra. Per esempio, il mondo dello sport, di recente mi è capitato di parlare proprio di questo, lo sport agonistico è pieno di riferimenti tossici e di estrazione di valore dal corpo e dalla mente dell’atleta. Il ‘no pain no gain’ ha fatto una quantità di danni. E potrei raccontare un sacco di storie su questo. Bambine che fanno ginnastica artistica, che vengono messe a fare la spaccata sulle travine poi spinte verso il basso perché se non raggiungi più dei 180° in forma passiva, allora poi quando devi fare il salto in forma attiva non ce la fai a farli. E chi l’ha detto che il punteggio si deve calcolare sui 180° superato? Estrazione di valore negli sport individuali e allenamenti estremi, ripetizioni continue, decine e decine di ore dedicate a fare lo stesso tipo di lavoro fin da bambini. E quindi se il prezzo da pagare per esaltare questa eccellenza individuale è questo io penso che dovremmo interrogarci su che cavolo di società stiamo vivendo, però mi rendo proprio conto che quando fai questo discorso qua sull’individualità e sull’eccellenza personale manca un terreno comune di conversazione.”
Joe Casini: “Ragionando su come le individualità comunque emergono da un tessuto sociale mi veniva in mente anche un po’ il modo in cui studiamo la storia, ovvero una serie i gesta di persone straordinarie come se ci fosse una persona che si sbaglia la mattina e decide di iniziare una guerra e proprio non riusciamo bene a capire come poi siamo tutti collegati in un tessuto, le idee sono nell’aria, è chiaro che c’è un individuo che ha quel qualcosa in più che riesce a far emergere ma lui magari sta semplicemente cavalcando un’onda che avrebbe potuto cavalcare qualcun altro un giorno prima o un giorno dopo. Tu sei un ospite ormai rodato, sai che ora c’è la domanda tra gli ospiti. Il primo che ti propongo è Adrian Fartade, creator e si occupa di tutto ciò che riguarda lo spazio, l’astronomia e la corsa allo spazio. La seconda è Carolina Boldoni, antropologa, abbiamo parlato di cultura e di quelli che possono essere temi tabu nelle nostre culture. La terza è Silvia Semenzin, promotrice della legge sul revenge porn, attivista, educatrice, abbiamo parlato di violenza su persone più fragili e l’intersezione con la tecnologia. Quale ti incuriosisce di più?”
Alberto Puliafito: “Visto che di recente ho pensato bene di reiscrivermi all’università e ho dato un esame di antropologia culturale direi Carolina.”
Joe Casini: “Carolina ha lasciato una domanda bellissima. È una domanda che mi sto portando dietro da tempo. La domanda che ti ha lasciato è: quali sono i tuoi maestri? E perché proprio loro? Cosa ti hanno lasciato? È una domanda che mi piace moltissimo, perché poi in questa società in cui viviamo, forse una cosa che si è persa è il rapporto che si creava con il maestro.”
Alberto Puliafito: “Parto dall’ultima, Simona Taliani, che insegna antropologia culturale all’Università di Torino. Probabilmente non si ricorda neanche che ho dato l’esame con lei, perché io sono studente, come puoi immaginare, non frequentante. E quello che mi ha lasciato è stato l’apertura all’immergermi nel mondo delle altre culture, del radicalmente altro da me, cercando di spogliarmi, per quanto possibile, del gusto per l’esotico, dell’essere per forza affascinato da quello che è diverso, cercando di riconoscere, guardando nell’altro, i miei stessi pregiudizi e i miei stessi limiti. E mi ha, parzialmente a sua insaputa, fatto una grande compagnia perché io ho potuto seguire le sue lezioni con le registrazioni che lei aveva fatto durante l’era COVID e me le ascoltavo in cuffia facendo svariati mestieri in casa. Ed è stata una compagnia eccezionale, soprattutto per la profondità, per lo sguardo, per la quantità di citazioni che ha proposto, per il modo in cui mi ha aperto a concetti che essendo io diciamo di formazione scientifica e quindi autodidatta sulla formazione umanistica mi mancavano, tra cui per esempio tutto quello che riguarda le critiche post coloniali, altri autori straordinari come Miguel Mellino e tutti i concetti che riguardano il modo in cui l’Unione Europea, l’Europa, noi occidentali facciamo fatica a spogliarci di certi concetti. Mi piace proprio scegliere lei, per partire da lì, perché è l’ultima che posso definire una mia maestra, anche se, appunto, non c’è stato un rapporto diretto allievo-maestra, è stato un rapporto intermediato.”
Joe Casini: “È una domanda bellissima che ha lasciato Carolina, perché quando uno ripensa ai maestri che ha avuto nella vita pensa sempre a quello con cui hai passato più tempo, che ti ha indirizzato in una maniera visibile nel percorso di vita, poi in realtà ognuno di noi si costruisce maestri immaginari. Devo dire bellissima domanda e bellissima risposta. È il tuo turno se vuoi lasciare un’altra domanda per gli ospiti.”
Alberto Puliafito: “La mia domanda è molto semplice ed è: che cosa farai del tuo tempo liberato?”
Joe Casini: “Domanda molto attuale, sottolinei un aspetto fondamentale, ci stavo pensando anche l’altro giorno a proposito di AI stavo facendo un intervento in un fondo pensione ed è la prima volta che mi è capitato ed erano tuti entusiasti perché dicevano ‘finalmente posso smettere di fare delle cose che mi portano via un sacco di tempo e posso dedicarmi ad altro’. Quindi se uno riuscisse a fare una riflessione e trovare questa chiave di lettura già avremmo una prospettiva diversa sulla tecnologia. Ti ringrazio per essere stato di nuovo qui, avremo modo di rincrociarci su qualche nuovo argomento.”
Alberto Puliafito: “Grazie a te e grazie a voi.”
Joe Casini: “E chiaramente grazie a voi che ci avete ascoltato anche questa domenica ci vediamo tra due settimane con una nuova puntata di mondo complesso. Buona domenica.”