Con la linguista Vera Gheno parliamo delle implicazioni politiche delle parole che scegliamo, dell’importanza della cura del linguaggio e in quale modo le parole che utilizziamo orientano lo sviluppo delle nostre società.
Joe Casini: “Buongiorno e buon anno, perché comunque abbiamo scavalcato il 31 dicembre, quindi buon 2023 a tutti gli ascoltatori! Ripartiamo oggi con la nuova stagione di Mondo Complesso, è stata una pausa di qualche mese che a me è sembrata lunghissima, ma bella piena perché abbiamo iniziato a organizzare una nuova stagione che si preannuncia molto molto molto interessante e credo già si veda dall’ospite col quale apriamo questa nuova stagione. Oggi facciamo una bellissima chiacchierata con Vera Gheno, quindi per prima cosa benvenuta Vera.”
Vera Gheno: “Grazie!”
Joe Casini: “La cosa che direi intanto, se non la conoscete vergogna andate subito a leggere qualcosa, io consiglio soprattutto ‘Potere alle parole’! Ad ogni modo Vera è linguista, autrice di parecchi libri e opere e quindi oggi parleremo di lingua, di linguaggio, di comunicazione. Partiamo da quella che è una grande tradizione del nostro podcast, pur avendo fatto una sola stagione finora, che è la cosiddetta domanda semplice: cos’è il linguaggio?”
Vera Gheno: “L’hai presa tranquilla! Il linguaggio è un sistema di simboli, sia che si parli dell’oralità sia che si parli della scrittura, che fondamentalmente ci permette di comunicare ma soprattutto ci permette di comunicare anche in assenza, cioè non qui e ora, che è un po’ una grossa novità del linguaggio umano, del logos, rispetto alle altre forme di comunicazione, linguaggi, appunto, che hanno gli animali. Quindi diciamo che la nostra specificità di umani all’interno del linguaggio è quella di avere il linguaggio parlato e scritto, con il fatto che abbiamo la possibilità di nominare noi stessi, nominare le nostre relazioni e nominare il mondo, noi praticamente stacchiamo il nome dalla cosa e abbiamo la possibilità di parlare anche quando quella cosa o quella persona non è lì davanti a noi, che è quello che gli animali non hanno. Io faccio sempre il paragone con la mamma gatta che ha un approccio esperienziale, nel senso che insegna mostrando come si caccia, come ci si pulisce, insegna la vita ai propri gattini, non gli può dire «andate a pagina 23 del manuale del giovane gatto», quella cosa al momento per quello che vediamo, quello che sappiamo del mondo animale ce l’abbiamo solo noi esseri umani.”
Joe Casini: “Hai toccato due argomenti sui quali torneremo spesso che sono il tema delle relazioni ma anche il tema dei sistemi. In qualche modo i linguaggi ci permettono di creare dei sistemi simbolici, delle sovrastrutture culturali che poi interagiscono con tutti i vari sistemi che abitiamo poi quotidianamente. Ora passiamo dalla semplice la domanda a quella diciamo un po’ fai da te. La prima domanda che ti faccio è: vorresti che la domanda fosse sulla linguistica o sulla politica?”
Vera Gheno: “Nel mio caso è facile: sulla linguistica. Anche perché la linguistica è politica per parafrasare Chiara Valerio. Prendo due piccioni con una fava.”
Joe Casini: “E vorresti che avesse un taglio più personale o un taglio più professionale?”
Vera Gheno: “Io sono sempre per il personale.”
Joe Casini: “Tu tra i vari riconoscimenti ne hai avuto uno in particolare quest’anno, cioè sei stata inserita sulle tracce dell’esame di maturità del 2022 e sei stata inserita con ‘Tienilo acceso’. Essere scelto tra le tracce dell’esame di maturità vuol dire aver centrato il bersaglio, essere arrivati in un punto dove pochissimi arrivano. Un libro attuale, scritto da autori giovani, e arrivare a quel risultato è una cosa straordinaria. Quindi la domanda che ti volevo fare è: intanto come l’hai saputo, come hai reagito e che valore pensi possa avere, quali sono anche proprio a livello personale il fatto che il tuo lavoro sia arrivato a questo che è veramente qualcosa di straordinario.”
