Questo numero di Reputation Review parla dell’importanza del riconoscimento del merito nelle organizzazioni, un tema che ingenuamente si potrebbe risolvere forse in una frase: selezionare le persone più idonee – i “più bravi” – per raggiungere gli obiettivi che l’organizzazione si è posta. Vi convincerebbe?
Di “merito” si parla tanto, ma per poterlo riconoscere dovremmo per prima cosa definirlo. Cos’è il merito? È essere bravi? Impegnarsi? Fare tutto quello che ci viene richiesto? Fare di più? È raggiungere un certo risultato? Sembrano tutte definizioni convincenti e soprattutto sembrano tutte definizioni equivalenti, eppure potrebbero anche essere in contrasto tra loro. Posso ad esempio essermi impegnato al massimo e – nonostante questo – non raggiungere un risultato, ad esempio perché partivo da condizioni svantaggiate. In questo caso avrei comunque il merito? Probabilmente sì, il che ci farebbe dire che non è il raggiungere un certo risultato ciò che conta. Ma se al contrario raggiungessi il risultato, ma lo facessi non facendo quello che mi è stato richiesto, in questo caso avrei il merito? Nel caso, allora stavolta raggiungere il risultato dacché non era importante diventerebbe addirittura l’elemento decisivo. Sembra una partita difficile da giocare.
La teoria della complessità sostiene che le organizzazioni sono sistemi complessi, in cui molte variabili interagiscono tra loro in modi imprevedibili. In questo contesto, il riconoscimento del merito può essere influenzato da una serie di fattori che vanno oltre le prestazioni individuali dei dipendenti. Ad esempio, la cultura aziendale, la struttura organizzativa e le relazioni interpersonali possono influenzare la percezione del merito e la distribuzione delle ricompense.
Se è vero (e senz’altro lo è) che ognuno di noi costituisce un’unicità, allora un ambiente di lavoro che non sia inclusivo, rispettoso e abilitante, ovvero in cui tutti i dipendenti non si sentono valorizzati e supportati in egual misura pur partendo da bisogni diversi, già di per sé rende impossibile il riconoscimento del merito.
Secondo poi, questo tipo di ambiente non è qualcosa che si può raggiungere e mantenere, se non rinnovandolo continuamente. Così come le aziende devono essere flessibili e adattabili per poter rispondere ai cambiamenti del proprio ambiente esterno, allo stesso modo lo devono essere per rispondere ai cambiamenti del proprio ambiente interno. Questo significa che i criteri per il riconoscimento del merito non soltanto andrebbero stabiliti in maniera individuale, ma dovrebbero adattarsi ai cambiamenti delle condizioni in cui ciascuna persona si trova a lavorare. Pensiamo ad esempio a quei momenti nella vita in cui ciascuno di noi si trova ad affrontare un lutto, una grave preoccupazione oppure un momento di crisi: riuscire a continuare a svolgere il proprio lavoro, anche senza raggiungere risultati particolarmente eccellenti, non è comunque un merito straordinario?
Infine, se è pacifico che le aziende definiscano chiaramente i criteri per il riconoscimento del merito, e che questi criteri dovrebbero essere basati su obiettivi chiari e misurabili, anche l’applicazione di questo criterio risulta insidiosa. Abbiamo già visto come possa essere riconosciuto come merito il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, anche deviando dalle consegne iniziali se queste si rivelano inefficaci. Alla base di questo approccio c’è il principio secondo cui l’obiettivo globale dell’organizzazione possa essere “scomposto” in una serie di obiettivi individuali che sommati consentono di raggiungere l’obiettivo strategico dato dalla governance, ed è un principio insidioso perché porta alla definizione di processi top-down che rischiano di imbrigliare il potenziale creativo delle persone e irrigidire l’azienda, rendendola così più fragile.
Non sto dicendo che non debbano esserci obiettivi individuali che siano sinergici con quelli collettivi, né che un sistema di ricompense non possa essere di aiuto (soprattutto quando premia obiettivi di gruppo come la collaborazione, piuttosto che quelli legati alla produttività), il punto semmai è che non è possibile dare una definizione semplice – ovvero in una logica di esclusione piuttosto che di integrazione – di un concetto complesso come quello del merito.
Sembra allora che per capire come riconoscere il merito non possiamo prescindere da un approccio olistico e contestuale, ovvero che tenga conto di questi (e altri) fattori e che miri a creare un ambiente di lavoro giusto e motivante per tutti i dipendenti. Come sempre, nelle prossime pagine cercheremo di esplorare alcune di queste dimensioni.