Vera Gheno: “Iniziamo dal fondo, io vengo da un’educazione in cui qualsiasi cosa fai hai fatto solo il tuo dovere, che ha fatto ovviamente dei danni grandissimi sull’autostima, sull’ego, sulla sindrome dell’impostore eccetera… però devo anche molto ringraziare i miei perché è stato anche un modo molto efficace di tenere i piedi sempre a terra, non mi sono mai sentita ‘sto cazzo! Per cui non la vedo come una cosa così sconvolgente, è stato un momento di grande soddisfazione sul quale io stessa però ho visto che mi è stato subito chiesto cosa ne pensassi e ho espresso certe criticità. È un libro del 2018 e ho trovato interessante che venisse scelto come una delle tracce della maturità del 2022, dato che è un libro che è invecchiato molto male per certi versi. Ci sono delle parti in cui si parla di social network che chiaramente sono molto legate alla contingenza, a quel momento lì, e quindi oggi fanno anche un po’ sorridere… altre parti evidentemente non sono invecchiare così male. Il motivo per cui ’Tienilo acceso’ magari si distingue da molti altri libri che parlano di relazione fra noi e i social media fondamentalmente è che non c’è l’invito a spegnere, non è apocalittico: è un genere che va molto quello del libro apocalittico che ti dice di spegnere tutto in contemporanea, fra l’altro, o poco prima del nostro libro ne uscì un altro che si intitola tipo ‘Spegni quel cellulare’. Forse per questo un po’ si distingue, cioè dice che i social sono qui per rimanere tanto vale rimboccarsi le maniche e cercare di capire come usarli al meglio. Non guardarli come Satana, ma semplicemente prendere atto che esistono, tra l’altro lettura consigliatissima per scantonare i politici attuali che stanno infilando una serie di perle meravigliose una dietro l’altra, tipo il divieto di usare il cellulare in classe! Sulla reazione personale ne ho un ricordo molto netto perché stavo accompagnando mia figlia alle prove del saggio di hip-hop di fine anno, ero seduta in macchina fuori dal teatro tenda che c’è qui a Firenze e a un certo punto mi è esploso il cullare e i primi ad avvisarmi sono stati dei presidenti di commissione, quindi i professori che erano presidenti commissione di vari posti l’Italia che dicevano «non posso dirle altro, ma è uscita alla maturità»… questo è stato un po’ il primo, e poi piano piano tutti gli altri. E la cosa buffa – che devo avvisare è un po’ boomer – è stata che nel corso della giornata nonostante poi avessi dato interviste in radio e televisione, ogni tanto arrivava su WhatsApp un messaggio in cui qualcuno mi diceva «forse non te l’hanno ancora detto, ma sei tra le tracce della maturità»! Tutti volevano avere il ius primae noctis, essere i primi a darmi questa notizia.”
Joe Casini: “Quando ho visto il tuo libro tra le tracce della maturità, ho pensato finalmente, sarebbe veramente bello se questa roba entrasse proprio dentro le scuole e in qualche modo c’è entrata in un momento pure molto importante.”
Vera Gheno: “Sì, però come dici tu Joe, è un po’ il tema se ho capito bene di Mondo Complesso. Tu preconizzi una visione complessa del problema, e le visioni complesse sono complesse! Nel senso che sono complicate da affrontare e da comprendere, necessitano di competenze e purtroppo vietare non necessita di nessuna competenza particolare. Per cui anche io auspico a un mondo in cui al prossimo lockdown arriviamo più preparati anche dal punto di vista tecnologico… apro una piccola parentesi critica, io ho una figlia di 15 anni quindi so di cosa sto parlando perché l’ho vissuta in diretta: mia figlia aveva già un cellulare buono e poi ha sempre usato i miei computer di scarto, cioè via via che li cambiavo lei aveva i miei computer vecchi, che andavano benissimo per far le cose che le servivano ma non andavano bene per la Dad. Nel senso che comunque erano lenti, non erano tecnologia avanzatissima e quindi avendo un’unica figlia chiaro che ho messo mano al portafoglio e le ho comprato un computer decente e fine della storia. Ma quelli che hanno in famiglia due, tre, quattro, cinque o sei figli, ti aspettavi che ognuno di loro avesse il suo computer e per di più un computer abbastanza buono per fare la Dad. Mi ha colpito moltissimo che nella prima fase del lockdown, quando si iniziava a passare alla Dad a pochi sia venuto in mente di usare delle piattaforme che fossero fruibili bene anche dal cellulare, perché il cellulare invece, anche se è una famiglia numerosa,
normalmente se ce l’ha un figlio ce l’hanno un po’ tutti quelli in età scolare. Già questa demonizzazione del mezzo che secondo me è anche il segnale di quanto ancora la nostra generazione, la generazione X fondamentalmente, sia convinta che la tecnologia buona passi dal computer mentre il cellulare è solo cazzeggio, e ovviamente per generazioni più giovani non deve assolutamente essere così per forza. Questo è il motivo per cui certo che sono stata contenta dell’uscita, poi cioè non è che questa cosa mi abbia sconvolta, però in qualche modo ho detto vabbè bello un passo in avanti da parte del ministero che appunto offre uno spunto. Forse ci sono cose ancora più nuove sul mercato librario che potevano dare degli spunti ancora più contemporanei, però un libro sui social media di quattro anni fa è già obsoleto. A Bruno e a me è rimasta la curiosità di leggere questi temi, poi forse un giorno riusciremo ad avere un finanziamento per fare questo lavoro perché gli studenti che ho sentito io, in molti casi, hanno fatto l’operazione più classica che si fa da studenti e cioè hanno scritto in maniera paracula quello che sapevano che i loro professori volevano sentirsi dire. E questa è una cosa che io ho verificato spesso andando nelle scuole facendo educazione digitale, che i ragazzi ti rispondono come vuoi tu, ma non come pensano loro. Allora che cosa pensate dei social media? Ragazzo che alza la mano «sono dannosi, mi distraggono dal lavoro, dallo scrivere»…”
Joe Casini: “Ma del resto la scuola questo ci insegna, la scuola si basa sul «ripeti quello che il professore dice».”
Vera Gheno: “E allora io gli ho chiesto «se sono così deleteri perché ci stai?», e allora arriva il fanatico «perché è figo». Ecco allora parliamo del perché è figo stare sui social, però non è in prima battuta quello che ti dicono perché si aspettano che tu da educatore digitale voglia sentirgli dire i social sono Satana.”
Joe Casini: “A proposito di complessità e semplicità, ora passiamo alla domanda dal pubblico. Tra le domande che sono arrivate tramite il profilo LinkedIn e quello Instagram molte erano su un tema che ero sicuro sarebbe uscito fuori, ed è quello della schwa. Ne prendo una su tutte: possiamo considerare la schwa come un aspetto stilistico opzionale oppure dovremmo iniziare a considerarlo come un aspetto grammaticale?”
Vera Gheno: “Allora mi piace che tendiamo sempre a fare queste domande marzulliane, out out quindi grammatica o stile, però io sono bravissima a dare risposte che scantonano, ormai è la mia specialità, sono cintura nera! Io risponderei così: lo schwa non è neanche un fatto prettamente linguistico, è un fatto socio-culturale, cioè non è questione di grammatica o di stile. Si può definire «stile» la scelta di pensare a cosa fa star bene linguisticamente il prossimo? Cioè, se io uso gay omosessuale o la parola con la F, questi sono scelte stilistiche o sono scelte che sono testimonianza di cosa io pensi del mondo omosessuale maschile, e di cosa voglia trasmettere rispetto alla mia posizione al resto del mondo? Io non ne farei una questione grammaticale né una questione stilistica, è proprio la parte profondamente relazionale del linguaggio che ci invita a fare qualche considerazione in più su come noi chiamiamo l’alterità in senso lato. Detto questo è chiaro che c’è un elemento che tocca la morfologia, non tanto la grammatica, della nostra lingua. Cioè mentre la scelta di usare gay o F è una scelta lessicale, e il lessico è la parte del nostro linguaggio che si muove più velocemente, la parte più superficiale, quando si va a toccare la morfologia di una lingua cioè il modo in cui noi facciamo maschile/femminile/altro o singolare/plurale, eccetera eccetera ecco lì si va sul piano morfologico. Cambiare la morfologia non è impossibile, ma è molto più profondo come cambiamento quindi diciamo che è come la scomparsa del neutro dal latino o la scomparsa del duale dal greco antico, sono dei passaggi che ci hanno messo tanti tanti tanti secoli… è stata un po’ una vox populi, cioè l’insieme dei parlanti che ha deciso non in maniera consapevole, ma diciamo con l’uso stesso che quella roba non gli serviva più e quindi può succedere anche l’inverso, cioè che qualcosa entra nel linguaggio. Per me la valenza dello schwa, non è quella di premere perché entri nella morfologia dell’italiano e quindi poi nella grammatica, non me l’aspetto, non so dire se un giorno dovesse succedere o se sarà proprio lo schwa a diventare la cosa lì. Potrebbe essere qualcosa a cui oggi non abbiamo ancora pensato e chi viene in mente alle generazioni successive alla mia, la sua valenza è quella di pietra d’inciampo linguistica, cioè quando io uso lo schwa – raramente per altro – è come se mettessi un alert nel mio testo e costringessi le persone che mi ascoltano o mi leggono, a fermarsi un attimo e dire «che cos’è quella roba, a che serve»? Quindi se io dico «buona sera a tutti, tutte e tuttə» ho attivato qualcosa, ho attivato un allarme nelle persone che si sentono rappresentati da quel «tuttə»: attivo un’esperienza relazionale, come direbbe Alexander Langer ho «costruito un ponte». Nelle altre persone chissà, può avere varie reazioni, tipo «chi se ne frega» oppure «che carina ha incluso anche le persone di genere non conforme» e poi chiaramente ci sono quelli che non hanno idea di quello che sta succedendo, però non credo che se io dico «tutte tutti e tuttə» ho smesso di essere comprensibile. Magari c’è un ponte più tenue anche nei confronti di chi non conosce la faccenda, ma non sto distruggendo la comunicazione e per me il senso dello schwa è un po’ questo. Cioè nei miei testi, soprattutto quelli destinati al largo pubblico, tendenzialmente non uso lo schwa, anche se tengo conto della faccenda del genere e quindi più spesso uso circonlocuzioni, cioè «buonasera alle persone che ci ascoltano», «buonasera alle persone presenti» o «un caro saluto alle persone che nonostante il tempo sono venute in presenza in quest’aula». Persona per esempio include tutti, tutte, tuttə. Poi se devo rimarcare l’esistenza del gruppo non binario, queer, gender non conforming, casomai lo uso e poi ci sono dei casi in cui secondo me ormai è inevitabile usarlo, per esempio se faccio un riferimento a un personaggio pubblico, non binary, se io cito Mason Alexander Park che è l’attorə non binary che ha recitato nel ruolo di Desire in ‘The Sandman’, mi sembra offensivo definirlə attore o attrice, dato che lə stessə sulla sua pagina Wikipedia è definitə come ‘they’, quindi per me l’unica soluzione è dire attorə.”
Joe Casini: “Questo mi fa molta risonanza, anche quando c’è un dibattito, magari sto prendendo un caffè con gli amici che spesso sono persone diciamo progressiste, viene sempre portato questo tema della grammatica, della lingua e tu dici «ma che ti frega»? Se la persona con cui stai parlando banalmente ti sta dicendo che questa cosa lo mette a disagio, perché la devi fare? Quindi quell’aspetto che dicevi tu dell’inciampo, facciamoci una riflessione perché poi in qualche modo si è creato il corto circuito quando il presidente Meloni ha detto «il» e non «la», ma ad un certo punto diventa anche accogliere e iniziare a prestare attenzione a quali sono le istanze dell’altro… e qui torna un po’ il tema della relazione, cioè se l’altro ti sta dicendo che questa cosa lo mette a disagio, perché devi andare poi sul presupposto della rigidità della regola grammaticale, qualora ci fosse ma chi se ne frega!”
Vera Gheno: “Condivido il tuo discorso poi sulla questione scelta maschile di Meloni, magari un appunto lo vorrei fare perché non vorrei mai che fossero mischiati i piani: cioè nel caso della persona non binary che usa per se lo schwa, la u, l’asterisco, la z la y, insomma uno dei tanti modi per evitare il maschile femminile lì si tratta di una sacrosanta istanza di autodeterminazione linguistica che è un po’ figlia di questo presente in cui si inizia a ragionare in maniera molto nuova sulla diversità. Qualcosa sta cambiando, è uno dei temi caldi di qualsiasi azienda, facciamo qualcosa sulla diversità equità inclusione, diciamo che è proprio il tema del presente. Nel caso di Meloni nella scelta di fare una circolare per farti chiamare il presidente, io direi è una cosa completamente diversa, non si tratta dell’istanza dell’autodeterminazione quanto di una scelta che è legata a una visione tradizionalista della società nella quale il maschile ad essere la forma di prestigio, quindi diciamo che è perfettamente nella tradizione della destra. Cioè prima Elisabetta Alberta Casellati quando divenne presidente del Senato ugualmente chiese di essere chiamata «il» presidente, quindi non è una cosa nuova quello che è peculiare, secondo me, e su cui mi invito tuttə a riflettere, è che per anni la destra ha cavalcato il cavallo delle boldrinate, cioè «ah queste cazzate linguistiche, i problemi sono ben altri». Laura Boldrini prese in giro la presidenta, c’è proprio nato un sostantivo da tutto questo, però la prima cosa che fai, quando ti insedi al governo è la circolare per dire chiamatemi così e questo vuol dire che non è vero che i problemi sono ben altri e che la lingua, anzi, è una questione molto centrale.”
Joe Casini: “È proprio questo il punto interessante, nel momento in cui tu fai una scelta su questo, al di là che sia di genere o no, tu stai facendo una scelta e iniziamo a farci caso e iniziamo un po’ tutti a dargli un valore.”
Vera Gheno: “Credo che stiamo vedendo un costante aumento di attenzione nei confronti della lingua. Io uno dei momenti di passaggio grossi l’ho visto con «petaloso», cioè nel 2016 a febbraio quando scoppia il caso «petaloso» io ero gestrice del profilo Twitter della Crusca, per cui ho la possibilità di raccontarlo di prima mano quello che è successo. Quello che è cambiato è che c’è stato proprio un aumento dell’interesse delle persone che parlano l’italiano nei confronti della loro lingua quindi si è un po’ aperto, per esempio, un ambito editoriale inedito, sono esplosi i libri sull’italiano dal 2016. Quasi tutti gli autori e autrici che si occupano di linguistica hanno partorito uno o più libri che riguardano la lingua, cioè io in primis ho beneficiato di questo nuovo interesse perché tutti i miei libri parlano di lingua alla fine, ‘Tienilo acceso’ è quello meno linguistico. Quindi si c’è sempre più interesse, essendo noi nel mezzo dell’Antropocene, nella società definita della comunicazione, mi sembra anche sacrosanto: cioè le competenze comunicative si stanno dimostrando una delle competenze centrali dell’essere umano, ancora più di quelle tecnologiche perché poi anche la tecnologia la usi meglio quando hai delle solide competenze linguistiche e comunicative.”
Joe Casini: “Ci stiamo avvicinando alla chiusura di questa chiacchierata, ora c’è la domanda che definisco «la domanda della birra di troppo», cioè quella domanda che di solito fai in confidenza quando ti sei fatto la birretta in più. Nell’informatica c’è una distribuzione Linux molto famosa che si chiama Ubuntu che è una parola della lingua swahili utu, ma che più o meno si traduce con ‘io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti’. Allora io sono un profano delle parole, detto ciò questa cosa qui quando l’ho scoperta ho detto «no vabbè è pazzesco, è una parola potentissima»! Un concetto del genere in una parola lo trovo potentissimo, quindi tornando al tema potere alle parole, volevo chiederti: quanto sono potenti le parole? Una parola come Ubuntu ha la capacità di aprire pensieri così sterminati.”
Vera Gheno: “Sì è una parola fighissima, cioè detto proprio nella sua versione semplificata viene tradotta anche umanità verso gli altri, però c’è sempre questo concetto della relazionalità e del fatto che nessun uomo è un’isola come diceva John Donne. Nessun uomo è un’isola e fa parte per se stesso, ogni uomo fa parte di un continente una parte del tutto. Quello che è mirabolante delle lingue è che ovviamente ci sono infinite cose da nominare al mondo e ogni lingua, ogni idioma ne nomina solo una parte. Nomina in particolare la parte che gli serve da un punto di vista sociale, culturale e pratico e questo è un po’ la peculiarità su cui si è incastrato Benjamin Whorf quando poi insieme ad Edward Sapir all’inizio del Novecento hanno concepito la famosa teoria della relatività linguistica, cioè lingua che parli ti permette di vedere la realtà in maniera un po’ diversa, c’è questa specie di risonanza fra la lingua e la tua vita e la realtà.”
Joe Casini: “Cosa che è stata estesa anche alle scienze, all’oggettività della scienza che poi in realtà è tutta un intreccio di prospettive.”
Vera Gheno: “Noi siamo figli di una cultura e quindi vediamo il mondo in un certo modo e spesso siamo convinti che quel modo di vedere il mondo sia l’unico e sia il perfetto e sia il punto di vista prevalente, invece è uno dei tanti punti di vista. Quindi la teoria della relatività linguistica è proprio Ubuntu mi spinge a fare una considerazione sul fatto che forse la grande prova del presente è quella di imparare a capire che il proprio è uno dei punti di vista fra tanti che sono equipollenti, non è che il punto di vista musulmano o il punto di vista nero o il punto di vista di una persona sordo cieca, come Helen Keller, sono meno punti di vista del nostro. Sono punti di vista differenti e le lingue lo sottolineano creando dei lessici che indicano cose diverse, per cui la nostra lingua non ha il corrispettivo in una parola di Ubuntu forse perché nella lingua Zulu, o appunto quello che dicevi tu, veniva definita anche parola zulù è più essenziale affidare la propria vita al gruppo. Mi posso immaginare una situazione in cui se tu sei senza il gruppo sei solo, per esempio in un’Africa subsahariana e tu muori e quindi hai bisogno del gruppo e questo spinge al fatto che la tua lingua abbia una definizione per creare, per far vedere questa co-dipendenza degli altri con te e di te con gli altri. Mi vengono in mente tante parole giapponesi, ma una delle mie preferite ikigai che è quell’energia che ti fa alzare la mattina e quando uno è molto depresso o molto stanco non ha. Mi ricordo che durante il lockdown facevo tanta fatica a trovare l’ikigai, perché tanto mi alzavo e dovevo sempre fare le stesse cose, la stessa routine, la ruota del criceto e quindi meglio stare a letto. Queste sono quelle che vengono definite parole intraducibili, ma non è che siano parole intraducibili, è che sono parole che indicano concetti che in una lingua o in un’altra non si è sentito il bisogno di indicare con una sola parola e quindi posso spiegarlo in maniera analitica con più parole o frasi non esiste la traduzione sintetica, cioè parola parola che è una caratteristica però di tutte le lingue. Raramente, a parte le parole di un nucleo essenziale, io posso tradurre tutte le parole di una lingua con tutte parole di un’altra lingua, spesso dovrò spiegare i concetti che in una lingua magari sono indicati con una sola parola.”
Joe Casini: “Purtroppo siamo arrivati all’ultima domanda che segue un po’ il modello del Secret Santa, quindi ora ti proporrò tre degli ospiti della stagione precedente e ognuno di loro ha lasciato una domanda. Quindi tu dal nome sceglierai l’ospite, ti dirò la domanda che hai scelto e alla fine ti chiederò di lasciare una domanda in modo che nelle prossime puntate qualcuno possa scegliere la tua e rispondere. Allora gli ospiti tra i quali puoi scegliere sono Alessandro Sahebi che è un giornalista che si occupa soprattutto di termini legati alla ricchezza e al reddito, il secondo ospite è Giulio Xhaet che si occupa di formazione ma in particolare sui temi di digital skills ma anche temi più ampi come purpose e così via, mentre il terzo ospite è Guido Scorza che è una garante della privacy con il quale abbiamo parlato di privacy e tecnologia. Tra questi ospiti quale ti stuzzica di più?”
Vera Gheno: “Giulio, tra l’altro lo saluto. Penso di essere una delle poche persone in Italia che lo pronuncia bene il suo cognome, quindi ridiamo sempre su questo siparietto.”
Joe Casini: “Allora la domanda di Giulio è la seguente: secondo te i social media amplificano più la saggezza o più l’ignoranza? Cioè sono più amplificatori di inferno o di salvezza?”
Vera Gheno: “Io penso che anche Giulio si sia marzullizzato! Scherzo, però ahimé penso che amplificano più l’ignoranza, perché è più facile da amplificare. Cioè la cultura, la conoscenza e la buona informazione richiedono fatica e non tutte le persone sono disposte a fare fatica mentre spesso l’ignoranza parla più ad altri organi, quindi al cervello secondario, l’intestino, al cuore, alle mani, ma non al cervello e quindi secondo me è più facile amplificare l’ignoranza perché è più semplice.”
Joe Casini: “A questo punto è il tuo turno, c’è una domanda che vuoi lasciare?”
Vera Gheno: “Quand’è l’ultima volta che hai pensato di fare qualcosa di utile per le altre persone?”
Joe Casini: “Bellissima, non voglio essere nei panni di chi sceglierà la tua domanda, ma lo scopriremo e ci divertiremo a rispondere. Allora detto ciò, concludiamo questo inizio di seconda stagione non potevamo partire meglio. Quindi Vera ti ringrazio di cuore per essere stata qui con noi.”
Vera Gheno: “Grazie a te!”
Joe Casini: “Vi do appuntamento come al solito tra due settimane per la prossima puntata. Buona domenica a tutti.”